Adesso è notte. Sono passati alcuni giorni da quando sono andato là. Guardo da qui quella lucina che adesso so da dove viene, seduto dietro questa bassa balaustra di pietra, mentre il cielo limpido e senza luna è tutto pieno di stelle, e arrivano da non molto lontano i versi degli animali e dei rapaci notturni, qualche grugnito dei cinghiali che si spostano in mezzo al fitto fogliame.

“E forse anche quel bambino vedrà da lassù la luce della mia casa, di notte...” mi sorprendo a pensare “dall’altra parte della gola, in mezzo a tutto questo buio a perdita d’occhio, a tutto il buio del mondo, come io da qui vedo la sua. Mi sono dimenticato di chiedergli se la vede...”

Stamattina ho voluto andare di nuovo da quell’albanese che si occupa di presenze aliene, per dirgli che avevo scoperto da dove viene quella lucina, che non c’entrano gli extraterrestri. Tanto più che dovevo scendere a fare benzina in un paese poco lontano dal suo, dove c’è una colonnina di fronte a una corte, e un vecchio che si tormenta perennemente i denti neri e radi con una paletta di legno del gelato. Lascia la vigna dove stava lavorando e viene a rifornirti di benzina, se vede che qualcuno si è fermato di fronte alla pompa.

Gli ho raccontato ogni cosa, quando ha smesso di emettere quei suoni gutturali e quei versi improvvisi, vedendomi venire giù dalla piccola scarpata piena di letame e di pozzanghere fetide.

«Ha visto?» gli ho detto. «Non c’entrano gli extraterrestri, gli alieni, gli spostamenti nell’iperspazio, le pieghe... È un bambino, semplicemente un bambino...»

Mi guardava perplesso. Eppure, per la particolare conformazione della sua bocca, sembrava che sorridesse.

«Ah... un bambino... Lei dice che è un bambino?»

«Sì, certo, un bambino!»

Ha scosso due o tre volte la testa, anche la corona dei suoi capelli unti, diritti come spaghetti, da cui spuntavano le grandi orecchie a sventola.

«Un bambino che vive da solo, nel bosco... E la cosa non la stupisce? Le sembra normale?»

«Sì... o meglio no. La cosa ha stupito anche me.»

«Che bambino sarà?» ha detto scuotendo ancora la testa, con quel suo sorriso stampato. «Che sia davvero di questo mondo?»

«Ma io l’ho visto! È un bambino, glielo assicuro!»

«Guardi che gli alieni non sono come li fanno vedere nei film! Possono anche assumere un aspetto assolutamente umano. Non li si distingue dagli altri. Chissà quanti ce ne sono già, in mezzo a noi!»

L’ho guardato. Mi sorrideva. Ma non so poi se mi sorrideva. Si sentivano i campanacci delle capre poco distanti. Il cane saltava in alto e abbaiava.

Anche se è molto tardi, continuo a restare qui, a guardare quella lucina che palpita sull’altro crinale. La notte è tersa, le stelle incombono da ogni parte in questo immenso spazio cavo che mi sovrasta. Mi sono tirato su la cerniera della felpa, mi sono coperto la testa con il cappuccio, perché di notte il freddo si comincia a sentire, in questo posto circondato da ogni parte dalla vegetazione e dai boschi. Anche le gambe sono un po’ intorpidite, perché sto seduto qui da molto tempo a guardare la lucina, mentre quel bambino starà dormendo nella sua piccola casa di pietra in mezzo al bosco, da solo.

Mi alzo dalla seggiola di ferro. Mi sgranchisco le gambe. È notte fonda, ma non ho sonno.

Esco dal cancelletto, lo richiudo macchinalmente alle mie spalle, anche se qui non c’è nessuno, potrei lasciarlo aperto. Mi incammino verso il piccolo cimitero in fondo alla discesa, con tutti quei lumini rossicci che palpitano nella notte. Attraverso il borgo, continuo a camminare lungo la stradina in discesa, si sente solo il rumore dei miei passi sotto questo immenso spazio buio e dimenticato pieno di valanghe di stelle. Certe notti, quando è il periodo giusto – e adesso lo è –, ai lati della stradina ci sono centinaia, migliaia di lucciole. Pullulano in mezzo al fogliame fitto e nero, con le loro miriadi di piccole luci che si accendono e si spengono a intermittenza, sembra di camminare in un mondo incantato. Sto attento a non pestare quelle che attraversano il sentiero buio volando rasoterra, a non colpire con le gambe e le braccia quelle che galleggiano davanti a me come per indicarmi la strada. Qualche volta ne prendo una nel palmo della mano, guardo da molto vicino il povero corpicino trasfigurato da quella luce che filtra dalle sue parti molli, tra le sue piccole viscere.

«Ah... siete ancora qui! Ci siete ancora!» provo a dire in mezzo a tutto quel buio pullulante di luci. «Allora non siete state annientate dalla grandinata! Dove vi siete nascoste, mentre venivano giù dal cielo quei pezzi di ghiaccio che spaccavano tutto, non si fermavano di fronte a niente, neanche di fronte ai fiori più belli e più profumati! Dove state nascoste durante il giorno, quando nessuno vi vede? Avrete anche voi dei buchini, delle piccole tane sotto terra, da qualche parte, dove vi nascondete quando c’è la luce, quando il cielo si riempie di ghiaccio! Ma come fate ad accendervi così? Che cosa c’è dentro quei vostri poveri corpicini di insetti? Che forza avete per potervi accendere e trasfigurare così, per produrre una simile luce che si vede anche da molto lontano, e per accenderla e spegnerla continuamente, per ore e ore? Lo so, è un richiamo sessuale. Ma perché solo voi, tra tutti gli insetti, vi siete inventate questo richiamo? Come avete fatto? Da dove vi è scaturita quella piccola, disperata invenzione e quella lucina? E per quale ragione, se poi scomparite subito dopo, venite annientate, se non vi si vede più per il resto dell’anno, vivete poche settimane soltanto, uscite da chissà dove e vi mettete a volare a migliaia facendo pulsare il buio di questa notte che ci circonda? Perché? Per che cosa vi siete inventate questa inconcepibile cosa? Perché vi richiamate così l’un l’altra, nel buio, nei pochi istanti in cui siete in un mondo che non vedete? Per continuare a riprodurvi? Ma perché? Perché altri esseri come voi possano continuare a riprodursi e a volare per poche settimane, per pochi istanti, in questo enorme buio che ci circonda?»

Ma loro non lo sanno. E, se lo sanno, non mi rispondono.