Piove ancora, a dirotto. Non si può uscire di casa. Ne approfitto per lavare un po’ di biancheria che si era ammucchiata dentro il cestello, anche se non si può stendere fuori. L’appenderò con le mollette allo stendibiancheria che c’è qui in casa.

Vado a spaccare un po’ di legna in cantina. Accendo il camino. Quando il fuoco è ben vivo, sposto la biancheria e ce la metto davanti, perché si asciughi più in fretta. Non troppo vicino, per quei nugoli di scintille che si levano dai ciocchi franati.

Guardo il fuoco, seduto su una seggiolina dalle gambe segate, mentre si attorciglia intorno ai ciocchi cambiando continuamente colore. Geme a lungo e poi scoppia di colpo in mille grandi scintille, sale verso l’alto andando a lambire schegge di legna e corteccia disposte a cuspide. Da fuori, dall’esterno, si può vedere il mio comignolo che comincia a fumare, l’unico tra quelli che restano sui tetti di queste case disabitate e sfasciate, se ci fosse ancora qualcuno che potesse guardarlo.

Cuocio un po’ di pasta. La scolo. Mi metto a mangiarla seduto a capo della piccola tavola vuota, di fronte alla porta-finestra aperta. Guardo la pioggia che continua a cadere fitta sull’erba che c’è davanti.

È passato un po’ di tempo. Ho lavato i piatti, ho pulito con uno straccio il piano del fornello, che era tutto macchiato. Ho sbrinato il frigo, staccando le scaglie di ghiaccio con un raschietto. Ho asciugato la pozzanghera d’acqua che si è formata davanti. Ho rimesso dentro il mangiare. Ho tolto con la varechina le chiazze di muffa che si erano formate sui muri. Sono andato a buttare le immondizie dentro una buca.

Poco fa, mentre stavo facendo queste cose, ho sentito un rimbombo improvviso venire dalla stradina. Sono corso fuori a vedere, perché di qui non passa mai nessuno.

Mi sono arrestato davanti alla porta.

Un gruppo di cavalieri, tutti ricoperti da cerate di cellophane trasparenti per difendersi dalla pioggia, stavano percorrendo la stradina in sella ai loro alti cavalli.

Ho fatto un cenno con la mano, per salutarli, perché erano le prime persone che vedevo da quando sono venuto qui. Loro mi hanno risposto in silenzio, dall’alto, con un cenno delle teste ricoperte dai cappucci delle cerate gocciolanti di pioggia, mentre i cavalli continuavano ad andare al passo facendo rimbombare con i loro zoccoli le pietre della stradina. Sotto il velo trasparente delle cerate, si vedevano perfettamente i loro vestiti. C’era in mezzo a loro anche una donna, una ragazza, mi è parso, in jeans e stivali.

Quando sono passati tutti, mi sono affacciato al cancelletto. Erano fermi di fronte alle due vasche di pietra. I cavalli avevano il muso nell’acqua e si stavano abbeverando. Sembravano enormi nel piccolo spazio stretto della stradina.

Poi hanno ripreso a spostarsi. Sono passati sotto il voltone, e allora si è sentito ancora più forte il rimbombo degli zoccoli, mentre attraversavano il borgo deserto e poi scomparivano.

“C’è una fiera di cavalli!” mi sono detto. “In un paese più in basso. Ogni anno, mi pare... Staranno andando là in sella alle loro cavalcature. Avranno voluto prendere la strada più lunga, in mezzo ai boschi e ai borghi disabitati, lungo sentieri che non conoscevano ancora...”

Il cuore mi batteva forte. Sono dovuto uscire di casa e camminare a grandi passi, per molto, anche se pioveva forte, riparandomi alla meglio con un vecchio ombrello dal quale spuntano le stecche. Ho imboccato il sentiero da cui sono venuti i cavalieri. C’erano infatti le impronte profonde degli zoccoli nel terreno e nel fango, già riempite d’acqua. E anche altre pozzanghere e vene d’acqua che si erano formate da poco per la forte pioggia che scolava dalle montagne. Addirittura piccoli ruscelli che correvano in mezzo al sentiero formando un velo trasparente di onde, dentro solchi scavati da poco o in altri che sembravano impressi dal copertone di qualche moto da cross, chissà da chi, chissà quando, perché non ho mai sentito rumori di motori, neanche lontani.

“È così che si formano i ruscelli, i torrenti, i fiumi...” mi dicevo con emozione. “Masse d’acqua che crescono via via e attirano e poi inglobano con la forza crescente del loro spostamento in avanti altre masse d’acqua più piccole che scendono lungo la montagna a strapiombo, mentre altre si perdono qua e là senza avere avuto la forza di trasformarsi in ruscelli, in torrenti, in fiumi. Rigagnoli in apparenza uguali, che si sono formati così, in qualche posto sconosciuto e fuori dal mondo dove nessuno li vede, e che poi escono allo scoperto quando sono già grandi, impetuosi, si scavano i loro letti nelle gole delle montagne, nelle valli e poi nelle grandi pianure, nessuno li può più fermare...”