Ieri sera, quando è venuto buio, invece di rientrare in casa per prepararmi qualcosa da mangiare, ho preso la macchina e sono sceso giù nel paese.

Guidavo piano, coi fari accesi, i finestrini abbassati. Ho visto, dietro uno dei tornanti, i lumini del cimitero che palpitavano al buio. La notte era nera. C’era un po’ di vento. Un uccello, forse svegliato di soprassalto dal rumore del motore in quell’assoluto silenzio, ha sbattuto forte le ali in mezzo al fogliame. Doveva esserci uno strato di nuvole gonfie e nere nel cielo, perché le stelle non si vedevano.

Continuavo a scendere, staccando ogni tanto il motore nelle lunghe discese. Qualche animale che stava attraversando la strada si accorgeva solo all’ultimo istante della mia auto che scendeva senza fare rumore, girava improvvisamente la testa verso i fari, abbagliato.

Nessun’altra macchina in giro. Ho imboccato la strada un po’ più larga che porta al paese. Anche le poche case avevano le ante chiuse, non filtrava luce. Saranno stati tutti quanti dentro a mangiare, oppure davanti ai televisori, o si stavano già preparando per la notte, perché la gente va a dormire presto, in questi luoghi.

Sono arrivato al paese. Ho parcheggiato la macchina nello spiazzo che c’è appena entrati. Sono uscito. Ho fatto qualche passo. Non ero mai sceso, a quell’ora. Non c’era nessuno in giro, nelle piccole strade incuneate tra le case di pietra. Neanche in quella più grande che attraversa da parte a parte il paese. Anche l’unico bar era chiuso. Si sentiva solo, di tanto in tanto, il rimbombo di qualche televisore proveniente da una o l’altra finestra dalle ante chiuse, si vedeva filtrare tra i loro interstizi un tenue bagliore, mentre tutte le altre erano silenziose e spente, i suoi abitanti già coricati al buio nei loro letti.

Ho svoltato un angolo, sono passato sotto una volta. Ho fatto ancora qualche passo. Mi sono fermato di colpo, col cuore in gola.

La scuola era tutta buia. Non filtrava nessuna luce dalle sue grandi finestre, né a pianterreno né al primo piano.

“Eppure, se là dentro sono in corso delle lezioni, qualche luce dovrebbe filtrare...” mi sono detto. “Le finestre non hanno ante, saranno schermate dall’interno da tendoni spessi che un bidello accosterà dopo che viene buio, quando le lezioni sono finite, passando un’ultima volta lungo il corridoio prima di chiudere la scuola...”

Sono rimasto lì impalato, senza pensare a niente, senza fiatare.

L’edificio era tutto buio, non veniva la più piccola luce dall’interno, la più piccola voce.

Non riuscivo a muovere un passo, per tornare dove avevo lasciato la macchina, camminando per il paese deserto. Continuavo a restare lì, fermo, impalato, annientato, in quel posto buio illuminato a malapena da un lampione che oscillava in mezzo alla strada per il vento.

Non so quanto tempo è passato così. So solo che, d’un tratto, proprio mentre ero riuscito finalmente a girarmi per ritornare, o almeno così mi era parso, a meno che non l’avessi solamente pensato, ho sentito qualcosa, come un piccolo vuoto d’aria alle mie spalle.

Mi sono girato di nuovo verso la scuola. Ma non si vedeva niente.

Il silenzio era tale che potevo sentire il leggero frusciare che faceva la luce dentro il lampione, sulla mia testa.

Qualche istante dopo mi è parso che il portone si stesse aprendo lentamente, senza fare rumore, nel buio.

Non lo so perché, ma ho fatto istintivamente un passo di lato, per non farmi scorgere. Sono andato a mettermi dietro uno spigolo dell’edificio di fronte, da dove potevo vedere senza essere visto.

Adesso il portone si era ormai aperto completamente, ma non usciva nessuno.

C’era sempre quell’enorme silenzio. Qualcosa cigolava da qualche parte, più in alto, forse il lampione, per il vento.

Sporgevo la testa da dietro l’angolo, da dove potevo vedere gran parte del portone a due ante completamente aperto, tutto l’edificio della scuola sempre buio, anche a pianterreno, anche nell’androne che doveva esserci al di là dell’entrata.

Poi, all’improvviso, si è sentito un leggero rumore di passi che veniva come da molto lontano.

Qualche istante dopo, uno dopo l’altro, in silenzio, alcuni bambini hanno cominciato a uscire dal portone con i loro grembiulini neri e le loro cartelle.

Mi tremavano un po’ le gambe, li guardavo senza respirare, nascosto dietro lo spigolo, al buio, mentre uscivano dal portone e poi scendevano i pochi gradini che portavano a filo con la strada. Cercavo di distinguere, in mezzo alle altre, la testa rasata di quel bambino.

Ne sono usciti ancora un po’. Credevo che non ce ne fossero più, ma ne sono usciti altri due.

Poi più niente.

“Non c’è!” mi sono detto, alla fine.

Invece, quando sembrava che non ci fosse più nessun altro, è uscito anche lui.

Subito dopo il portone si è richiuso di colpo, senza fare rumore, alle sue spalle.

I bambini hanno preso ognuno la propria strada, senza scambiarsi una parola tra di loro, senza salutarsi.

Sono stato sul punto di uscire dallo spigolo dietro cui mi ero nascosto e di avvicinarmi al bambino, e di prendergli la cartella, per accompagnarlo fino alla sua piccola casa lontana, in mezzo al bosco. Ma poi mi sono fermato, perché mi aveva già risposto di no quando glielo avevo chiesto.

“Che mondo è questo?” pensavo guardando i bambini che si incamminavano da soli nel buio, con le loro gambine nude che spuntavano dai grembiulini e le loro cartelle. “Dove, mentre tutti dormono, ci sono bambini morti che escono in silenzio dalle scuole serali, da soli, e nessuno lo sa, nessuno li vede. Non trovano nessuno fermo davanti al portone, non alzano neanche gli occhi nel buio, tanto lo sanno che non c’è nessuno ad aspettarli. Se ne vanno via da soli, chissà dove... Quel bambino adesso attraverserà il paese deserto, prenderà quella piccola strada in salita che arriva fino all’inizio del crinale, poi l’altro sentiero più stretto e tutto invaso dalla vegetazione e dai rovi, che sale in mezzo al bosco, in piena notte, al buio, da solo, arriverà fino alla sua piccola casa, accenderà quella lucina... Che pena fanno i bambini morti quando escono così dalle scuole buie, di notte, da soli! Ma poi... non fanno altrettanta pena i bambini vivi?”