Il mondo sta cambiando di fronte ai miei occhi. La terra è ancora più fredda. Le foglie si accartocciano, cadono. Ne è rimasta qualcuna qua e là, che penzola attaccata al moncherino di un ramo. Gli alberi sono sempre più nudi. Non si distinguono più i morti dai vivi.

Cammino su un tappeto di foglie carbonizzate che crepitano sotto i miei passi. Coprono interamente i sentieri, sento il fragore delle loro nervature e dei loro tessuti disanimati frantumarsi sotto il peso del mio corpo verticale che grava sopra la terra. Non si sentono quasi più rumori, nel bosco. Gli animali sono già andati o si stanno preparando ad andare in letargo. Scavano le loro piccole buche nella terra fredda che di notte comincia a gelare e viene già ricoperta dalle prime nevicate leggere. Lasciano quel velo bianco che si dissolve al primo sole del giorno. Scavano a testa in giù, con le unghie, coi denti, per arrivare più in fondo dentro la terra, dove è rimasto un po’ di calore.

Stamattina, in un rudere, ho sorpreso un gruppo di pipistrelli in letargo. Camminavo per le stradine deserte, tra questi muri ricoperti di rampicanti e questa vegetazione secca e questi alberi cresciuti in mezzo alle pietre, tra queste piccole scale sconnesse che salgono fino alle porte di case disabitate. Sono passato di fronte a un rudere dove non ero mai entrato. È strano, questo posto è così piccolo eppure non lo conosco ancora tutto! Ho spinto col piede la porta ormai scardinata. Si è aperta. Sono entrato. Era tutto buio all’interno, perché non c’era neanche una finestra. Solo muri di pietra e un soffitto d’assi, là in alto. Improvvisamente ho visto di fronte a me un gran numero di pipistrelli a testa in giù, che mi fissavano con gli occhi sbarrati. Si vede che un po’ di luce c’era, quella che entrava dalla porta che avevo appena aperto, perlomeno, anche se sembrava che ci fosse buio. A meno che non uscisse direttamente dai cerchi dei loro occhi terrorizzati, svegliati durante il letargo. È stato un attimo. Gli involucri di tutti quei corpi che fino a un secondo prima stavano a testa in giù, avviluppati nelle membrane delle loro nere ali di pelle, uncinati con le zampe alle vecchie travi e alle sporgenze dei muri, si sono messi improvvisamente a volare terrorizzati, in cerca di uscita. Mi sono buttato contro un muro. I loro corpi neri impazziti colpivano le pareti e il soffitto. Poi hanno trovato il varco della porticina da cui ero entrato e, sbattendomi contro da tutte le parti, sono volati fuori in un turbine di ali nude e di occhi.

Prima di andare a dormire ho guardato per molto quella lucina. Da un po’ di tempo brilla più intensamente ancora, mi pare, perché l’aria è più fredda, il cielo è più terso.

Ho cambiato le lenzuola del letto e la federa del cuscino. Ho messo la coperta più pesante. Ho ripiegato bene il lenzuolo di sopra. Ho ripiegato anche un lembo di coperta e lenzuolo, da una parte, prima ancora di spogliarmi e di mettermi il pigiama più pesante, tirato fuori dalla cassettiera di legno che scricchiola un po’ per il cambio di temperatura, per trovarli così prima di girarmi verso il letto e di entrarci, come se quel gesto non lo avessi fatto io, come se qualcun altro che non esiste avesse compiuto per me quel gesto segreto di accoglienza.

Adesso è notte. Sono con gli occhi aperti nel buio, mi pare. Ma non saprei dire se sono sveglio o se sto dormendo. Ci sono state poco fa alcune scosse di terremoto. Ma lievi. Vibrazioni leggere che salivano dal profondo. Ma così leggere, così leggere che non saprei dire se mi hanno svegliato o se mi hanno fatto invece addormentare.

Mi è parso persino di avere sorriso un po’, riconoscendo la loro cara voce nel buio.