È proprio inverno. È tutto bianco di neve, a perdita d’occhio. Le montagne, i crinali, i sentieri, le siepi di rovi, i ruderi dai tetti di ardesia sfondati, i grandi alberi immobili da cui viene giù una polvere bianca, quando ci passo sotto camminando con gli stivali di gomma. Anche il cielo è bianco. Versi di animali non se ne sentono più, della terra, dell’aria. Assoluto silenzio.
Questa mattina, non so perché, ho messo le catene alla macchina e ho raggiunto il paese di quell’uomo che vive con le bestie, finché la neve è ancora fresca, prima che ghiacci e faccia slittare le ruote.
La neve frusciava, emetteva quel rumore di catastrofe soffice, mentre miriadi di cristalli uno diverso dall’altro venivano annientati nelle loro strutture e si agglutinavano sotto la pressa dei pneumatici della macchina.
Sono arrivato fino a quel paese, avanzando piano, lungo i tornanti bianchi, coi finestrini abbassati, nell’assoluto silenzio, nel mondo bianco. La neve appena caduta e non ancora pressata faceva attrito sotto le ruote. Vedevo di fronte a me solo distese bianche, si scorgevano a malapena i limiti dove finivano le strade e dove cominciava il resto del mondo.
Non c’era nessuno in quel piccolo spiazzo vicino alla chiesa. Tutte le case chiuse, solo qualche comignolo qua e là, che fumava.
Ho fermato la macchina. Ho raggiunto a piedi quel posto. Ma non c’era nessuno neanche lì. La montagna di letame era completamente bianca. Sono sceso lungo la piccola scarpata, con gli stivali di gomma ai piedi, cercando di non scivolare. Sono entrato dentro la stalla: era vuota. Non c’erano le bestie, non c’era quel video sopra il tavolaccio, non c’era neppure il tavolaccio. Non c’erano le capre, il cane, il caprone. Più niente.
“Sarà andato a svernare da qualche altra parte” mi sono detto. “Sarà andato in cerca di altre zone di pascolo. Oppure saranno saliti tutti su una di quelle astronavi a forma di uovo. Saranno in viaggio per chissà dove...”
Anche il piccolo cimitero è bianco. Sono sceso poco fa, camminando piano lungo la piccola strada. Si vede appena la luce dei lumini filtrare dai cappucci di neve.
Ha smesso per un po’ di nevicare, poi ha ripreso. Adesso sono seduto sulla seggiola di ferro. Sto guardando quella lucina sull’altro crinale. Si vede appena anche quella. Filtra da un punto cancellato del bosco, nello spazio attraversato da un turbinare bianco di neve.
“E poi un giorno si accenderà là vicino anche un’altra lucina...” mi sorprendo a pensare. “Ci saranno due lucine al posto di una sola. E io le guarderò da qui e mi dirò: ‘Ecco, questa terribile solitudine è finita. L’espiazione è finita’!”