Stamattina ho trovato una farfalla morta, tra la zanzariera e la finestra, dove è rimasta evidentemente intrappolata senza che io me ne accorgessi.

Non so se era proprio una farfalla, sembrava una di quelle bestioline alate che certe volte volano nelle case, scaturite da chissà dove, come le farfalle delle tarme che si formano invisibili nei cassetti, da quelle piccole larve deposte nella lana che crescono incorporando i suoi fili e che poi, a un certo punto, escono dall’oscurità e cominciano la loro nuova vita alata. Animali piccoli, invisibili, fastidiosi, che certe volte ti sbattono contro la testa, nel buio, mentre stai dormendo, ma che nella loro breve vita passano attraverso inimmaginabili metamorfosi.

Ecco, era come una di quelle farfalle. Però molto, molto più grande.

Ho aperto la finestra. L’ho presa per un’aluccia stecchita e sono andato a buttarla nel gabinetto. Ho tirato l’acqua, ma non è stata inghiottita. Ho aspettato che la vaschetta si riempisse e ho tirato di nuovo l’acqua. Ma evidentemente era troppo leggera. Continuava a volare là dentro, in fondo al water, nel mulinello dello sciacquone.

È andata avanti così per un giorno intero. Tornavo ogni tanto a vedere se la farfalla c’era ancora, se si era finalmente dissolta. Ma era sempre là, a filo d’acqua, leggerissima ma indistruttibile, neppure un frammento delle sue ali che sembravano così fragili si era staccato. Orinavo nel water, colpendola col getto, dall’alto. Ma non si rompeva. Tiravo di nuovo l’acqua, la farfalla riprendeva a mulinare là in fondo. Quando l’acqua finiva di scrosciare nel piccolo spazio dello scarico, la farfalla era ancora là, galleggiava a filo d’acqua con le sue ali aperte, stecchite: indistruttibile, intatta.

Fuori continua a nevicare. C’è un impressionante silenzio. È tutto bianco. Non si vede quasi più ciò che resta di questo borgo e dei ruderi. Le strade sono chiuse, azzerate. Non si può uscire perché non si distingue più dove finiscono i sentieri e dove cominciano i precipizi. Anche sul tetto della mia piccola casa grava un pesante strato di neve, anche i muri ne sono quasi nascosti, perché i fiocchi arrivano turbinando, di stravento, e si incollano alle pietre, ricoprono completamente anche i rampicanti, gli arbusti secchi e i veri e propri piccoli alberi che fuoriescono dai muri, spuntando dagli interstizi dove hanno attecchito tra la poca calce sbriciolata o addirittura dove non c’è niente. Non si capisce se è il mondo vegetale a penetrare dentro la casa o se è al contrario la casa a proiettarsi verso l’esterno.

Anche il crinale che c’è dall’altra parte è tutto bianco di neve. Ho guardato a lungo, quando è diventato buio, per vedere se si riusciva a distinguere ancora quella lucina. Ma non si vedeva niente, non si vede niente, solo il leggero bagliore della neve rischiarata dalla volta celeste che copre ogni cosa nell’oscurità più profonda.

Prima di andare a dormire, sono andato a guardare un’ultima volta dentro il water. La farfalla era sempre là. Ho tirato di nuovo l’acqua. Ha turbinato un po’, nel mulinello dello sciacquone. Poi è riemersa, con le sue ali completamente allargate, immobilizzate nel punto della loro massima espansione.

Mi sono chinato, ho allungato la mano dentro lo scarico e l’ho tirata fuori dall’acqua. Con l’altra mano ho staccato alcuni segmenti di carta igienica e li ho avviluppati due o tre volte attorno al corpicino irrigidito della farfalla, per fargli acquistare peso.

Ho tirato un’ultima volta l’acqua.

Solo allora, avvolta nel suo sudario, la farfalla si è finalmente inabissata.