Non si sente niente. Non si vede niente. Le montagne, il cielo, i boschi, i precipizi, i sentieri, le stradine di pietra, i ruderi e le poche case disabitate, il cavo che attraversa il borgo e che continua a portare la luce nella mia casa, chissà perché, chissà da dove, il parapetto, la seggiola di ferro dalle gambe affondate di fronte allo strapiombo bianco, le masse vegetali che spuntano dai muri, tutte piegate sotto il peso della neve... Anche dai muri delle altre case e dei ruderi spuntano forme vegetali, veri e propri alberi e siepi orizzontali che affondano le loro radici tra le pietre, suggendo dal loro duro cuore il proprio nutrimento, mentre le piante crescono verso l’esterno spenzolate nel vuoto, spingendo i loro tessuti e le loro fibre e le loro linfe direttamente dentro lo spazio. Ci sono ruderi che ne sono completamente ricoperti, non si capisce se sono case o boschi inclinati che si spingono dentro il vuoto. I rampicanti li hanno completamente avviluppati sotto la loro coltre, da cui erompono piccoli tronchi curvati che cercano di divincolarsi e di liberarsi dal loro terribile abbraccio.

Quando l’inverno finisce, questi vecchi muri e queste pietre si coprono di crudeli foglie nuove e di fiori. Nuvole di insetti appena nati ci volano intorno, tornano a gettarsi nelle loro piaghe profonde, entrano di nuovo a capofitto nelle ferite dei fichi cresciuti sui muri torcendosi verso l’alto per arrivare alla luce, dei meli e dei peschi selvatici dai piccoli frutti crivellati e straziati. Poi i frutti si disidratano, rattrappiscono, cadono, restano per un po’ attaccati ai rami sempre più spogli. Anche le foglie cadono, ricoprono i tetti franati, le radici urgono sotto le tegole di ardesia gelate, per carpire un po’ di linfa a quel mondo minerale sospeso dentro lo spazio.

Continuano a morire e a rinascere, a morire di nuovo, ogni cosa dentro lo stesso cerchio del dolore creato. Le loro cellule vegetali continuano a lottare disperatamente e a riprodursi e a duplicarsi in silenzio, e così continueranno a fare anche quando gli uomini non ci saranno più, saranno scomparsi dalla faccia di questo piccolo pianeta sperduto nelle galassie, ci sarà solo tutto questo tormento di cellule che lottano e si riproducono, finché arriverà ancora un po’ di luce dalla nostra piccola stella. Continueranno a spaccare e a sconnettere sempre più i muri tra le cui pietre le loro piccole radici si sono abbarbicate, i pavimenti, i soffitti, eromperanno passando attraverso i varchi delle finestre sfondate, spaccheranno i pochi vetri ancora intatti con la loro irresistibile pressione vegetale soffice, gettando in avanscoperta i loro peduncoli teneri oscillanti nello spazio in cerca di approdo, sconnetteranno e sfonderanno i tetti, invaderanno i sentieri, le stradine, le strade, venendo fuori con le loro minuscole cuspidi che si affacciano per la prima volta allo spazio. Divaricheranno le strutture intime della materia che incontreranno sulla loro strada, si insinueranno con il loro vuoto atomico nel loro vuoto atomico, faranno turbinare lo spazio vuoto con quei residui di particelle dotate di carica elettrica che galleggiano nello spazio vuoto. Sgretoleranno le case, le strade, le autostrade che ci sono lontano da qui, da qualche parte del mondo, le grandi città deserte piene di grattacieli e di torri, sfonderanno i vetri delle finestre, le saracinesche dei garage, faranno esplodere nel silenzio le tubature, i tombini, con il loro tormento vegetale e la loro muta pressione, le carrozzerie delle macchine, le pompe di benzina, le grandi strutture commerciali di vetro ai bordi delle metropoli. Lanceranno le loro colonne vegetali sui grattacieli, oltrepasseranno i tetti dei grattacieli coi loro ultimi uncini soffici, tasteranno in cerca di nuove strutture e di nuovi approdi dentro lo spazio. Nuove città risagomate e nuove visioni vegetali urbane fagocitate si affacceranno alle masse orizzontali liquide dei mari, degli oceani, lanciando ancora più avanti i loro uncini per ricongiungersi alle foreste dormienti sotto le loro acque mute nell’oscurità più profonda, per destarle dal loro sonno e ricoprire il mondo.

Ho passato tutta la giornata in preparativi. Ma, prima, ho messo in ordine la casa. Ho lavato i pavimenti, ho rifatto il letto, ho buttato via la cenere del camino. Ho lavato i piatti, il piano del fornello, l’interno del forno, le maniglie delle porte, i vetri delle poche finestre. Mi sono lavato anch’io, mi sono messo la biancheria pulita.

Prima di risalire, ho battuto a lungo i coperchi, per tenere lontane le bestie.

Adesso è buio. Ma il cielo è ancora bianco, per la neve che continua a turbinare sopra la terra. L’ho guardata poco fa dalla finestrella della mia camera. È tutto buio e bianco.

Ho vicino a me l’occorrente. Non metterò la sveglia, stanotte.

È difficile dire quello che sto facendo...

È tutto pronto.

Ecco, adesso è notte. Adesso è notte.