Cosa sta succedendo?

Stanno arrivando dei colpi.

Ma lontani, lontani.

Li ascolto per molto, da dove sono.

Ma dove sono? Perché non riesco a svegliarmi?

È passato del tempo.

Stanno arrivando ancora quei colpi. Qualcuno sta bussando alla porta della mia casa. Ma da lontano, da molto lontano.

Chi è che picchia così forte alla porta della mia casa?

Ho paura, ma non riesco a muovermi, non riesco a svegliarmi.

Perché faccio così fatica a svegliarmi?

Mi addormento ancora, anche se stavo già dormendo e quel rumore di colpi lo sentivo nel sonno.

Ancora, ancora. Quei colpi spaventosi arrivano fino a qui, da lontano, da molto lontano.

Che paura!

È tutto buio. È tutto nero.

Eppure quei colpi ci sono ancora. Più forti, sempre più forti. Qualcuno non si stanca mai di bussare alla porta così lontana della mia casa.

Vorrei cercare di svegliarmi, se sto dormendo, per alzarmi e andare ad aprire. Ma non ci riesco. Riprendo a dormire e ad ascoltare quei lontani colpi nel sonno.

Sta arrivando anche una voce, adesso, che grida, che grida.

Grida di aprire.

Apro gli occhi. Ma forse li avevo già aperti.

Non so se sto ancora dormendo o se sono sveglio. Mi sembra che sto sollevando la testa dal cuscino, che sto cercando di alzarmi dal letto.

Mi guardo attorno, ancora addormentato, intontito.

Allungo la mano verso il comodino. Accendo la luce. Ma non ci si vede, non si vede niente.

Cerco di tirarmi su, di sedermi.

Tasto il letto, la seggiola vicino al letto, mentre da lontano, da molto lontano, continuano a venire quei rumori di colpi e quelle grida.

Sento sotto le mie dita il mucchietto appallottolato dei calzoncini corti.

Me li infilo, in piedi sulle assi gelate del pavimento, tenendomi al muro con una mano per non cadere.

Mi infilo anche le calze, le scarpe, ancora addormentato, intontito.

Faccio qualche passo verso la scala di legno. Comincio a scendere, molto piano, un passo dopo l’altro, perché le mie gambe sono piccole e i gradini alti, molto alti.

Sono in cucina.

Vado verso la porta, camminando sul pavimento appena lavato, mentre continuano ad arrivare da sempre più vicino quelle grida, quei colpi.

Scorgo intorno a me, anche se mi sembra di non vedere niente, il tavolo bene in ordine, il piano del fornello, le maniglie lucidate, il camino pulito.

Arrivo finalmente alla porta.

La apro.

Apro anche le ante di legno, che stanno vibrando per i colpi.

C’è un uomo di fronte a me.

Si ferma improvvisamente, quando mi vede.

Anch’io mi fermo.

Si è abbassato il cappuccio della giacca a vento, si sta togliendo la neve dalle spalle, con una mano.

«Perché ci hai messo così tanto ad aprire?» mi chiede.

«Non riuscivo ad alzarmi.»

Mi guarda.

Anch’io lo guardo.

«Cos’è successo?» mi chiede ancora, a bassa voce, in un soffio.

«Mi sono ucciso.»

Mi continua a guardare con gli occhi spalancati, in silenzio.

«Vieni!» mi dice d’un tratto.

«Ma è notte fonda! C’è la tormenta!»

«Vieni!»

«Ma non si vedono più i sentieri! Non si può andare da nessuna parte! Non si vede niente!»

«Vieni!»

Gli do la manina.

Me la prende, con la sua grande mano.

«Dove andiamo?» gli chiedo.

«Non lo so.»