37.

«Andiamo a cercare Herr von Bohlen?»

Lasciata la cabina in cui Guy intendeva condurre gli interrogatori, Louisa e Unity stavano tornando al ponte B passando per la scala centrale. Louisa non aveva mai dovuto salire e scendere tante scale neppure in passato, quando, lavorando come domestica, era stata costretta a farlo spesso.

In cardigan celeste e abito di lino bianco con cintura, Unity era più graziosa che mai, eppure il suo contegno era privo di dolcezza e di fascino. Se Diana era un’affilatissima spada da samurai, Unity era una mazza da cavernicolo rozza e pesante. L’unica cosa che si poteva dire a suo favore era che quando parlava non si poteva mai dubitare di ciò che intendesse dire. Per ingenuità, ignoranza o impazienza, non era mai evasiva. Se era interpellata, rispondeva, e se non voleva parlare, stava zitta. O parlava chiaro o taceva, senza sfumature e senza mezze misure.

«Perché?»

«Perché voglio vederlo e perché può aiutare a scovare l’aggressore» rispose Unity, con il respiro lievemente accelerato.

«Non intendo trasgredire gli ordini del sergente Sullivan» ribatté Louisa. «Perciò andremo a cercare Sir Clive Montague».

«Benissimo» cedette Unity, con il suo solito broncio.

L’atmosfera sulla nave era percettibilmente cambiata. Si parlava sottovoce, eppure non vi era silenzio. Ovunque, tutti parlavano sussurrando in modo concitato e avevano espressioni scandalizzate. Si diffondevano rapidamente le dicerie su chi avesse fatto cosa a chi. Molto probabilmente fra i passeggeri e l’equipaggio circolavano già dieci versioni diverse della storia. Mentre l’isteria cresceva, diventava sempre più necessario trovare Jim. Con il cuore palpitante, Louisa pensò che non poteva essere andato lontano, ammesso che non si fosse gettato in mare.

Come aveva riferito Logan, la cabina di Sir Clive era la B38, a sinistra, mentre le cabine dei Fowler e delle Mitford erano a dritta. Louisa aveva la sensazione di avere nel petto un orologio che scandiva inesorabilmente il trascorrere del tempo, e il suo cuore era la lancetta dei secondi. Mancavano meno di ventiquattr’ore all’arrivo della nave a Roma, la mattina seguente. Se non fosse stato trovato nel frattempo, Jim avrebbe avuto buone possibilità di fuggire. Le chiacchiere sottovoce dei passeggeri non erano l’unica cosa insolita. Il personale in servizio, più numeroso del solito per sorvegliare i ponti e le scale, era in massima allerta, consultava troppo spesso l’orologio e scoccava occhiate in tutte le direzioni. Ce n’era abbastanza per diventare paranoici.

Unity tirò Louisa per un braccio e le sussurrò all’orecchio: «Credi che l’assassino se ne vada in giro armato per tutta la nave, pronto a colpire ancora?»

Louisa sperò che il proprio viso non lasciasse trapelare in alcun modo la paura. «Certo che no. Rimarrà nascosto, se ha un minimo di buon senso».

«Pensi che sia un uomo?»

«Non lo so, però mi sembra probabile». Distratta, Louisa si scontrò con un altro passeggero, corpulento, rosso in viso e ancor più rosso di capelli. «Mi scusi, signore».

«Stia più attenta, signorina» ribatté il passeggero, mentre un rossore improvviso gli accentuava il colorito. «Sa che stanno cercando un uomo armato? È un tipo pericoloso, che potrebbe essere ovunque». Agitò comicamente le sopracciglia e si affrettò ad andarsene.

Louisa ebbe l’impressione di sentirlo ridacchiare. Talvolta perdeva ogni speranza per la specie umana.

Svoltando rapidamente altri due angoli, giunsero alla cabina B38.

Mentre Louisa bussava alla porta, Unity mormorò: «Cosa intendi dirgli?»

«Escogiterò qualcosa» rispose Louisa, niente affatto sicura.

Nessuno aprì.

Louisa bussò di nuovo.

Unity accostò un orecchio alla parete, poi scosse la testa. «Non sento niente».

«Forse è andato a colazione». Immobile dinanzi alla porta, Louisa non sapeva cosa fare e al tempo stesso si rendeva conto che ogni secondo di incertezza era un secondo sprecato.

Proprio quando Louisa e Unity erano in procinto di salire al ristorante del ponte A, si udì uno scatto e la porta fu aperta da Sir Clive, impeccabilmente vestito come sempre. «Signorina Mitford…»

Mentre Sir Clive la fissava interrogativamente, Louisa notò che non aveva ancora indossato i gemelli. Poi si rese conto che non poteva parlargli perché non gli era stata presentata, e che, in quanto cameriera personale, non avrebbe mai potuto essergli presentata. Così, il più impercettibilmente possibile, urtò Unity.

«Mi scuso per il disturbo, Sir Clive» esordì Unity.

«Nessun disturbo. Come posso aiutarla?» Sir Clive uscì in corridoio e accostò la porta alle proprie spalle.

Disperata, Unity guardò Louisa, poi comunque insistette. «Immagino che abbia saputo cosa è accaduto la notte scorsa…»

Sir Clive lanciò rapide occhiate al corridoio deserto. «Sì, certo…» Quindi parve concentrare di nuovo l’attenzione su Unity. «Lei è stata forse… in qualche modo coinvolta? Può dirmi come sta la signora Fowler?»

«No, non sono stata coinvolta, non davvero…» balbettò Unity. «Credo che la signora Fowler stia bene…»

Presentazione o non presentazione, Louisa decise di intervenire. Dopotutto, niente era normale, quel mattino. «Sir Clive, potrebbe seguirci, per favore? Naturalmente la signora Fowler è molto turbata dagli eventi della notte scorsa. Suo marito è in gravi condizioni. È stata avviata un’indagine di polizia…» Louisa s’interruppe e rimase immobile nell’udire all’interno della cabina uno strepito, seguito da un tonfo sordo, come per la caduta di qualcosa, o di qualcuno.

Sir Clive rimase impassibile.

«Cos’è stato?» domandò Unity, cercando di sbirciare nella cabina.

«Probabilmente alcuni libri caduti da uno scaffale» dichiarò Sir Clive, laconico, tenendo risolutamente socchiusa la porta. «Succede spesso, a ogni rollio della nave. Non capisco perché si prendano la briga di lasciare libri nelle cabine».

La nave non aveva minimamente rollato. Benché fosse in alto mare, le acque erano calmissime. Evidentemente nella cabina c’era qualcuno.

«In questo momento non posso spiegarle nulla, Sir Clive» riprese Louisa. «Tuttavia la prego di seguirci. Il suo aiuto è necessario».

«Non capisco cosa si possa volere da me». Sir Clive si voltò verso Unity. «Mi perdoni, mia cara. Sarei felice di assisterla, se potessi, tuttavia temo che questa faccenda non abbia nulla a che fare con me. Sarebbe così gentile da porgere i miei omaggi a sua sorella e a sua madre?» Ciò detto, dischiuse la porta e si accinse a sgusciare all’interno.

Louisa lo afferrò per un braccio. «Sir Clive, a bordo della nave è presente un poliziotto che insiste per parlare con lei. Non pensa che sarebbe tutto più semplice se ora lei ci seguisse? In tal caso non sorgerebbero pettegolezzi. Comunque, temo che i passeggeri abbiano già riconosciuto mio marito».

Sir Clive s’immobilizzò. «Suo marito?»

«Sì. Io sono qui in qualità di cameriera personale di Lady Redesdale, ma mio marito è il sergente investigativo Sullivan del CID». Louisa allentò la presa, consapevole di avere la meglio. «Vogliamo andare?»

Riconoscendosi sconfitto, Sir Clive chiuse la porta.

Finalmente tutti e tre si avviarono lungo il corridoio, poi imboccarono le scale che scendevano alla stanza degli interrogatori.