39.

Durante il lungo tragitto dal ponte B al ponte D, Sir Clive e Louisa non pronunciarono una sola parola, mentre Unity, molto insolitamente, ciarlava senza interruzione, per fortuna non dell’aggressione, bensì degli innumerevoli motivi per cui pensava che Herr Wolfgang e la sua patria fossero tanto affascinanti, audaci e straordinari. Intuendo che Unity, a parte la sua infatuazione per Wolfgang, doveva essere nervosa, Louisa si sentì in colpa per averla implicata in quella situazione alquanto sgradevole. D’altronde non aveva avuto scelta. La brutale aggressione aveva involontariamente coinvolto, chi più chi meno, tutti coloro che si trovavano a bordo della nave, equipaggio e passeggeri, e nessuno poteva sottrarsi, perché la Princess Alice navigava in alto mare, in acque profonde, da prima ancora che si sapesse che l’aggressore era libero a bordo della nave, e si nascondeva.

Era urgente informare Guy che la cabina di Sir Clive doveva essere perquisita per scoprire la causa del rumore che si era udito e che non poteva essere stato provocato dalla caduta di alcuni libri. Louisa continuava a chiedersi perché Sir Clive stesse nascondendo qualcuno, anzi, giacché l’unica persona a bordo della nave che aveva motivo di nascondersi era l’aggressore, perché stesse nascondendo colui che aveva assalito Joseph, l’ex socio d’affari che gli doveva molto denaro.

Ah!

Era mai possibile che Sir Clive proteggesse l’aggressore perché ne era il mandante e se ne era servito per vendicarsi?

Come se nulla fosse cambiato, come se non nutrisse alcun sospetto e non sapesse niente di niente, Louisa continuò a camminare, reprimendo l’impulso violento a girarsi di scatto per tornare di corsa alla cabina di Sir Clive. Nel frattempo il tragitto cominciò a sembrare lungo, ripetitivo, opprimente. All’interno della nave faceva troppo caldo e i sussurri dei passeggeri sembravano echeggiare, tanto che Louisa aveva difficoltà a distinguere ciò che udiva da ciò che pensava. Nel giungere alla cabina degli interrogatori temette di svenire. Bussò alla porta, quindi, senza attendere risposta, si precipitò oltre la soglia e rapidamente si accostò a Guy, seguita da Sir Clive, ora evidentemente a disagio, e da Unity, che finalmente tenne a freno la lingua.

Sul momento Guy trasalì, poi vide la moglie e parve capire. «Sir Clive Montague, presumo? La ringrazio molto di essere qui. Non la tratterrò a lungo. Prego, si accomodi. Sarò da lei fra un momento».

Come se avesse appena visto il fantasma del Natale passato, Sir Clive sedette, mentre Guy conduceva Louisa e Unity fuori dalla cabina e si chiudeva la porta alle spalle.

Con urgenza, Louisa dichiarò: «Credo che Sir Clive nasconda qualcuno in cabina. Bisogna andare subito a controllare. Potrebbe essere già troppo tardi».

«Non ho nessuno a cui affidare questo incarico. Logan e tutti gli ufficiali sono a censire equipaggio e passeggeri per stabilire chi manca. Io sono solo, qui».

«Allora deve andare lei. Ci vorrebbe troppo tempo per chiamare qualcun altro» intervenne Unity.

Per un attimo, marito e moglie la fissarono come se avessero dimenticato la sua presenza.

«Ha ragione» convenne Guy. «Devo andare io. Se è l’aggressore, potrebbe essere pericoloso. Voi dovrete restare qui a sorvegliare Sir Clive. Dubito che intenda andarsene».

«No, ma… Se sospettasse che sei andato nella sua cabina? Grande e grosso com’è, dubito che potremmo trattenerlo».

«Continuo a dire che abbiamo bisogno di Herr Wolfgang» insistette Unity.

«No!» ribatterono Guy e Louisa, in coro.

«Dovrò chiuderlo a chiave» decise Guy. «Louisa, io e te andremo nella sua cabina. Signorina Unity, la prego di recarsi nell’ufficio del capitano a cercare qualcuno che possa venire qui e rimanere di guardia. Correrò il rischio che Sir Clive sfondi la porta. Anche se ci provasse, non credo che ci riuscirebbe: queste porte sono solide».

«Io non posso andare da nessuna parte da sola…» Unity s’interruppe. «Accidenti! Che importa? Vado io! Dove ci ritroveremo?»

«Torni qui. Comunque vada, non tarderemo, spero» rispose Guy, cupo.

Louisa sapeva di tradire l’impegno assunto con la famiglia Mitford, tuttavia era soltanto perché suo marito aveva più bisogno del suo aiuto, e anche Iain, di cui sperava di ricevere notizie entro breve tempo. Intanto avrebbe dovuto apprendere tutto il possibile su quello che stava accadendo.

Sfilata di tasca una chiave, Guy chiuse la porta il più silenziosamente possibile, senza poter impedire l’inequivocabile scatto sordo del chiavistello. Nessuno dei tre attese la reazione di Sir Clive.

Questa volta, affinché nessuna necessità di cautela li rallentasse e nessun passeggero li vedesse e si allarmasse, Louisa condusse Guy alla scala di servizio. Di corsa, salirono al ponte B e ne percorsero i corridoi fino alla cabina di Sir Clive, la cui porta era chiusa.

«Ha usato la chiave?» sussurrò Guy.

«Mi sembra di no, ma non sono sicura» rispose Louisa. «Forse doveva accertarsi che la persona all’interno non potesse uscire».

Guy annuì, poi, mentre Louisa lo fissava, dichiarò: «Entro io per primo. Tu resta accanto all’entrata». Spinse la porta e varcò la soglia.

Louisa lo seguì, poi, ubbidendo alle istruzioni, richiuse silenziosamente l’uscio e si fermò. Vide subito che era una delle cabine più eleganti, più simile a quella di Diana che a quella di Unity. Il sole entrava dalle grandi finestre e le pareti erano tappezzate di carta da parati azzurra con disegni in rilievo, che riproduceva i cieli del Mediterraneo.

Mentre Guy camminava senza fare rumore sulla spessa moquette, Louisa osservò lo stretto corridoio che conduceva alla camera da letto e al bagno, e forse anche a uno spogliatoio, senza vedere alcunché di insolito. Per un minuto interminabile non sentì e non vide nulla, assordata dal pulsare del suo stesso sangue, simile al frangersi della risacca su una spiaggia sassosa. Poi sentì gridare due voci maschili, non in maniera concitata, né rabbiosamente. Allora osò accostarsi alla porta del salotto per guardare all’interno.

Senza sembrare spaventato, Guy sollevò una mano per fermarla.

Sporgendosi a guardare oltre l’angolo, Louisa vide, accoccolato dietro il divano e addossato alla parete, Jim Evans, con le ascelle chiazzate di sudore, il viso cinereo, gli occhi sgranati di paura. «Mi spiace… Mi spiace…» ripeteva incessantemente. «Non sapevo cosa fare… Non sapevo dove andare…»

Louisa entrò nel salotto. Non c’era nulla di cui aver paura, ma c’era tutto da chiedere.