Le case di Hunting Glen dove sono cresciuto erano disponibili in quattro modelli – Adams, Beaufort, Caroline e Denver – ma erano solo variazioni su uno stesso tema: una aveva il garage sulla sinistra, una sulla destra, una era a due piani, l’altra aveva la camera da letto principale al piano terra. Si poteva scegliere fra sedici diversi colori. L’intero comprensorio sembrava fosse stato costruito in un solo pomeriggio. Mio padre diceva sempre: «Se arriva il lupo cattivo, mi raccomando aprigli la porta». Aveva soprannominato il complesso «l’Inferno dell’identità» e quando si percorrevano in macchina quelle strade con i praticelli curati a puntino, una svolta a destra su Walnut Road, poi a sinistra su Chestnut, di nuovo a destra su Pecan, era facile perdersi.
Appena rividi la casa fermai la macchina. Da un centinaio di metri di distanza si vedevano parecchi tavoli piazzati in giardino e una folla di vicini che frugava fra le nostre cose. Poi vidi mia madre, che saltellava qua e là per il prato e chiacchierava con tutti. Stava mettendo in vendita la roba vecchia. Una rabbia bruciante mi graffiò le vene. Rimasi seduto immobile dentro la macchina a guardare un padre di famiglia tarchiatello e decerebrato che faceva domande sulla nostra vecchia sega elettrica.
Mia madre ha vinto il titolo di Miss Teenager Ohio: basta questo a farvi capire che tipo è. Prende sul serio la storiella del coniglietto pasquale e si incazza a morte se uno cerca di insinuare che è stata lei a nascondere le uova o tenta in qualunque maniera di raffreddare il suo entusiasmo. A Natale, incarta regali per il suo minuscolo maltese bianco e tutti devono stare seduti intorno all’albero a guardarlo mentre disfa i pacchetti a unghiate. In quel momento mia madre stava danzando per il giardino, beandosi di essere al centro dell’attenzione di tutto il vicinato. I capelli castano chiaro appena lavati brillavano come nella pubblicità di un balsamo. E un’altra cosa che dovrei fare presente a proposito di mia madre è che probabilmente è andata a letto con un quarto degli uomini della città. Non riesce a trattenersi; i ragazzi la fanno impazzire, lo riconosce lei stessa. Un tempo mi dava fastidio, ma ormai ci ho fatto il callo. Seduto nella Nova a guardare quel mercatino improvvisato mi sentii come se mi stessero derubando. Una ventina d’anni di frustrazione stavano per esplodermi dentro il cranio come una granata. Non riuscivo a muovermi. Rimasi a fissarla mentre sfrecciava da una parte all’altra come uno scoiattolo, dimenando in mezzo ai tavoli quel bel corpo ancora da modella. I miei fratellastri svolazzavano tra la gente con rotoli di banconote in mano. Audrey e Julian, lei sedici anni e lui dodici, sono due bei ragazzini, ed erano vestiti in perfetto stile rapper da hit parade. Audrey portava una maglietta a macchie di colore da fricchettona, ma comprata in una qualche boutique e stirata a puntino, e Julian un completo da vero duro con un drago ricamato sui pantaloni: una sorta di look orientale pseudobuddista.
Non trovavo la forza né di spegnere il motore né di avvicinarmi. Rimasi semplicemente a guardare. Christy mi fissava. Sentivo la sua preoccupazione su un lato della faccia, come se emanasse calore.
Julian era intento a contrattare la vendita della vecchia chitarra Martin di mio padre. La metà inferiore dello strumento era annerita e bruciacchiata. Ricordavo ancora perfettamente la sera in cui mio padre gli aveva dato fuoco. Fino a quando non sono cresciuto e non ho avuto altri termini di paragone, non mi sono mai reso conto del livello di eccentricità raggiunto da mio padre. Quando avevo cinque anni non conoscevo che lui, e le sue folli buffonate per me erano la norma. Quella volta eravamo seduti sul pavimento del seminterrato alla debole luce di una lampada da tavolo, intenti a dipingere dei pupazzetti di plastica di indiani e cowboy comprati in un negozio di giocattoli di lusso. Non era la solita roba: ogni pupazzetto era unico, costruito con particolari precisi e dotato di cinturone e pistola diversi da quelli degli altri. Era sera tardi, avevamo dipinto le figurine con i miei colori da modellismo, guardando programmi sportivi in tv per ore e ore. Non mi ricordo dove fosse mia madre, comunque non era in casa. Alla fine mio padre si stufò, tirò fuori la chitarra, prese un po’ di acquaragia e la versò sulla parte inferiore della cassa. Disse che voleva farla assomigliare a quella di Willie Nelson. A quanto pare Willie possiede una Martin particolarmente maltrattata, e mio padre voleva che la sua assomigliasse a quella. Con dei fiammiferi diede fuoco alla chitarra, e subito cominciò ad agitarla a destra e a manca, cercando di spegnere le fiamme prima che la danneggiassero troppo. Be’, ovviamente più dondolava quell’accidente e più il fuoco cresceva. Alla fine corse via dalla porta sul retro e si mise a strofinarla sull’erba. Le fiamme lasciarono un buchino in fondo alla base, ma tutto sommato l’idea funzionò. La chitarra adesso era fica da morire a guardarla, e aveva anche un tocco in più di basso nel suono che non era niente male.
Mi mossi nervoso sul sedile mentre quel soldo di cacio di Julian col drago sui pantaloni vendeva la chitarra a una casalinga di mezza età per quelli che mi sembrarono quindici dollari.
«Quella è la Martin di mio padre» dissi ad alta voce.
«Non ci pensare» disse Christy. «Ce la fai?»
Continuai a guardare mentre oggetti che riconoscevo e altri che non mi dicevano niente passavano di mano in mano e venivano venduti. Feci svariati respiri profondi e mi resi conto di quanto ero profondamente incazzato con tutta quella gente. Mio padre mi mancava, ma la domanda che forse avrei voluto fargli più di tutte era una domanda a cui non era la persona adatta per rispondere: Che cosa devo farci con tutta questa rabbia? Qual è la maniera giusta per manifestarla? Dio sa se ero stufo e arcistufo di trovarmela in continuazione fra i piedi.
Diedi gas, mandai su di giri il motore due o tre volte e feci bruscamente inversione. In mezzo alla strada camminava quella cafona con la Martin di mio padre in mano. La reggeva per il manico come fosse un pollo morto.
Tre rapide svolte a destra ed ero di nuovo sulla statale. E vi dico una cosa a proposito di quel pomeriggio. Da allora ho rivisto mia madre in tante occasioni, ma quella è stata l’ultima volta che ho provato a tornare a casa.