22.  DIVENTARE VEGANIANI È UN OBIETTIVO PER TUTTI INDISTINTAMENTE

Ivegetali non hanno sistema nervoso, e pertanto la loro reattività è presumibilmente assai contenuta. Qualcuno ipotizza che anche le carote soffrano quando vengono sradicate e mangiate. Può darsi. Ma non possiamo catalogare le loro reazioni come grandi sofferenze. In ogni caso riteniamo giusto il principio di minimizzare i danni e le sofferenze che infliggiamo a chiunque sia vivo, animale o pianta.

Non è comunque qui che ci si intenerisce troppo e che si diventa vegan o vegani.

Ben altre sono le motivazioni che ti incanalano e ti catapultano verso tale scelta di pensiero e di vita.

La apparizione improvvisa e casuale di un camion stipato di animali in autostrada, o il transito lento di un vagone stracarico di maiali o di bovini vocianti in una stazione ferroviaria, gli occhi spaventati e tesi di una mucca, il musetto sofferente di un vitellino o di un manzo che tenta di sporgere fuori la testa, quasi a volerti dire qualcosa, e si resta colpiti, e scatta qualcosa dentro.

Dopotutto si tratta di bambini e di adolescenti di un’altra specie, che hanno già provato esperienze durissime fatte di stenti e di privazioni, di limitazioni gravissime della libertà di movimento e di vita. Oggi come oggi a nessun bue e a nessuna mucca viene concessa l’opportunità di conoscere l’età adulta.

Bambinone e ragazzine a quattro zampe che vengono ingravidate artificialmente a ripetizione, col fine dichiarato e pianificato di fare sei vitellini, e di produrre tre cisterne di latte entro il quarto anno di vita. A quella età raggiungono il loro massimo peso e sono state sfruttate a dovere. Sembrano degli esseri adulti, ma sono solo ragazzine-madri violentate prima da una fredda siringa spermatizzata, e derubate poi impietosamente delle loro piccole creature. Commercialmente non valgono molto a quella età. Producono meno latte di prima e oltre il quarto anno corrono persino il concreto rischio di sviluppare tumori e cancri che ne azzererebbero il valore come prodotto da macelleria. In più, la loro carne diventerebbe in ogni caso più dura e scadente. Quindi meglio eliminarle prima.

Incrociare lo sguardo di queste creature è già sufficiente a imbarazzarti e a farti sentire in colpa.

Ma la simpatia e la tenerezza verso gli animali, l’insofferenza nei riguardi dei soprusi, delle torture nei loro confronti, delle carneficine e dei massacri, esistevano già forti dentro di noi. Il disprezzo e il disgusto nei riguardi di chi uccide e di chi delega a uccidere è inevitabile. Il vero macellaio non è infatti il garzone che brandisce il coltellaccio e decapita con gesti meccanici e crudeli le povere bestie, ma la gentile ed elegante consumatrice della fettina di vitello, la tenera mamma che prepara il panino col prosciutto ai suoi ragazzi, i bambini che masticano mortadelle e grassi animali senza sapere neanche di cosa si tratta, il signore distinto che disossa con cura la sua fiorentina, il pacifista che sfila con le sue bandiere e che addenta la sua razione di pane e wurstel, il gentiluomo che assapora con cura il suo spezzatino. Questi sono i veri macellai e i veri inconsapevoli boia. Non il sottoproletariato costretto a muoversi su pavimenti insanguinati e mura intrise dal sapore rivoltante della morte violenta, per una manciata di banconote inseguite per sopravvivere.

Qualcuno di questi mangiatori si ravvede prima o poi, per sua e nostra fortuna, e lascia finalmente la carne. Ma poi, per anni, continua a nutrirsi di formaggio e di uova, e non si rende conto che in questo modo sta sempre uccidendo indirettamente mucche e vitellini, pulcini e galline, ed in più sta sempre minando la sua salute e il suo karma.

Viviamo in un mondo afflitto da carnivorismo imperante. Il mondo non è vegan. Il mondo odierno è fatto su misura per i carnivori. I posti peggiori per un vegan sono i bar e gli autogrill, dove trovare un panino accettabile, non inquinato da puzza cimiteriale di morte, è autentica impresa.

Gli aminoacidi essenziali, chiamati così da un certo dr. Rose nel 1949, in seguito a esperimenti condotti su topi bianchi che hanno, nota bene, un fabbisogno proteico del 700% superiore all’uomo, hanno avuto un impatto decisivo. Dopo una lunga lotta ideologica sul quantitativo giornaliero di proteine, che la FDA americana aveva spinto a livelli incredibili tipo quote giornaliere da 200-300 grammi, e dopo un armistizio sulla inammissibilità di abusive e pseudoscientifiche denominazioni tipo proteine nobili e proteine essenziali, FAO e OMS si misero d’accordo nel 1993 su un quantitativo ottimale di 0,5 grammi per chilo di peso corporeo. Settanta chili di peso uguale 35 grammi/giorno di proteine pure e semplici, prive di connotazioni nobiliari. In realtà anche tale livello ragionevole risulta essere eccessivo, poiché quando si supera una immissione di proteine superiore ai 30 grammi al giorno si fa scattare la peggiore emergenza corporale, ossia quella della acidificazione del sangue.

Perse, ma mai del tutto, le denominazioni di comodo tipo proteine nobili e aminoacidi essenziali, pediatri e medici antivegetariani si sono ritrovati con la sola carta pro-macello della B12, usata poi a sproposito in tutte le salse e in tutte le campagne di stampa. Eppure, non si è mai sentito al mondo che qualche vegetariano o vegan abbia accusato carenze di tale vitamina. È semmai la putrefazione dei cibi carnei nell’intestino vegetariano umano a ostacolare il fattore intrinseco per la formazione e il rinnovo interno della B12, per cui a rischio sono semmai i consumatori di carne.

Persa la causa della B12, si vanno a rispolverare altre carte e vecchie terminologie desuete e riverniciate, nuovi trucchi e imbrogli da giocare, più sofisticati e misteriosi, ma anche più futili e inconsistenti, quali gli Omega-3 a vantaggio del pesce e il Ferro-Eme da carne sanguinante, contrapposto allo scadente Ferro-Non Eme, a vantaggio della fettina di vitellone al sangue.

A riprova che la peggior categoria di medici e di consulenti, la più corrotta, la più diseducativa e deculturante, è quella dei nutrizionisti da televisione e da quotidiano, i cui nomi si conoscono bene, visto che hanno posti fissi e rubriche giornaliere a disposizione sui maggiori canali di ascolto di ogni televisione del mondo.

Il processo di globalizzazione ha funzionato benissimo in questo caso. Tot macelli per chilometro quadrato e per numero di abitanti, tot investimenti per pubblicità a sostegno.

In realtà vegan non si diventa. Si è o non si è. Si decide di esserlo e ci si comporta coerentemente oppure si opta per rimuovere i giusti freni inibitori di cui siamo dotati, ed ogni materiale sanguinante diventa via via accettabile ed attraente.

Essere vegan è vibrare in sintonia con qualsiasi creatura a noi più lontana. Essere vegan è facile, perché spontaneo e naturale, molto più difficile invece vivere vegan e tradurre in pratica i principi del veganismo. Vivere vegan è disciplina continua, è stare attenti a cosa si compra, a come ci si veste, a cosa si mangia. È la perfezione teorica e la quasi totale impossibilità di raggiungerla.

Essere vegan è osservare la montagna, vivere vegan è scalarla, scrivono Marina Berati e Massimo Tettamanti, nel bel manuale Diventa vegan in 10 mosse, edizioni Sonda.

Fare la scelta vegan significa evitare ogni complicità con l’assassinio continuato di esseri spaventati e disperati, martoriati dal primo all’ultimo istante della loro esistenza, costretti a dirigersi controvoglia verso il cancello della morte sicura, mandati alla sconvolgente esperienza del patibolo senza nessuna colpa da scontare.

Essere vegan significa cercare di vivere su livelli estetici e morali sicuramente più elevati e più consoni alla nostra personalità di uomini pensanti.