24.  UNA ESPERIENZA DIRETTA ALL’INTERNO DI UN MACELLO TI TOGLIE OGNI DUBBIO

Poco importa se il padrone del macello confessa incredibilmente che pure lui ama gli animali, anche se ne ha massacrati ormai centinaia di migliaia, anche se ne massacrerà altrettanti o ancora di più.

Scorgiamo due bovini, o meglio due vitelloni dai grandi occhi irrequieti, già spaventati a morte – proseguono la Berati e il Tettamanti. Tendiamo stupidamente le nostre mani verso di loro per una ultima carezza, ma si scostano terrorizzati. Noi siamo qui a curiosare, anche se col cuore a pezzi e il battito cardiaco impazzito, ma loro stanno invece aspettando la loro morte, la loro razione di pistola e di lame taglienti. Hanno appena intravisto i loro fratelli morire poco prima. Li hanno fotografati negli occhi e nell’anima mentre scalciavano e urlavano, mentre cercavano invano di riguadagnare la zona da cui erano entrati, mentre esalavano gli ultimi singhiozzi e gli ultimi mugugni di morte.

Ma ecco arrivato il momento. Un cigolio metallico e si apre il cancello dell’orrore, dopo il quale c’è un piccolo recinto, disegnato a misura di bovino, che ti costringe a stare fermo e in piedi, con la testa infilata e immobilizzata, a comoda disposizione del boia.

Il primo vitello esita un po’ ma alla fine vi infila la testa e le zampe anteriori. Ancora un passetto avanti e una sbarra scende posteriormente, e il giovanotto con tuta e grembiule di cuoio, che gli sta di fronte, sembra allungare una mano per fargli una carezza, mentre invece gli appoggia sulla testa la pistola e, con meccanica e precisa disinvoltura, spara un colpo secco. L’animale stramazza a terra stordito. È tuttora sensibile e attento a quanto gli sta intorno. Ce ne vuole ben altro per stroncare un organismo di tale portata. Il poveretto sente tutto il dolore nelle peggiori forme e variazioni. Mica gli hanno dato un anestetico. Viene agganciato con un uncino e un catenaccio per una zampa posteriore, e sollevato da terra con un argano. Il peso dell’enorme animale scassa e disintegra i legamenti di quella povera esile gamba con uno spasmo di sofferenza assai peggiore del colpo alla testa. Lo stordimento non è affatto totale. Ci vuole ben altro per intorpidire un ragazzotto bovino di pochi mesi, un bestione cresciuto così in fretta, ma pur sempre una disgraziata creatura adolescente, non abituata di sicuro al dolore lancinante provocato dalla gamba rotta. L’animale è ancora integro, sente e vede tutto, anche se sta a testa in giù. Si dimena e si divincola, ma il dolore aumenta, e mugola a piena voce, come per chiedere aiuto da qualcuno e da qualche parte. Ma non c’è nessuno al mondo che voglia ascoltare le sue implorazioni e fare qualcosa per lui. Esiste semmai una serie interminabile di piatti speciali e di menù, nella rete mondiale ristoranti, dove sta scritto il suo nome in tutte le lingue, a garanzia che nulla del suo corpo verrà scartato, ed esiste una massa enorme di clienti nel mondo felice dei bipedi, pieno di luci e musiche e suoni sinistri di forchette e di coltelli, desiderosa solo di sbranarlo. Filetto di manzo, bisteccone di manzo, fegato di manzo, lingua di manzo, coda di manzo, testicoli di torello. Altro che aiuti.

I suoi lamenti rimangono dunque inascoltati, ma riempiono la sala torture e rimbombano nei dintorni. Terrorizzano pure la seconda bestia in attesa del suo turno.

Ma ecco intanto arrivare un secondo garzone. Ha nella mano sinistra un lungo coltellaccio dentato, e impugna nella destra una affilatissima accetta. Gli taglia di netto la gola, mentre il sangue inizia copiosamente a sgorgare intasandogli bocca, narici e occhi.

Ha ancora il tempo di assistere, come in un brutto sogno pieno di incubi, al proprio doloroso sventramento, con le lame che gli lacerano impietosamente lo spesso manto peloso dall’alto verso il basso, con forza impietosa.

La scuoiatura gli ha fatto perdere ogni maestosità e ogni protezione estetica. Le manacce inguantate e insanguinate dei garzoni si sono introdotte nei meandri del suo ventre per strappar fuori con violenza impietosa la massa fumante di budella e interiora. Sono proprio gli ultimi istanti più flebili, quando ormai il dolore fisico lascia il posto alle ultime sensazioni agghiaccianti, alle ultime appannate scene della propria vita distrutta e portata via.

Lo stacco finale della testa toglie ogni più piccolo rimasuglio dell’incubo infinito cui ha dovuto assistere. È diventato un nudo cadavere pelato privo di mantello, che sgocciola gli ultimi umori e le ultime urine, pronto per essere timbrato, etichettato e trasferito in celle frigorifere. Il peggio è ormai passato. Ancora qualche piccolo movimento di assestamento. Ma non si divincola più e non scalcia più, ed ha smesso pure di lamentarsi. Non dà più alcun segno di vita.

È diventato carne da macelleria. Solo la sua anima calpestata e il suo spirito offeso aleggiano intorno alle mura del macello a osservare dall’alto e dall’etere le scene e gli accadimenti successivi.

I boia col grembiule eseguono tutto il lavoro meccanicamente, come fossero dei robot, in totale disinvoltura. Quello che ha ancora in mano il coltellaccio riesce persino a fischiettare un motivetto. Questo è dopotutto il ventesimo vitellone sgozzato nella prima mattina, e presto raggiungerà la quota prevista di 30 capi, terminando anche per oggi il suo turno di lavoro. Un Euro a capo significa un biglietto da 30, niente affatto male come cottimo giornaliero da aggiungere al misero salario sindacale di 1500,00 € al mese più straordinari.

I due garzoni sono pronti per passare al secondo vitellone. Non si sono nemmeno accorti che noi siamo rimasti agghiacciati, e che la nostra vista si è annebbiata per le lacrime. In ossequio alla richiesta del padrone, uno dei due ci conduce a una enorme cella frigorifera, dove c’è una decina di file di cadaveri scuoiati e appesi. Le file sono talmente lunghe che non riusciamo a intravederne la fine. Questo è un mattatoio di dimensioni medio-piccole, con una potenzialità di magazzino di un migliaio di capi. Veniamo alla fine accompagnati in un’altra stanza degli orrori, dove le scansie sono riempite da centinaia di teste mozzate di mucche, tori e vitelloni.

Quando riguadagniamo l’uscita, ci rendiamo conto che l’aria ha un sapore totalmente diverso da quanto abbiamo respirato all’interno. Segno che, stando lì dentro anche per poche ore, ci si abitua persino all’aria impregnata di sangue. Ma non abbiamo ancora visto il peggio. Mancano i macelli dei maiali, dove l’inferno supera ogni immaginazione. Perché ne ammazzano centinaia e centinaia ogni giorno, perché lo stordimento spesso non funziona, e gli animali vengono sgozzati e poi gettati nelle vasche di acqua bollente ancora vivi e coscienti. Morire annegati ed ustionati in un sol colpo, un record mondiale di dolore per questi esseri indifesi. Ce ne torniamo a casa distrutti.