34.  MASSE MIEDES, MASSE PREDES, MASSE COGOS, MASSE PISSIGHES

Per chi non ha familiarità con la lingua del popolo dei dintorni di Udine, significa troppi medici, troppi preti, troppi cuochi, troppi becchini. Carlo Marco, detto Markin, classe 1889, non ha certo bisogno di pubblicità e onori postumi. Non possedeva patente di artista internazionale, ma era localmente assai noto, tanto che la sua fisarmonica ottocentesca fa tuttora sfoggio sul muro d’ingresso del notissimo ristorante Al Grop di Tavagnacco. Da solo, o col socio d’arte Arnést, si esibiva nelle osterie ed alle feste nuziali, con canzoni allegre ed esilaranti che strappavano applausi e richieste di bis. Si trattava di motivi allusivi e pepati, trasgressivi e scanzonati, tipo Tira la gamba col trambài, dove il riferimento era il tram bianco che sferragliava sulla linea Tarcento-Udine, e i cui alti gradini di accesso e discesa costringevano le belle signore del tempo ad allungare o tirare la gamba mostrando in modo inverecondo qualche eccitante caviglia, o Tintine tintone, altro best seller dell’epoca, ricco di scene rocambolesche e piccanti, con preti trasgressivi che ballavano in soffitta con signore allegrette e un ritornello finale che faceva ninine voltiti, ninine voltiti col cul in su, che non serve nemmeno tradurre. Musiche e parole che facevano netto contrasto coi tempi bigotti e sessuofobici di allora, dove messe lunghissime e processioni religiose quasi giornaliere lungo la via principale del paese si alternavano ai lugubri cori a basi di mortem aeternam e Porta Inferi riservati ai cortei funebri, quasi a voler aggiungere un sovraccarico di sofferenza e un greve extra fardello gratuito di brividi e di ansie ai parenti dello scomparso, già troppo segnati ed addolorati dalla scomparsa del loro familiare.

Era un mondo privo di distrazioni, di radio, di televisioni, di strade asfaltate, di automobili. C’erano solo le campane, già allora animate da costanti propositi timpano-distruttivi, e prive di critiche dato che l’ecologia non era ancora nata. Ma almeno erano sprovviste di quelle apparecchiature sostitutive ed amplificanti che oggi le rendono ancor più micidiali per il disturbo della quiete pubblica e del divino silenzio naturale inventato dal creatore. Basterebbe che suonassero una volta sola al giorno a mezzogiorno, o che rintoccassero le ore, lasciando da parte ogni altro velleitario scampanare per fini pubblicitari e autocelebrativi, e nessuno più protesterebbe.

Nessuno riproporrebbe la battuta di Fisio, che non a caso abitò per lunghi anni sotto l’allora pericolante campanile del paese. Dove ci sono campane, ci sono le putte Ane, era una delle sue battute preferite.

Diciamo pure che lo scontro tra sacro e profano, tra piagnisteo e dileggio, tra lagna e spasso, era frontale e all’ordine del giorno. Si viveva in paesini sottoposti a regime parrocchiale, dove reverendi, pievani, sacrestani, nonzoli, campanari, perpetue, insegnanti di dottrina, avevano decisamente troppi pertugi per accedere e insinuarsi nella vita intima e privata degli individui, condizionandone le scelte e limitandone fantasia e libertà di pensiero ed azione. E sappiamo quanto valore abbia la libertà anche ai fini della salute.

Occorreva dunque sdrammatizzare e liberarsi in qualche modo della cappa oppressiva di quel tipo di clero figlio della famigerata e non troppo trascorsa Inquisizione, sbarazzarsi dei dogmi e delle storture, mediante lo sfogo liberatorio e giocoso delle canzonette da osteria.

Markin era un tipo pacifico e apartitico, ma stava chiaramente dalla parte profana e laica, per il suo carattere ridanciano, oltre che per la sua posizione artistica. Era anche visceralmente allergico all’acqua santa. Don Mansutti, lo fermò un giorno accanto al sagrato della chiesa e gli disse: Markin, cemut ise che un bon omp come te no si viot mai a messe nancje di domenie?

No le hai cuintri di lui, sior plevan. E iè dute une question di lìques. El merlot di Pieri di Grop lu sopuarti fin ai doi tais, ma e basten dome dus gotes di aghe sante par dami ingirli e svigniment,

(Markin, com’è che un buonuomo come te non si fa vedere in chiesa la domenica?

Non ce l’ho contro di lei, signor parroco. È solo una questione di liquidi. Il merlot di Pietro del Grop lo sopporto fino ai due bicchieri, ma mi bastano due gocce di acqua santa per darmi capogiri e svenimenti). E così, alla porta della chiesa, mio nonno preferiva regolarmente l’ingresso con la frasca che, a soli due passi di distanza, portava all’osteria dei Del Fabbro.

Mio nonno era un elemento solare e semplice, e il conte Antonino di Prampero, nelle sue passeggiate giornaliere, amava chiacchierare a lungo con lui in strada ogni volta che lo incontrava, preferendolo ai suoi amici di rango nobiliare. Aveva per tutti battute di spirito, storie divertenti, episodi boccacceschi da raccontare. Gli unici nemici che aveva, a parte i clienti sfigati di Pagnacco e Martignacco ai quali aveva rifilato o riciclato in modo disinvolto un carro di angurie troppo mature o troppo crude l’estate precedente, erano le spine delle acacie che affrontava giornalmente senza guanti protettivi, nel suo lavoro di boscaiolo per i conti di Prampero.

Una mela, un sardellone alla brace con una fetta di polenta, e une crodie di formadi, avvolte in carta stagnola e messe in tasca, più una bella manciata di uva passa, e via per i boschi da mattina a sera. Era forse anche una buona scusa per liberarsi della consorte e diradare le dispute familiari con nonna Marina.

Già doveva sopportarla di sera e di mattina, e gli doveva legare e confezionare una decina di mazzi di asparagi che lei portava giornalmente col tram in piazza delle Erbe a Udine, per cui la pulizia dei boschi durante il giorno significava scaricare ogni suo stress. A volte non disdegnava di raccogliere erbe di campo, di andare a patate, di vendemmiare il Bacco’, il Clinton e l’American Blanc della sua vigna. Qualsiasi cosa purché all’aria aperta.

Lo seguivo spesso al ritorno da scuola, e mi raccontava cose fantastiche e battute che allora non capivo del tutto. Come quella del Masse miedes-masse predes-masse cogos-masse pissighes, una vera critica igienistica ante-litteram, che alla luce dei fatti assume oggi valore profetico. Se tutto ciò appariva vero fin da allora, con eccessivo proliferare di mutue e di medicine, di parabole e benedizioni, di cuochi propinatori di cicciole o sanguinelle di maiale, di trippe e fegati di vitello, di rane e lumache, con presenza sospetta di alacri addetti ai cimiteri, cosa dire poi di oggi, dove, a parte il calo delle vocazioni (compensato ampiamente dai poteri di condizionamento e di interferenza dello stato Vaticano), medici, cuochi e onoranze funebri, hanno conosciuto sviluppi e fortune mai visti prima. Basti pensare che a quel tempo i medici ti davano al massimo qualche aspirina, i cuochi bruciacchiavano ed arrostivano solo o soprattutto a Pasqua e a Natale e non stavano a tempo pieno a fianco dei macellai, mentre i becchini grondanti sudore confezionavano nuove sepolture lentamente con pala e piccone, e non si auguravano di certo altri nuovi arrivi immediati o un boom delle sepolture, come succede coi becchini moderni che si autodefiniscono eufemisticamente onoranti funebri, pur sapendo benissimo che a nessuno interessa il loro onore, perché c’è sempre tempo per andare a mangjà el ledrec cul poc de bande dal poc (a mangiare il radicchio con la radice dalla parte della radice).

Markin mangiava poco, beveva poco e non pregava affatto, ma in compenso respirava tanta aria fresca in libertà, prendeva la vita dal lato giusto, e aveva un sorriso e una battuta di spirito per ogni occasione. Questo era dopotutto il suo modo di essere in armonia con la natura e l’ente supremo.

Che il ridere, il sorridere, il prendersi un po’ in giro, facciano bene alla salute è un fatto appurato dalle ricerche scientifiche sullo stress.

Tanti non sanno che la media giornaliera di risate, spiritosaggini, espressioni vivaci di buonumore, episodi comici, scherzi divertenti, sono, per un bambino sano, qualcosa come 400 al giorno.

Nel mondo di oggi, dove quasi tutti marciano a base di ritmi pressanti, di imprecazioni e di sollecitazioni, di tasse che opprimono e di impegni e scadenze che ti inseguono, di stress a ripetizione, i 400 sorrisi si trasformano per gli adulti in 400 parolacce e moccoli, con in testa l’ormai internazionale Vaffancu, che pure africani ed asiatici usano ormai a ruota libera.

Markin aveva la capacità di diffondere intorno a sé lo scherzo e il buonumore. Non era vegetariano al cento per cento, ma quasi. Di sicuro era un ottimo igienista naturale senza neanche saperlo.

Mi si perdoni la debolezza, ma mi sento fiero di essere suo nipote, nello stesso modo in cui mi sento fiero di essere, pur nel mio piccolo e nella mia indegnità, pronipote di gente dello spessore di Leonardo e di Pitagora.

Del resto, sono sicuro che ognuno di noi, ognuno dei lettori che mi onorano delle loro attenzioni, può trovare qualche antenato degno di simpatia e di menzione, guardando indietro nel proprio passato.