4.  I DIVERSI GRADI DI ASSIMILAZIONE DEL FERRO

I FATTORI ANTI-ANEMICI E I FATTORI ANEMIZZANTI

LA NOBILITAZIONE DELLA CARNE E DEL FERRO-EME RIPUDIATI DALLA SCIENZA

Occorre tenere presente della diversa assimilabilità delle varie forme di ferro.

Quasi il 90% del ferro alimentare, una volta giunto nell’organismo, agisce come ferro non-eme, poco assimilabile, dipendente per l’assimilazione da molti fattori aleatori coadiuvanti e antianemici, quali la vitamina C, e da fattori inibitori e anemizzanti, quali i fitati.

Il succo d’arancia, ad esempio, raddoppia l’assorbimento di ferro non-eme, mentre il tè, a causa dei suoi tannini, lo abbassa del 75%. Gli inibitori anti-ferro non-eme comprendono sostanze molto diffuse nell’alimentazione naturale, quali la soia, i cereali integrali, le fibre, i polifenoli, i tannini, i fosfati.

Persino il pane integrale può essere considerato un anemizzante.

Esistono in effetti due correnti interpretative sul fenomeno della assimilabilità del ferro, una pro-carnivora e una pro-vegetariana.

Per la prima, il ferro-eme (circa il 10% di quello assunto in totale), già biologicamente trasformato ed adattato, deriva principalmente dall’emoglobina e dalla mioglobina della carne. Il ferro eme, renderebbe più assorbibile anche il ferro non-eme. Il ferro non-eme di origine vegetale verrebbe assimilato in percentuali comprese tra il 2 e il 5%, mentre il ferro eme, proveniente da sangue fresco da macelleria e quasi trasfuso da animale sgozzato a paziente anemico, renderebbe più assorbibile anche il ferro non-eme presente nella dieta, grazie al suo alto livello di assimilabilità sull’ordine del 20%.

La spiegazione sembrerebbe logica e vera, mentre non lo è affatto, come succede regolarmente con le trovate pseudo-scientifiche dei carnofili. Infatti, tale sbrigativa bocciatura nutrizionale dei vegetali come anemizzanti viene regolarmente smentita dalla realtà quotidiana, dove l’anemia è semplicemente sconosciuta tra i vegetariani, mentre è frequentissima tra i mangiatori di carne.

L’abbondanza di vitamina C, serve come abbiamo visto, a moltiplicare l’assorbimento del ferro, poiché l’acido ascorbico e l’acido citrico tendono a bilanciare il potere anti-ferro delle fibre dei cereali integrali.

L’acido fitico dei cereali integrali e dei legumi, se assunto in eccesso, ha effetto sequestrante nei riguardi del ferro, ma se nella dieta c’è abbondanza di verdura verde e di frutta, di vitamina C naturale, l’inibizione fitica viene neutralizzata.

Pare inoltre che la cistina, aminoacido che si trova proprio nei cereali integrali, nei lupini, nel germe di grano, rappresenti in ultima analisi quel misterioso fattore anti-anemia, quel muro protettivo che

difende vegetariani e vegan da ogni ipotesi di carenza.

I vegan, i cultori di teorie esotiche, vanno sì teoricamente a rischio di carenza di ferro e di vitamina B12 se assorbono fitati in eccesso coi loro cereali integrali, coi lupini e la soia. Ma, mediante la loro intensa quota di frutta e verdura fresche, compiono il miracolo di azzerare l’effetto inibitorio dei fitati anti-ferro.

Ad esempio il glutatione, composto organico antiossidante presente nei globuli rossi, la cui carenza provoca invecchiamento dei globuli rossi tramite ossidazione, aumenta automaticamente del 50% se c’è adeguata presenza di vitamina C.

C’è anche l’ipotesi dell’adattamento dei vegetariani per l’assorbimento ottimale del ferro non-eme. Prove di laboratorio hanno sempre confermato stati eccellenti nelle loro medie di valori ematici (ferro nel sangue, saturazione della transferrina, livello di ferritina nel sangue).

L’ultima parola è il rapporto tra ferro, chelanti e anti-antagonisti dei chelanti nell’intero pasto.

In caso di anemia, tutti gli integratori sono sconsigliati. Il ferro diventa anche immmuno-depressivo ad alte dosi. Lo stesso discorso vale per il selenio, e un po’ per tutti gli altri minerali di traccia.