6.  LE PERPLESSITà POPOLARIVERSO IL CRUDISMO

LA CARNE COTTA SUL BANCO DEGLI ACCUSATI GRASSI E OLI NON DOVREBBERO MAI ESSERE COTTI

C’è da chiedersi come mai il crudismo, in fase di forte avanzata teorica su tutti i fronti, non riesca a sfondare in concreto tra la gente comune legata al piatto fumante, e a cosa sia dovuta questa ritrosia, questa refrattarietà verso il cibo semplice e naturale.

Il fuoco è una gran cosa, quando lo teniamo sotto controllo, e quando lo usiamo per riscaldarci, o per abbrustolire le caldarroste. Magari anche per infornare al calore naturale qualche pizza vegetariana, o per cuocere al cartoccio delle patate pasta bianca o gialla o rossa, o delle patate americane dolci.

Un falò o una stufa a legna portano pure calore e allegria, e diventano preziosi amici nei mesi freddi.

Se però andiamo ad applicare calore intenso intorno ai cibi, finisce che li trasformiamo e li distruggiamo senza nemmeno accorgerci. Sarà meglio studiare più a fondo e in dettaglio cosa succede alle nostre povere pietanze.

Il calore degrada tutti i cibi apportando variazioni di aspetto, di proprietà, di gusto (spesso in senso apparentemente positivo con l’aiuto dei giusti condimenti).

I crudisti obiettano che se un cibo deve per forza essere messo sopra il fuoco, significa che si tratta già di un cibo sbagliato. Le stesse proteine coagulano verso i 60°C, i grassi fondono, i glucidi caramellizzano. Continuando la cottura si causano fenomeni di idrolisi, con trasformazione degli aminoacidi in sottoprodotti tipo albumose e peptoni. Tra gli 80 e i 120°C fuoriescono dalle carni i grassi e i liquidi organici producendo gas tossici e cancerogeni, mentre il collageno, che è la proteina del tessuto connettivo chiaro, si trasforma in gelatina. Le molecole proteiche si rompono per effetto della cottura, subiscono una flocculazione e coagulano. La cottura dunque intacca persino le proteine, riducendone quasi totalmente il già precario valore nutrizionale che esse posseggono. Ciò riguarda le carni in particolare, anche se nella stessa soia si producono sostanze difficilmente attaccabili dai nostri enzimi digestivi, con conseguente diminuzione degli aminoacidi assimilabili a livello di pancreas. La mioglobina, una delle proteine della carne, già a 50°C da rosso scuro si trasforma in colore rosa, ossidandosi in ossimioglobina. Se la caseina viene cotta in presenza di glucosio, almeno tre aminoacidi vengono disattivati (arginina, lisina, triptofano), mentre altri aminoacidi come cistina e metionina danno luogo a legami inscindibili dell’idrolisi enzimatica risultando indigesti.

La carne cotta del resto è da parecchi anni sul banco degli imputati. Su di essa è invariabilmente puntato l’indice dei cancerologi, incluso il nostro ex ministro della sanità, nonché presidente della lega europea anticancro, Umberto Veronesi. Soprattutto il bollito e i brodi di carne, tanto usati e tanto cari ai medici negli ospedali. Da un kg di bollito si ricavano 9 grammi di sostanze azotate (creatina e creatinina), 10 grammi di glicogeno e altre sostanze, 6 grammi di grassi e 5 grammi di sali minerali (non più organici e non più assimilabili per colpa della cottura, e pertanto di ben scarso valore).

Il brodo così ottenuto, dal manzo o dalla gallina poco importa, ha un valore nutritivo ed energetico bassissimo (il 2% di proteine), ed anche il lesso che rimane è povero di nutrimento.

Ecco sfatata brutalmente una vecchia e incrollabile tradizione, un autentico dogma ospedaliero diventato poi dogma casalingo.

Nella frittura, l’alta temperatura raggiunge oltre 170°C e produce degenerazione dei grassi in acreolina, irritante per il fegato, con sbilanciamento dietetico delle sostanze in componenti a lunga e difficile digestione, e pertanto inquinanti ed ingrassanti, oltre che affamanti visto che le povere cellule continuano a non ricevere i loro bramati alimenti.

Negli spiedi a barbecue, o griglie, che taluni ritengono più sane e naturali delle pentole, il contatto carne-fiamma produce fenomeni di carbonizzazione e crea composti altamente cancerogeni, con sviluppo di idrocarburi. Un kg di carne cotta alla griglia finisce per contenere non solo gli immancabili germi e virus patogeni (da 2000 a 65 000 per mm cubo, mentre nelle proteine vegetali tipo noci, soia, o in tutta la frutta al naturale siamo a quota zero assoluto), ma anche una incredibile quantità del micidiale benzopirene, equivalente a quella di 600, dicasi seicento, sigarette fumate.

Chiaro poi che in natura non esiste carne biologica. Bio significa vita e carne vuol dire mortem e post-mortem, con sviluppo automatico e riscontrabile della cadaverina. Due termini davvero incompatibili. La sofferenza intensissima provata dalla mucca o dal manzo lungo i corridoi della morte, in zona pre-macellazione e al punto finale di impietosa esecuzione con squartamento a testa in giù in mezzo all’olezzo insopportabile del sangue suo caldo che scende a fiotti sugli occhi e di quello ancor più nauseabondo degli animali assassinati in precedenza, non può essere descritta e nemmeno immaginata. Dopo il colpo tremendo alla testa con un male da far impazzire, la pesante vittima viene sollevata dalla apposita gru e appesa gambe posteriori agli uncini metallici. Il suo disperato e invano dimenarsi non fa che peggiorare la situazione, spaccando in modo fastidiosissimo legamenti e ossa del ginocchio e delle altre parti mobili. Ma non è ancora morta, è solo agonizzante, e il massacro può protrarsi per una decina di lunghissimi minuti ed anche di più, che sono una eternità Fa in tempo a vedere e sentire i coltellacci che le incidono la spessa pelle e che la penetrano e la squartano.

L’orribile sequenza, il banco della morte senza avvocato difensore e senza conforto di preghiere e di presenze amichevoli, si ripete con poche varianti, milioni di volte tutti i giorni. Solo il taglio totale della testa interrompe il meccanismo del dolore. Ogni pezzo e ogni porzione di quel povero cadavere, che si chiami filetto o muscolo, o fiorentina, sono intrisi di terrore e di pene infernali, sono colmi di veleno distruttivo. Ci vuole davvero un gran coraggio negativo per addentare quei poveri resti, che meriterebbero un posto nel camposanto degli esseri più disgraziati.

Tornando più materialmente alla analisi dei cibi cotti, grassi, olio, strutto, margarina, si comportano ancora peggio durante la cottura. I grassi infatti non dovrebbero mai essere cotti. Essi liberano glicerina e acidi grassi, diventando infine perossidi e polimeri. La glicerina evapora e si trasforma in acreolina, tossica per il fegato, indigesta, nemica giurata degli enzimi che digeriscono i grassi. E anche qui si produce il causa-cancro benzopirene.

La bollitura in acqua provoca il gonfiamento e la rottura dell’involucro dei grani di amido, con formazione di una massa gelatinosa di scarsa utilità.

Gli zuccheri semplici (zucchero, fruttosio, miele) fondono e si caramellizzano in sostanze vitree più scure, dando luogo a composti dannosi.

Se non bastasse quanto sopra, la prova dei danni alla salute da parte dei cibi cotti è l’allungamento documentato dei tempi di digestione raffrontata (es. patate crude grattugiate 2 ore, patate fritte 4-5 ore, cavolo crudo 2 ore, cavolo cotto 4-5 ore).

I minerali vengono trasformati in composti inorganici di scarsissima utilizzazione, e le vitamine restano pure distrutte.

Ma dove il danno diventa eclatante è in mezzo ai food-enzyme, sensibilissimi già ai primi accenni di calore. La loro distruzione trasforma il cibo da cibo vitale in cibo devitalizzato, in cibo morto che non si auto-digerisce né al 50 né al 75, ma allo 0%, e che va, per essere digerito, a pescare pesantemente sulle limitate risorse enzimatiche interne del corpo.

La stessa cosa succede in modo evidente e visibile coi processi di irradiazione applicati ad esempio alle patate. Le patate irradiate vengono trasformate al punto di non poter più germogliare. Questa è la prova della devitalizzazione e della distruzione degli enzimi. A prima vista, le patate sembrano tutte uguali, ma in realtà non lo sono. Nutrirsi di patate irradiate, e poi cotte, equivale a nutrirsi di patate cotte due volte.

È per questo che l’Igienismo Americano sta lottando da alcuni anni contro la crescente tendenza alla irradiazione e alla conseguente devitalizzazione dei cibi deperibili naturali.