– Il tempo è una scelta, – disse Pitamiz porgendo a Miriam l’avambraccio nudo. – Dipende dalla velocità con cui decidi di muoverti.
Miriam spezzò la fiala tra pollice e indice, intinse l’ago nel liquido e caricò la siringa intanto che Pitamiz si colpiva con due dita la vena per farla gonfiare. Aveva già legato il laccio emostatico.
Le aveva telefonato alle 8 e mezzo del mattino, un attimo prima che lei arrivasse a casa di Michele, per pregarla di venire a farlo addormentare perché aveva passato la notte senza chiudere occhio. Succedeva sempre più spesso. I sonniferi normali ormai non avevano effetto. E adesso, pallido e con gli occhi elettrici, era sdraiato sul divano con il cervello che implorava una pausa, ma voleva continuare a parlare.
– Dormire mi ha sempre fatto paura, fin da bambino. Ma più sono stanco e più ho bisogno di fare. Il mio psicologo dice che è pulsione di morte. Secondo te è vero?
– Davvero non saprei.
Miriam spinse lo stantuffo per espellere l’aria dall’ago e sbirciò Pitamiz di lato: la pelle bianca nell’incavo del gomito le ricordò una pianura di ghiaccio molle sotto cui scorrevano fiumi viola.
– Che cosa le inietto di bello, quest’oggi? – chiese Miriam.
– È un cocktail a base di melatonina e zoplicone, – sussurrò lui, – lo hanno preparato i miei tecnici. Si raccomandano: la dose giusta è metà fiala. Mi hanno assicurato che mi farà dormire un’ora per ogni millilitro e che mi risveglierò pieno di forze.
– Allora finalmente riuscirà a riposare…
Pitamiz sospirò angosciato.
– Da fuori sembrerà, ma dentro il mio cervello continuerà a pompare come sempre. Più il mio corpo sta fermo, più lui si agita.
– Forse questa volta non succederà. Dovrebbe rilassarsi, ora.
Miriam si abbassò, disinfettò la vena con un batuffolo di cotone e la bucò con l’ago, premendo lentamente con il pollice. Le palpebre di Pitamiz ebbero un tremito, ma le sue labbra continuarono a muoversi.
– Un solo giorno contiene tutto quello che vuoi, se lo vuoi. Puoi vivere vent’anni e farcene stare dentro sessanta, o campare un secolo come mio padre, ma vivere meno di un bambino dell’asilo. È tutta questione di velocità, di spazio fratto tempo, di quello che riesci a fare in un’ora, in un giorno, in un anno. Il tempo è una scelta, credimi. Aumentando la velocità si può vivere il doppio.
Il ritmo delle sue parole adesso stava rallentando.
– Ma la maggior parte della gente preferisce essere morta. E non si può pensare di cambiare il mondo dormendo otto ore.
Rovesciò la testa esponendo il pomo d’Adamo.
– Il sogno della mia vita è rendere utile il sonno… grazie ai miei farmaci.
Finalmente le labbra di Pitamiz si fermarono. Miriam si adagiò sulla poltroncina e rimase immobile in attesa che si addormentasse davvero. Quando fu certa che non si sarebbe svegliato, si abbassò la mascherina e si specchiò nella fotocamera del telefono. Anche lei aveva il naso storto, ma pendeva a sinistra perché a tre anni era caduta dal seggiolone. Per fortuna non lo vedeva mai nessuno. Si grattò l’angolo delle labbra, chiedendosi se Michele ne sarebbe stato deluso. All’improvviso Pitamiz ebbe un sussulto e si agitò. Ricominciò a parlare, all’inizio fu un bisbiglio confuso che si trasformò in un urlo.
– L’umanità… dormirà… a turni. E lavorerà… a turni. Il Previdente mi ha dato appuntamento. Accetterà la mia idea. La piccola morte… diventerà vita… La piccola morte diventerà vita!
Il cuore di Miriam le martellava nel petto: siccome non riusciva a dormire, Pitamiz voleva governare il sonno degli altri, infilarsi nei loro letti e comandare i loro sogni. E c’era qualcosa di mostruoso in quell’idea, qualcosa che le repelleva fisicamente, qualcosa di cui aveva paura.
Pitamiz aveva ripreso a sorridere beato e cadaverico, il braccio ancora disteso, la vena tumida di sangue. Sembrava un arto staccato dal corpo. Miriam si versò un bicchier d’acqua e uscì sul balcone. L’acqua sapeva di ferro. La versò nel basilico. Il sonno era l’unico tempo libero dell’umanità, l’unico atto che non potesse essere comprato o venduto, l’unico momento della vita che accomunava ancora gli umani, le donne e gli uomini, i giovani e i vecchi, i poveri e i ricchi. La calmava girare per la città nel cuore della notte, sapendo che dietro le finestre dormivano tutti e che il sonno, per qualche ora, li rendeva uguali.
Se il proposito di Pitamiz fosse stato attuato, presto chi poteva permetterselo avrebbe acquistato il privilegio di continuare a dormire di notte e ai poveri, agli altri, a quelli come lei e Michele, non sarebbe rimasta altra possibilità che rinunciare alla luce del sole. Si immaginò schiere di fabbricatori, accuditori e consegnator che uscivano di casa nel buio. Come topi. Come vampiri. Ritornò in sala. Pitamiz era nell’identica posizione in cui lo aveva lasciato. Miriam si avvicinò al tavolino dove aveva posato l’occorrente per l’iniezione, prese la siringa e la riempì con l’altra metà della fiala.