Sono le due di notte e mi sveglio di soprassalto al rumore della porta di casa che si apre cigolando. Sono tutti tornati a casa e andati a letto, e io dormo da circa mezz’ora. Dopo essere rientrati, aver fatto la doccia, messo i vestiti bagnati nella lavatrice e dato la buonanotte a tutti, io e Zach di nascosto facciamo cambio camera.
Adesso sono sola nella stanza al piano terra, che è quella più vicina alla porta d’ingresso, e ho paura. Perché non ho pensato ai rischi che correvo cambiando letto? Io sarò la prima a essere uccisa solo perché Zach e Lucy sono arrapati. La porta d’ingresso si chiude con un secondo cigolio e io mi tiro le coperte sopra la testa. Santissimo Dio o chiunque sia in ascolto, non lasciare che muoia prima di aver imparato a guidare. Non lasciare che muoia prima di aver lanciato i miei podcast sugli adolescenti di oggi che guardano vecchie serie tv per adolescenti degli anni Novanta. Non lasciare che muoia prima di aver visitato un posto, uno qualsiasi, fuori dall’Australia. Non lasciare che muoia prima di aver avuto un orgasmo con qualcuno oltre a me stessa. Non lasciare che muoia, non lasciare che muoia...
Sento dei passi che si dirigono verso la porta della camera. Quand’è il momento giusto per urlare? Quando l’assassino apre la porta? Quando entra? Aspetto che mi tolga il lenzuolo da sopra la testa? Voglio il cellulare, ma è in carica dall’altro lato della stanza.
L’assassino sta esitando al di là della porta, ne sono certa. Solo che adesso sento altri passi e delle parole sussurrate, due persone che bisbigliano. Tiro giù il lenzuolo che mi copre la testa.
«Alex?» È la voce di Mariella.
«Mamma?»
«Mi hai fatto venire un colpo! Che ci fai qui?»
«Sono venuto quando sono uscito dal lavoro. Cos’hai in mano? Una mazza da cricket?»
«Credevo tu fossi uno scassinatore.»
«E così hai lasciato papà a dormire e sei uscita ad affrontare un intruso con una mazza da cricket di plastica per bambini?»
«Tuo padre non ha l’istinto omicida. Esiterebbe nel momento cruciale. Lo sai.»
«È vero.»
«Cosa ti salta in mente di guidare la sera di Capodanno? Tesoro, è pericoloso.»
«Non ho bevuto. Credimi. Le pattuglie con l’etilometro mi hanno fermato due volte mentre venivo qui.»
«A guidare per un’ora e mezza in piena notte dopo un lungo turno di lavoro si rischia di addormentarsi al volante e morire.»
«Hai ragione. Non avrei dovuto. È solo che ho avuto una brutta serata e volevo andare via dalla città.»
«Che è successo?»
«Niente, è solo che... Parliamone domattina.»
«Zach dorme lì, e la brandina è ancora nell’armadio in camera di Glenn e Anthony. Non voglio svegliarli.»
«Allora dormo con Zach. Ha il sonno pesante, non si accorgerà nemmeno che sono nel letto con lui.»
«Tesoro, vieni qui.»
«Mamma...»
«Solo un abbraccio veloce.»
«Eddai, mamma.»
«Non puoi più abbracciare tua madre, adesso?» Il tono era quello universale che usano tutte le madri per scatenare i sensi di colpa.
«D’accordo. Attenta con quella mazza.»
C’è un attimo di silenzio.
«Hai la maglietta che puzza di birra. E di patatine.»
«Sai com’è... lavoro in un pub.»
«Buonanotte, tesoro. Ti voglio bene.»
«’Notte, mamma. Anch’io ti voglio bene.»
Sono così impegnata a origliare che solo all’ultimo momento mi rendo conto di quel che sta per succedere. Mi tiro di nuovo il lenzuolo sopra la testa.
La porta della camera si apre e si richiude. Aspetto di esser certa che Mariella sia tornata nella sua stanza prima di aprir bocca, ma sento che Alex si sta togliendo i jeans e il panico riempie la mia mente con un ronzio.
«Aspetta» dico. La voce mi esce in un soffio stizzito. Ho la testa ancora sotto il lenzuolo.
«Cazzo! Chi sei?» Alex deve avere una gamba fuori dai jeans e una dentro, perché lo sento saltellare su un piede solo per la sorpresa e poi cadere a terra con un tonfo sordo.
«Tutto bene?»
«Natalie?»
«Sì.»
«Scusa. Cazzo. La mamma ha detto che qui c’era Zach.»
«C’era. Abbiamo fatto cambio, non dirlo a tua madre. Sai, così lui e Lucy potevano... Vabbe’, hai capito, no?»
«Ah.»
Tiro via le lenzuola e strizzo gli occhi nel buio. È in piedi che si sta tirando su i jeans.
«Quello stronzo di Zach…»
«È Capodanno, volevano passare la notte insieme.»
«E allora che facciamo? Immagino che mi toccherà dormire per terra» dice, ma si siede sul letto. Poi si lascia cadere di peso sulla schiena e si copre il viso con le mani, come se dovessimo affrontare una prova sovrumana. «Sono così stanco, porca puttana. E ho avuto una serata di merda. E non riesco a smettere di usare queste parole del cazzo, scusa. Neanche mi piace il turpiloquio» dice Alex. La sua voce è così avvilita che mi piange il cuore.
«Vieni» gli dico, perché sembra la cosa più gentile da dire adesso, e vorrei offrirgli almeno una piccola gentilezza. Peccato che, un millisecondo dopo aver pronunciato quella parola, io voglia morire. Ho appena detto ad Alex di entrare nel letto con me. Combatto l’istinto di nascondere di nuovo la testa sotto il lenzuolo. Forse mi dissolverò in cenere per autocombustione prima che lui mi risponda. È l’unica speranza che mi resta.
Rimane immobile per un attimo, poi si mette seduto e risale lungo il letto fino ad avere la testa sul cuscino accanto alla mia.
«Grazie» mi dice, con la voce che trema un po’.
È assurdo che lui ringrazi me, visto che questa è la casa della sua famiglia, non della mia. Vorrei aggiungere anche “e togliti i pantaloni”, perché la sola idea che lui dorma con i jeans in una notte così calda mi fa prudere la pelle, ma dirglielo suonerebbe davvero troppo, troppo allusivo. E poi non sono proprio sicura di volere che si tolga i jeans.
Non posso dormire in un letto con un Alex senza pantaloni. Potrebbe sul serio venirmi un infarto.
Mentre penso ai suoi jeans, mi rendo conto che indosso la maglietta con la faccia deformata del principe Harry e i pantaloncini di un pigiama oversize con disegnati degli hot dog che ho comprato nel reparto uomo di Kmart. Quindi, non indosso un pigiama sexy. Anzi, ho il pigiama meno sexy del mondo.
Alex si muove un po’, poi si sporge dal bordo del letto e prende due cuscini dal pavimento (Mariella adora i cuscini, ogni letto ne ha almeno tre più del necessario) e li mette sotto il lenzuolo tra noi due.
«Che fai?» gli chiedo.
«Sto facendo una barriera di cuscini. Non posso dormire con questi jeans.»
Oddio, oddio, oddio. Sarà senza pantaloni. Sarà. Senza. Pantaloni.
Sono finita in una fanfiction della mia stessa vita. Solo che vorrei leggerla dallo schermo, al sicuro, non sdraiata lì in un paio di pantaloncini con gli hot dog, sudata e ben consapevole di essere senza reggiseno.
«Ti metti nudo?» gli chiedo, e la mia voce ha una nota decisamente più stridula del solito.
«No, ho le mutande. Va bene per te? Altrimenti posso tenere i jeans.»
«No, no, va benissimo, togliteli» rispondo, mantenendo la voce in una tonalità più bassa per cercare di sembrare una donna di mondo che non si preoccupa di quanti vestiti indossa chi è a letto con lei. (Immagino sempre che le donne di mondo abbiano una voce sexy, roca forse-per-un-raffreddore-o-per-le-troppe-sigarette.)
Ascolto Alex che si dimena per sfilarsi i jeans e li butta per terra. Tutto qui. I jeans sono ufficialmente tolti. Respira a fondo, Natalie. Sta succedendo davvero.
«Quand’è che tornate nei vostri letti tu e Zach?» mi chiede mentre sbadiglia. Come fa a essere così rilassato? Questo è il momento più importante della mia vita, e lo dice una che considerava l’esame finale di letteratura una questione di vita o di morte.
«Alle sei e mezzo. Ho messo la sveglia» rispondo.
«Sicura che ti va bene dormire nello stesso letto fino a quell’ora?» mi chiede.
«Sì. Alex, è casa tua.»
L’unica cosa più spaventosa di spartire il letto con un Alex senza pantaloni è perdere l’occasione di spartire il letto con un Alex senza pantaloni.
«Proprio così. È casa mia. E tu sei un’ospite a cui tocca dormire con un tizio qualunque che ha fatto irruzione in camera sua in piena notte.»
«Non sei esattamente un tizio qualunque.» Se solo sapesse quanto spazio ha occupato nella mia mente negli ultimi quattro giorni, morirei di vergogna.
«Lo so. Ma è strano. Comunque, la barriera di cuscini è per dare l’illusione che siamo in letti separati.»
Alex ripone molta fiducia nella barriera di cuscini.
«Mi rassicura molto. Anzi, sembra di essere in camere separate. Addirittura in case separate» dico io.
«Vedi cosa è in grado di fare una buona barriera di cuscini?» risponde, e nella sua voce si avverte un sorriso.
Siamo entrambi sdraiati di fianco, uno di fronte all’altra. È talmente buio che vedo solo i contorni dei suoi lineamenti: è come percepire il suo viso più che vederlo. «Allora, perché hai avuto una serata così brutta?» gli chiedo, sentendomi più coraggiosa del solito forse perché sono le due di notte, è Capodanno e ho bevuto un pochino di spumante rosé.
Tace per un bel po’. Alla fine dice: «Mi hanno licenziato».
«Urca!» Non è certo la risposta che mi aspettavo. «Perché?»
«Perché il mio capo è uno stronzo.»
«Accidenti.» Non so che dire. Mi dispiace, perché so quanto fosse importante per lui quel lavoro. Zach mi aveva raccontato che la scelta di Alex di fare un apprendistato invece di andare all’università era stata una faccenda grossa e che i suoi genitori non l’avevano presa bene.
«Già» commenta Alex.
«Mi dispiace tanto» gli dico.
«Non è colpa tua.»
«Mi dispiace che sia successo.»
«Anche a me. Non sono mai stato licenziato prima.»
«Come ci si sente?» gli chiedo senza pensarci troppo. Che domanda idiota. Sul serio, dovrebbero proibirmi di parlare alla gente.
«Piuttosto male» risponde.
«Che è successo?» Sembro una ficcanaso a chiederlo, ma ho la sensazione che abbia voglia di parlare.
Alex si gira sulla schiena.
«Per farla breve, al mio capo, Garry, piace urlare alla gente. Sì, lo so che è una cosa che fanno tutti gli chef, ma questo davvero esagera. Credo che abbia un problema serio. Comunque, stasera ce l’aveva con me e quest’altro tipo, Felix. In genere io lo ignoro, ma Felix ha perso la calma. Lui e Garry hanno iniziato a litigare di brutto e io ho preso le parti di Felix: ho detto a Garry che stava esagerando, che non poteva trattare la gente così, e alla fine del turno Garry mi ha detto di non disturbarmi a tornare.»
«È allucinante.»
«Già. Il fatto è che non ha licenziato Felix, che ha reagito ben peggio. Credo che volesse solo liberarsi di me. Sai, non sono ancora un grande cuoco, ma sto migliorando parecchio.»
«Ma tu non hai fatto niente di male.»
«Forse sì. Forse avrei dovuto restarne fuori. Comunque, i miei saranno furiosi.» Fa un lungo sospiro.
«Capiranno.»
«Diranno che lo sapevano che sarebbe successo» mi risponde.
«Puoi trovarti un altro lavoro» gli dico con più sicurezza del dovuto, visto che non ne so niente di quel settore.
«Mi sento come...» fa una pausa, poi si gira di fianco e mi guarda. «Sai che c’è? Parliamo di qualcos’altro. Che avete fatto stasera?»
Ignoro la domanda. «Ti senti come cosa?» chiedo.
Rimane in silenzio per qualche secondo, e sento che esita, valutando i pro e i contro di quanto vuole raccontarmi.
«Mi sento come se in questo periodo stessi mandando tutto a puttane, per quanto ci provi. Tutta la mia vita sembra un gigantesco errore» dice a bassa voce.
È una sensazione che conosco. La sensazione che la mia vita non sia come dovrebbe essere e che io abbia preso solo decisioni sbagliate.
«È un nuovo anno, parti da zero» gli dico. Sono una pessimista di natura, ma stasera farò la parte dell’ottimista per Alex.
«Tecnicamente sono stato licenziato quest’anno. Circa dieci minuti dopo che era iniziato, per essere precisi.»
«Qualsiasi cosa brutta accada nella prima ora del nuovo anno fa ancora parte dell’anno precedente. È una regola» gli rispondo.
«Una bella regola.»
Durante lo scambio ci siamo spostati, avvicinandoci un po’.
«Ora scordati tutto quel che ho detto» mi dice.
«Perché?»
«Perché ti ho appena raccontato una cosa molto umiliante su di me e... sono a disagio.» Fa una risatina imbarazzata.
«Be’, non credo tu sappia con chi stai parlando. Sono una campionessa quando si tratta di cose umilianti. La mia vita è stata tutta un’unica, grossa umiliazione» commento. Mi pento di quelle parole appena finisco di pronunciarle, perché so già quale sarà la sua prossima domanda.
«Per esempio?»
Vorrei raccontargli qualcosa di buffo e solo apparentemente fastidioso. Qualcosa che sembri imbarazzante in superficie ma che, in fin dei conti, mi faccia sembrare figa. Qualcosa che non contempli in alcun modo la vergogna per il mio corpo e il mio carattere. Non mi viene in mente nulla.
Ma è buio e lui sta aspettando. Devo dire qualcosa.
«Per esempio, tutti i miei anni delle superiori» rispondo.
«Dimmi qualcosa di più concreto, dai.»
Butto lì la prima cosa che mi passa per la testa, qualcosa che però sono sicura che sa già. «Be’, l’altra sera alla festa. Mi hai vista nascosta in bagno. Mi hai vista piangere.»
«Sei andata a una festa dove non conoscevi nessuno. È stato coraggioso.»
«Hai degli standard bassi per il coraggio.»
«No.»
«Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?»
Ci pensa su un po’.
«Non sono certo di aver mai fatto niente di veramente coraggioso.»
«E stasera? Reagire al tuo capo?»
«Forse.» Non sembra convinto.
«A me è sembrata una cosa coraggiosa.»
«Be’, allora forse sei tu ad avere uno standard basso per il coraggio» mi dice, allungando il braccio oltre la barriera di cuscini per toccarmi il braccio.
Quel brevissimo contatto mi fa venire la pelle d’oca. «O forse siamo entrambi straordinariamente coraggiosi» rispondo.
«In realtà siamo degli eroi» dice lui.
«Scriveranno dei libri su noi due.»
«E faranno dei film.»
«I bambini vorranno vestirsi da noi per Halloween.»
«Vuol dire che ci servono costumi da supereroi.»
«Il mio ha un pugnale d’argento con la punta avvelenata, e un mantello nero con il cappuccio» dico. Ho sempre voluto avere un mantello, per poter uscire maestosamente da una stanza con fare risoluto, o per togliermi il cappuccio e rivelare in modo teatrale la mia identità.
«Ma sei un supereroe o un’assassina?» mi chiede.
«Un po’ e un po’.»
«Be’, il mio costume da supereroe avrà uno zaino jet e una spada.»
«Non credo che uno zaino jet e una spada stiano bene insieme.»
«Lo credi ora, ma quando vedrai un duello di spade nell’aria, cambierai idea.» Sembra molto convinto.
«Ma come fai a batterti con la spada mentre manovri il jet che hai sulla schiena? È molto pericoloso dal punto di vista pratico.»
Discutiamo di spade e zaini jet per un po’, e sento dalla voce che si sta rilassando.
«Grazie» mi dice d’improvviso.
«Di cosa?»
«Sono arrivato che stavo malissimo. E adesso mi sento un po’ meno malissimo.»
«Meno malissimo, ma ancora non bene?»
«Non esageriamo.»
Rido e poi chiudo gli occhi. Resto in ascolto del suo respiro, e dal modo in cui cambia capisco che si è addormentato.
Me ne sto lì sdraiata ad ascoltarlo dormire per un sacco di tempo, una cosa eccitante da quanto è intima, ma che al tempo stesso mi inquieta un po’. Non riesco a farne a meno, perché mi sento sveglissima. Non ho mai trascorso la notte nello stesso letto di un ragazzo prima d’ora. Voglio registrare ogni istante, anche se dopo un po’ è chiaro che, con Alex che dorme, c’è davvero poco da registrare.
Mi sembra di aver appena chiuso gli occhi quando la sveglia comincia a ronzare sommessa.