Patrick si affacciò alla pallida luce del giorno, sollevato che il funerale di sua madre fosse finito, ma oppresso all’idea del rinfresco che lo attendeva. Si avviò verso Mary e Johnny, che si erano fermati sotto i rami di un ciliegio che stentava a fiorire.
«Non ho voglia di parlare con nessuno per un po’. A parte voi due, ovviamente» aggiunse per pura cortesia.
«Non sei tenuto a parlare neanche con noi» disse Johnny.
«Perfetto» ribatté Patrick.
«Perché non vai avanti insieme a Johnny?» chiese Mary.
«Be’, se non ci sono problemi… Puoi…?».
«Occuparmi io di tutto?» suggerí Mary.
«Esatto».
Si scambiarono un sorriso divertito: sembrava proprio una delle loro classiche conversazioni.
Mentre Patrick si avviava verso la macchina di Johnny, un aereo li sorvolò con un rombo e un sibilo acuto. Si voltò a guardare l’edificio in stile italiano da cui era appena uscito. Il campanile che racchiudeva il comignolo del forno crematorio, le basse arcate del chiostro in mattoni, il roseto non ancora in fiore, il salice piangente e le panchine coperte di muschio, formavano un capolavoro di dignitosa neutralità.
«Credo proprio che mi farò cremare qui anche io» disse.
«Non c’è fretta» rispose Johnny.
«Certo: meglio essere morti, prima».
«Mi pare un’ottima idea».
Un secondo aereo passò fischiando sulle loro teste, inducendoli a cercare riparo dentro l’auto, dove tutti i suoni erano attutiti. Oltre le inferriate, sulla sponda del Tamigi, scorreva una fiumana di ciclisti e di patiti del jogging, tutti ben decisi a restare vivi e in salute.
«Credo che la morte di mia madre sia la cosa migliore che mi è accaduta da… be’, dalla morte di mio padre» disse Patrick.
«Non può essere cosí semplice» ribatté Johnny, «o le strade sarebbero invase da bande di orfani, tutti impegnati a festeggiare».
Tra i due calò il silenzio. Patrick non era in vena di battute. Sentiva la presenza di una nuova vitalità, che rischiava di finire divorata dalle abitudini, inclusa quella di fare sfoggio della propria intelligenza. Come chiunque altro, viveva in un mondo nel quale gli stessi schemi emotivi venivano proiettati senza sosta contro le pareti di una camera senz’aria, ma almeno per un istante sentí quanto fosse assurdo scambiare quella scena sempre vagamente fuori fuoco per la vita vera. Che cosa poteva mai significare un sentimento che aveva provato quarant’anni prima, o peggio ancora, che si era rifiutato di provare? La crisi non era nel passato, ma nel rimanerci disperatamente attaccati; intrappolati in una villa in rovina sul Sunset Boulevard, costretti a guardare all’infinito i vecchi film di una narcisista ferita nell’orgoglio. In quel breve istante, riuscí a immaginare di allontanarsi in punta di piedi da Gloria Swanson e dal suo terrificante maggiordomo e immergersi nel frastuono delle strade contemporanee; riuscí a immaginare un intero sistema che andava in pezzi, senza però sapere che cosa sarebbe successo dopo.
Alla piccola rotatoria fuori dai cancelli del forno crematorio, Patrick vide l’insegna del Centro di riciclaggio e riutilizzo di Townmead Road. Non poté evitare di chiedersi se anche Eleanor fosse destinata al riciclaggio. La povera Eleanor era già abbastanza confusa senza doversi ritrovare trascinata attraverso le luci opache o splendenti e i mandala multicolori del Bardo, provocata da torme di divinità adirate e di fantasmi famelici: il tutto per conseguire quella trascendenza dalla quale, in vita, aveva fatto di tutto per sottrarsi.
La strada correva accanto alle inferriate e alle siepi del cimitero di Mortlake, quindi ai cimiteri di Hammersmith e Fulham, per poi attraversare il ponte di Chiswick e arrivare al cimitero di Chiswick, sulla sponda opposta del Tamigi. Acri su acri di lapidi che si facevano beffe delle ambizioni dei costruttori che avevano puntato tutto sul fiume e sulle sue rive. Perché mai la morte doveva reclamare tutto quello spazio? Molto meglio bruciare e disperdersi nell’aria azzurra che reclamare un pezzo di terra su quelle spiagge senza sole, stipati uno accanto all’altro sulla nuda terra, affidandosi alle radici degli alberi e dei fiori per una vaga speranza di resurrezione. Forse chi aveva avuto un buon rapporto con la figura materna era tentato di lasciarsi assorbire dal grembo della Madre Terra, mentre chi era stato abbandonato e tradito sognava solo di disperdersi nel cielo senza cuore. Era possibile che Johnny avesse un’opinione professionale, in proposito. La rimozione era un tipo differente di sepoltura che consisteva nel preservare un trauma nel proprio inconscio, come una statua sepolta nella sabbia di un deserto, i lineamenti marcati protetti dagli agenti atmosferici dell’esperienza di tutti i giorni. Anche su questo Johnny poteva avere un’opinione professionale, ma Patrick preferí rimanere in silenzio. Del resto che cos’era l’inconscio rispetto a qualunque altra forma di memoria, e perché si arrogava la sovranità su un determinato articolo, trasformandolo in un oggetto e in un luogo, quando tutto il resto della memoria si poteva descrivere solo in termini di facoltà e di processi?
L’auto imboccò il viadotto stretto e malmesso che passava sopra la rotatoria di Hogarth. Un rimedio temporaneo che si era trasformato in un elemento del paesaggio, per quanto Patrick non ricordasse un giorno nel quale non si fosse ipotizzato di sostituirlo. Forse era il corrispettivo del fumo, nel sistema dei trasporti; nessun giorno era mai quello giusto per smettere – domattina è prevista una punta di traffico… è in arrivo il weekend… aspettiamo che siano passate le Olimpiadi… il 2020 è un bel numero tondo, il momento ideale per ripartire daccapo.
«Che schifo di cavalcavia» disse Patrick.
«Lo so» rispose Johnny, «penso sempre che possa crollare da un momento all’altro».
In realtà, non aveva avuto intenzione di avviare una conversazione. Quella frase si era fatta spazio nel suo monologo interiore fino ad affiorare in superficie. Meglio ripiombare nel silenzio, per ripartire daccapo.
Ripartire daccapo non era possibile, però. In realtà, non c’era un daccapo da cui ripartire, ma un continuo susseguirsi di apparenze che si facevano spazio da dentro altre apparenze, come le parole di poco prima affiorate all’improvviso dal suo monologo interiore. Riuscire a porsi su un piano di eguaglianza con la miglior capacità di articolare: ecco in cosa consisteva la vera freschezza. Riusciva a sentirla nel suo corpo, come se in ogni istante potesse cessare di esistere o continuare a farlo, e continuando rinnovarsi.
«Stavo pensando alla rimozione» disse Patrick. «Non credo sia davvero possibile rimuovere un trauma, non trovi?».
«Mi sembra un approccio corretto» rispose Johnny. «Il trauma è troppo forte e intrusivo per poterlo dimenticare. Porta alla dissociazione e alla scissione della personalità».
«In tal caso, che cos’è che viene rimosso?» chiese Patrick.
«Qualunque cosa possa mettere in discussione le rassicurazioni di una falsa identità».
«Quindi, la rimozione ha comunque il suo bel daffare».
«Altroché» disse Johnny.
«Ma potrebbe anche non esistere alcuna rimozione o seppellimento nell’inconscio: solo la vita, che si irradia attraverso di noi».
«In teoria, sí» disse Johnny.
Patrick vide la familiare facciata di cemento e le finestre azzurro-acquario del Cromwell Hospital.
«Ricordo ancora quando ho passato un mese là dentro, con una vertebra incrinata, subito dopo la morte di mio padre».
«E io ricordo quando ti portavo degli antidolorifici sotto banco».
«Brindo alla sua ambiziosa lista di vini e ai canali televisivi arabi, cosí ricchi d’azione» disse Patrick, salutando con un ampio gesto della mano quel capolavoro post-brutalista.
Il traffico scorreva fluido lungo Gloucester Road e verso il Museo di Storia Naturale. Patrick si impose di rimanere in silenzio. Per tutta la vita, o almeno da quando aveva imparato a parlare, era stato tentato di sommergere sotto un mare di chiacchiere le situazioni piú difficili. Quando Eleanor aveva perso il dono della parola e Thomas non l’aveva ancora acquisito, Patrick aveva scoperto in se stesso una vena di inarticolatezza che rifiutava di farsi travolgere dalle chiacchiere, e che aveva tentato di soffocare nell’alcol. Restando in silenzio, era in grado di capire che cosa esattamente cercasse ogni volta di cancellare con le parole e con l’alcol. Ma di cosa si trattava, se era impossibile definirlo a parole? Non gli restava che vagare affannosamente a caccia di indizi, nella tenebra del mondo pre-verbale.
Il suo corpo era un cimitero di emozioni sepolte; i suoi sintomi si radunavano intorno al medesimo terrore fondamentale, come quella sfilza di cimiteri che avevano costeggiato si concentrava intorno al Tamigi. Il frequente e impellente stimolo a urinare, gli spasmi al colon, i dolori al fondoschiena, gli sbalzi della pressione sanguigna, che da normale poteva diventare pericolosamente alta in pochi secondi, per lo scricchiolio di una tavola del parquet o per il pensiero di un pensiero, e l’insonnia imperiosa che dominava su ogni altro fattore: tutto suggeriva uno stato d’ansia abbastanza radicato da bloccare i suoi istinti e assumere il controllo sugli automatismi del suo corpo. I comportamenti potevano essere modificati, gli atteggiamenti cambiare, le mentalità trasformarsi, ma era difficile poter dialogare con le tendenze innate dell’infanzia. Come poteva un bambino esprimersi prima ancora di avere un’identità da esprimere, o le parole per esprimere ciò che ancora non possedeva? L’unico linguaggio disponibile era quello inarticolato delle ferite e delle malattie. E c’era sempre la possibilità di urlare, purché fosse concessa.
Gli tornò in mente quando, a tre anni di età, se ne stava in piedi davanti alla piscina, in Francia, guardando l’acqua con un misto di brama e preoccupazione, desiderando con tutte le forze di saper nuotare. Tutto d’un tratto si sentí sollevare da terra e lanciare in alto nel cielo. Immerso in quell’orrore lento che prende il sopravvento quando la densità delle impressioni registrate dalla mente in pieno panico fa sí che il tempo s’ispessisca, usò tutta l’incredulità e il senso di allarme che gli scorrevano in corpo mentre tentava di divincolarsi per prendere le distanze da quel liquido letale in cui gli avevano raccomandato tante volte di non precipitare per sbaglio, ma dopo pochi istanti cadde a capofitto nella piscina, scalciando e battendo con le mani nell’acqua finché non tornò in superficie e risucchiò un po’ d’aria prima di affondare ancora. Lottò per sopravvivere in un caos di gesticolii e deglutizioni, aspirando ora aria, ora acqua, finché non riuscí finalmente a poggiare le dita sulla ruvida pietra del bordo piscina e singhiozzò, cercando di non fare troppo rumore, ricacciando in gola la disperazione, sapendo che se non si fosse trattenuto suo padre avrebbe fatto qualcosa di veramente violento e sgradevole.
David era seduto di tre quarti rispetto a Patrick, con gli occhiali da sole inforcati, fumando un sigaro, una nuvoletta itterica di Pastis sul tavolo di fronte a sé, impegnato a glorificare i propri metodi educativi con Nicholas Pratt: la necessità di stimolare l’istinto di sopravvivenza; di sviluppare l’autosufficienza; di offrire un antidoto alle coccole materne. In conclusione, i benefici erano talmente evidenti che solo la stupidità gregaria del gregge poteva spiegare come mai i bambini di tre anni non venissero tutti gettati in fondo a una piscina prima ancora che potessero imparare a nuotare.
La curiosità di Robert per la figura del nonno aveva indotto Patrick a raccontargli la storia della sua prima lezione di nuoto. Sentiva che sarebbe stato troppo pesante e gravoso confessare al figlio le botte e le aggressioni sessuali subite per mano di David, ma al tempo stesso voleva che Robert potesse avere quanto meno un assaggio della brutalità che il nonno aveva dimostrato. Robert era rimasto totalmente scioccato.
«Ma è orribile» aveva detto. «A tre anni si può morire, per una cosa simile. Anzi, tu avresti potuto morire» aveva aggiunto, abbracciando Patrick con fare rassicurante, come se la minaccia non fosse ancora sparita del tutto.
L’empatia di Robert aveva svelato a Patrick la realtà profonda di quello che aveva sempre considerato un aneddoto relativamente innocuo. Faticava a dormire, e quando riusciva ad addormentarsi si risvegliava con le palpitazioni. Aveva sempre fame ma non riusciva a digerire niente di quel che mangiava. Soprattutto, non riusciva a digerire il fatto che suo padre fosse un uomo che aveva desiderato ucciderlo, un uomo che aveva preferito farlo affogare invece di insegnargli a nuotare, un uomo che si vantava di aver sparato in testa a un suo simile solo perché gridava troppo, e che non avrebbe esitato a fare altrettanto con Patrick, se avesse fatto troppo baccano.
A tre anni, naturalmente, Patrick sarebbe stato in grado di parlare, anche se gli era proibito spiegare cosa fosse a tormentarlo. Quanto al periodo precedente, senza il supporto della parola la sua memoria attiva si era disintegrata ed era svanita. In quel mondo avvolto nelle tenebre, gli unici indizi risiedevano nel suo corpo, e in una o due cose della sua primissima infanzia che gli aveva raccontato sua madre. Anche in quel caso, l’intolleranza di suo padre per grida e pianti aveva avuto un ruolo decisivo, esiliandolo con Eleanor nel gelido attico della villa in Cornovaglia, per tutto l’inverno in cui Patrick era nato.
Affondò leggermente sul suo sedile. Avendo ammesso che per tutta la vita si era aspettato di essere soffocato o fatto precipitare dall’alto, ora provava un senso di soffocamento e vertigine che derivava dall’aspettativa stessa; e quando si chiedeva se il destino di ciascuno risiedesse nella sua infanzia, il senso di soffocamento e di vertigine si trasferiva a quella stessa domanda. Poteva sentire il peso del suo corpo e il peso che gravava sul suo corpo. Era come un muro che, deformato e cedevole per la pressione della collina alle sue spalle, gli premeva addosso: unica via d’accesso e al contempo guardia feroce che gli impediva di risalire all’informe infelicità dell’infanzia. Johnny avrebbe definito tutto questo un problema pre-edipico, ma qualunque nome si volesse dare a un disagio senza nome, Patrick sentiva che la sua nuova e ancora incerta vitalità dipendeva da quanto sarebbe stato pronto a penetrare in quel groviglio di emozioni sepolte, facendo in modo che si unisse al flusso di sensazioni che scandiva il suo presente. Doveva prestare piú attenzione ai rari indizi che trovava lungo il cammino. La notte prima, un sogno strano e inquietante lo aveva risvegliato, ma adesso era svanito, e non riusciva a riportarlo alla mente.
Intuiva che la morte di sua madre era stato un momento di crisi abbastanza forte da scuotere le sue difese. L’improvvisa assenza della donna che lo aveva messo al mondo rappresentava una fugace opportunità per mettere al mondo a sua volta qualcosa di relativamente nuovo. L’importante era dimostrarsi realisti: il presente era solo lo strato superficiale del passato, non la preziosa novità spacciata da personaggi come Seamus e Annette; d’altro canto, un qualcosa che apparisse relativamente nuovo poteva essere solo lo strato sottostante di qualcosa di ancor piú nuovo. Non doveva lasciarsi sfuggire l’occasione, o il suo corpo lo avrebbe costretto a vivere sotto la sua distorta ed eroica corazza, come il soldato giapponese al quale nessuno ha detto che il suo paese ha capitolato, e che continua a piazzare trappole nel suo angolo di giungla e a prepararsi all’onore di una morte autoinflitta.
Per quanto nauseante potesse essere spingere la crudeltà di suo padre ai primi posti nella classifica dei comportamenti omicidi, Patrick era ancora piú riluttante a rinunciare alla visione infantile secondo la quale sua madre era stata solo una seconda vittima della tempestosa malignità di David. La verità piú profonda, che faceva di lui un mero strumento nella relazione sadomasochista tra i suoi genitori, non era stata, almeno fino ad allora, qualcosa che Patrick fosse in grado di sopportare. Non intendeva rinunciare al fragile senso di protezione che gli veniva dal vedere in sua madre una donna affettuosa, che aveva fatto del proprio meglio per soddisfare ogni suo bisogno, anziché riconoscere che lo aveva usato come mera estensione del proprio desiderio di essere umiliata. Quanto c’era di egocentrico nella storia dell’attico gelido in Cornovaglia? Senza dubbio rafforzava l’immagine di Eleanor come una seconda rifugiata, sfuggita con la schiena ustionata e un bambino tra le braccia da quella autentica bomba incendiaria che era David, con la sua rabbia e i suoi impulsi autodistruttivi. Perfino quando Patrick aveva trovato il coraggio per dirle di essere stato stuprato dal padre, Eleanor si era affrettata a rispondere, “Anch’io”. Tutta concentrata sul suo vittimismo, Eleanor sembrava indifferente all’impatto che le sue storie potevano avere a un altro livello. Soffocato, lasciato cadere dall’alto, nato da uno stupro e al contempo nato per essere stuprato… Niente di tutto ciò aveva importanza, purché Patrick si rendesse conto di quanto difficili fossero state le cose per lei, e di quanto si fosse sforzata per non collaborare in alcun modo con il loro comune persecutore. Quando Patrick le aveva chiesto perché non se ne fosse andata, gli aveva risposto di aver avuto paura che David la uccidesse; ma poiché aveva già cercato di ammazzarla due volte mentre vivevano insieme, non era chiaro in che modo la separazione potesse rendere piú probabile quell’occorrenza. La verità, che gli aveva fatto schizzare la pressione alle stelle quando l’aveva ammessa con se stesso, era che Eleanor era attratta dalla violenza estrema legata alla presenza di David, e che non aveva esitato a mettere in pericolo anche suo figlio. Patrick voleva fermare l’auto, scendere e proseguire a piedi; voleva un bicchierino di whisky, una dose di eroina, un colpo di pistola alla testa: uccidere quell’uomo che continuava a piangere e gridare, farla finita, riprendere il controllo. Lasciò che quegli impulsi gli si riversassero addosso, senza prestar loro troppa attenzione.
L’auto stava svoltando in Queensbury Place, accanto al Lycée Français di Londra, dove Patrick aveva trascorso un anno scolastico di delinquenza bilingue quando aveva sette anni. Alla cerimonia dei diplomi, tenutasi alla Royal Albert Hall, sul suo sedile rosso e felpato c’era una copia di La Chèvre de Monsieur Seguin. Ben presto, la storia dell’infelice ed eroica capretta attratta verso le montagne dalla festa di colori dei fiori alpini (“Je me languis, je me languis, je veux aller à la montagne”) era diventata un’ossessione. Monsieur Seguin, che ha già perso sei capre, sbranate dal lupo, è deciso a non perderne un’altra ancora, e rinchiude l’eroina nel capanno degli attrezzi, ma la capretta si arrampica e scappa dalla finestra, per trascorrere una giornata di pura estasi sui pendii punteggiati di fiori rossi, azzurri, gialli e arancio. Poi, quando il sole comincia a tramontare, intravede all’improvviso tra le ombre la sagoma macilenta del lupo affamato, acquattato nell’erba, lo sguardo fisso sulla sua preda. Sapendo che morirà, la capretta decide comunque di combattere fino all’alba (“pourvu que je tienne jusqu’à l’aube”), china il capo e si scaglia contro il petto del lupo. Lotta per una notte intera, continuando a caricare, finché, quando il sole sorge sopra le rocce grigie della montagna di fronte, la capretta crolla al suolo e finisce divorata. Quella storia non aveva mai mancato di commuovere Patrick fino alle lacrime, quando la leggeva ogni notte nella sua camera da letto, in Victoria Road.
Ecco di cosa si trattava! Lo strano sogno della notte prima: una figura incappucciata che scivolava in mezzo a un gregge di capre, sollevando teste e tagliando gole. Patrick era una delle capre ai margini del gregge e, con un fatalismo e un gesto di sfida degno dell’eroina della sua infanzia, si tagliava da solo la laringe per non dare all’assassino la soddisfazione di sentirlo gridare. Un’altra forma di silenzio violento. Se solo avesse avuto il tempo di ragionarci sopra. Se solo avesse potuto restare solo, quel nodo di impressioni e collegamenti avrebbe finito per sciogliersi, cadendo ai suoi piedi. La sua psiche era in moto; le cose che avevano voluto restare nascoste ora fremevano per essere rivelate. Wallace Stevens aveva ragione: “La libertà è come un uomo che si uccide /Ogni notte, macellaio incessante, il cui coltello / Si affila nel sangue”. Bramava gli splendori del silenzio e della solitudine, e invece stava andando a un rinfresco.
Johnny svoltò su Onslow Gardens e, vedendo la strada davanti a sé improvvisamente deserta, accelerò.
«Eccoci arrivati» disse, rallentando in cerca di un parcheggio vicino al club.