11.

Quando arrivò all’entrata dello Onslow Club, con Thomas ancora in braccio e Robert accanto, Patrick sentí in lontananza, ma ben distinta, la voce di Nicholas Pratt che vomitava le sue opinioni sul marciapiede alle sue spalle.

«Di questi tempi, le vere celebrità sono le persone di cui non si è mai sentito parlare» tuonava Nicholas, «proprio come “j’arrive” è quello che ti dice un cameriere francese mentre si allontana dal tuo tavolo in un caffè di Parigi. La fama di Margot appartiene a un’epoca ormai lontana: in realtà, è impossibile non sapere chi sia! In ogni caso, scrivere cinque autobiografie mi pare decisamente troppo. La vita è la vita, la scrittura è la scrittura, e se scrivi alla maniera di Margot, come se riempissi un bicchier d’acqua in un giorno di pioggia, finisci per diluire l’effetto anche delle cose che un tempo ti riuscivano bene».

«Sei davvero orribile» disse Nancy, ammirata.

Patrick si voltò e vide Nancy che arrivava a braccetto di Nicholas e con accanto un Henry dall’aria piuttosto demoralizzata.

«Chi è quel buffo signore?» chiese Thomas.

«Si chiama Nicholas Pratt» disse Patrick.

«Somiglia a Toady, ma molto piú brontolone» disse Thomas.

Patrick e Robert scoppiarono tutti e due a ridere, per quanto lo consentiva la vicinanza di Nicholas.

«Mi ha detto» proseguí Nicholas con la sua voce piú affettata, «“So che è il mio quinto libro, ma mi sembra sempre che ci sia tanto altro da dire”. Be’, certo che se in un libro non si dice letteralmente nulla, c’è sempre dell’altro da aggiungere: piú che dell’altro, direi ancora tutto. Ah, Patrick, è davvero eccitante, alla mia veneranda età, poter essere introdotti in un nuovo club». Studiò con eccessiva curiosità la targa di ottone appesa a una colonna di stucco bianca. «The Onslow Club: non ricordo di averlo mai sentito nominare».

È l’ultimo, pensò Patrick, assistendo all’esibizione di Nicholas con freddo distacco. L’ultimo tra gli amici dei miei genitori che è ancora vivo, l’ultimo degli ospiti abituali di Saint-Nazaire, quando ero bambino. George Watford, Victor Eisen, Anne Eisen sono morti, ed è morta perfino Bridget, che pure era molto piú giovane di Nicholas. Vorrei tanto che crepasse anche lui.

Patrick tenne a bada senza sforzo il suo desiderio omicida di sbarazzarsi di Nicholas. La morte era il classico egotista iperattivo che non ha bisogno di incoraggiamenti. E poi, essere finalmente libero, qualunque cosa significasse, non poteva dipendere dalla morte di Nicholas, come non dipendeva da quella di Eleanor.

D’altro canto, la morte di sua madre apriva le porte a un mondo senza genitori che la presenza di Nicholas continuava a ostacolare. L’abilità con cui metteva in scena il proprio disprezzo era un filo sfrangiato che collegava Patrick all’atmosfera sociale della sua infanzia. L’unico grande alleato che Patrick avesse avuto negli anni turbolenti della sua adolescenza aveva sempre trovato Nicholas profondamente sgradevole. La moglie di Victor Eisen, Anne, era convinta che l’aureola di follia che circondava la corruzione di David Melrose l’avesse fatta apparire inevitabile, mentre la decadenza di Nicholas aveva piú i crismi di una scelta di stile.

Nicholas raddrizzò le spalle e lanciò un’occhiata ai bambini. «Sono i tuoi figli?».

«Robert e Thomas» disse Patrick, sorpreso dalla forte riluttanza che provava all’idea di posare a terra, accanto all’ultimo amico di suo padre ancora in vita, il suo sempre piú pesante secondogenito.

«È davvero un peccato che David non sia piú tra noi per godersi i nipotini» disse Nicholas. «Avrebbe fatto come minimo in modo di assicurarsi che non passassero tutto il giorno davanti alla televisione. Era molto preoccupato dalla tirannia del tubo catodico. Ricordo perfettamente quando vedemmo dei bambini cosí incollati allo schermo che sembrava lo avessero appena partorito, e lui mi disse, “Non oso pensare all’effetto di tutte quelle radiazioni sui loro genitali in fiore”».

Patrick non seppe cosa rispondere.

«Entriamo» disse Henry con decisione. Sorrise ai due bambini e guidò il gruppo dentro il club.

«Sono tuo cugino Henry» disse a Robert. «Qualche anno fa sei stato mio ospite nel Maine».

«Su quell’isola» disse Robert. «Me lo ricordo. Mi era piaciuta un sacco».

«Devi tornare, allora».

Patrick si spinse in testa al gruppo con Thomas, mentre Nicholas, come un pointer zoppo che insegue un uccellino ferito, gli si incollò, saltellando sulle piastrelle bianche e nere dell’atrio. Si era accorto di aver messo in difficoltà Patrick, e non voleva perdere l’occasione di perfezionare l’opera.

«Non riesco a non pensare a quanto si sarebbe divertito tuo padre» ansimò. «Per quanti difetti possa aver avuto come genitore, devi ammettere che non ha mai perso il suo senso dell’umorismo».

«È facile non perdere una cosa, quando non l’hai mai avuta» disse Patrick, troppo sollevato all’idea di essere riuscito a replicare per non commettere l’errore di sfidare Nicholas.

«Oh, non sono assolutamente d’accordo» disse Nicholas. «Sapeva trovare il lato buffo di ogni cosa».

«No. Vedeva il lato buffo solo nelle cose che ne erano prive» disse Patrick. «E questo non è senso dell’umorismo, ma una forma di crudeltà».

«Be’, la crudeltà e il riso» ribatté Nicholas, tentando goffamente di sfilarsi il soprabito vicino ai ganci di ottone appesi alla parete opposta rispetto all’ingresso, «sono sempre stati molto vicini».

«Vicini sí, ma non incestuosi» disse Patrick. «In ogni caso, per quanto tu possa sentire la mancanza del mio altro, meraviglioso genitore, devo occuparmi delle persone che sono venute per ricordare mia madre».

Approfittando della goffaggine di Nicholas, che aveva trasformato il suo soprabito in una camicia di forza, Patrick tornò verso l’entrata.

«Ah, guarda, c’è la Mamma» disse, decidendosi a far scendere Thomas e seguendolo mentre correva verso Mary.

«Mi spiace se sembro Greta Garbo, ma “Voglio restare solo”» disse Patrick, con un grottesco accento svedese.

«Ancora!» esclamò Mary. «Ma perché questi sentimenti non li provi quando sei già solo, invece di telefonare e lamentarti perché non ti invitano piú alle feste?».

«Hai ragione, ma quando mi lamento non sono i sandwich dopo il funerale di mia madre che ho in mente. Senti, faccio solo il giro dell’isolato, come se dovessi fumarmi una sigaretta, dopodiché ti prometto che torno e mi trasformo in un perfetto padrone di casa».

«Promesse, sempre promesse» disse Mary, con un sorriso comprensivo.

Patrick vide Julia, Erasmus e Annette alle spalle di Mary, e sentí la stretta soffocante delle responsabilità sociali. Desiderava come non mai allontanarsi, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito. Annette adocchiò Nicholas sul lato opposto del salone d’ingresso.

«Povero Nick, si è incastrato ben bene, con quel soprabito» disse, correndo in suo soccorso.

«Lascia che ti aiuti». Tirò una manica del soprabito, liberando la spalla imprigionata di Nicholas.

«Grazie» disse Nicholas. «Quel demonio di Patrick ha visto che ero legato come un tacchino e mi ha mollato da solo».

«Oh, sono sicura che non l’ha fatto apposta» rispose Annette, con il consueto ottimismo.

Parcheggiata l’auto, Johnny arrivò e si uní alla folla degli ospiti, costringendo Patrick a rientrare. Mentre la pressione collettiva lo spingeva di nuovo all’interno del club, Patrick vide una donna dai capelli grigi e dall’aspetto vagamente familiare che entrava a passo marziale e chiedeva al portiere se ci fosse un ricevimento per il funerale di Eleanor Melrose.

Tutto d’un tratto, gli tornò in mente dove l’aveva vista. Si trovava al Priory nello stesso periodo in cui era stato ricoverato. L’aveva incontrata quando cercava di filarsela alla chetichella, con la vana intenzione di far visita a Becky. Gli si era piazzata di fronte sulla porta d’ingresso, con addosso una felpa verde scuro e una gonna a scacchi, e gli si era rivolta con un tono agitato e confidenziale, bloccandogli l’uscita.

«Te ne vai?» aveva chiesto, senza aspettare una risposta. «Devo dire che non ti invidio. Mi piace, qui. Ci vengo per un mese ogni anno, mi fa un sacco bene e mi allontana da casa. Il problema è che provo un disprezzo assoluto per i miei figli. Sono mostri. Il padre, che disprezzo ancora di piú, non ha mai saputo imporre la disciplina, perciò puoi immaginare di quali orrori siano capaci. Naturalmente, anch’io ho fatto la mia parte. Sono rimasta a letto per dieci mesi senza spiccicare sillaba e poi, quando ho ripreso a parlare, non riuscivo a fermarmi per via di tutte le cose che si erano accumulate nella mia testa. Non so quale sia il motivo ufficiale del tuo ricovero, ma mi sono fatta un’idea. No, ascoltami. Ho un semplice consiglio da darti: “amitriptilina”. È assolutamente fantastica. L’unica volta in cui mi sono sentita felice è stata quando ero sotto il suo effetto. Da allora non ho fatto altro che cercare di riprenderla, ma questi bastardi non vogliono darmela».

«Il problema è che sto cercando di liberarmi da qualunque dipendenza» disse Patrick.

«Non essere stupido: non esiste droga migliore».

Lo seguí sui gradini d’ingresso dopo che il suo taxi fu arrivato. «Amitriptilina» gridò, come se fosse stato Patrick a parlargliene. «Fortunato tu che ce l’hai!».

Patrick non aveva seguito il suo consiglio; ben lungi dal prendere l’amitriptilina, nei mesi successivi aveva mollato l’Oxazepam e gli antidepressivi e aveva smesso completamente di bere.

«È davvero strano» disse Patrick a Johnny mentre salivano le scale per raggiungere la sala dove si sarebbe tenuto il rinfresco. «È appena arrivata una donna che era al Priory nel mio stesso periodo, lo scorso anno. Ed è completamente svitata».

«Non c’è da stupirsene, visto dove l’hai conosciuta» disse Johnny.

«Non direi, visto che io sono assolutamente normale» ribatté Patrick.

«Forse anche troppo normale» disse Johnny.

«Troppo, sí, maledizione» disse Patrick, dandosi un pugno sul palmo della mano.

«Fortunatamente, per questo esiste un ottimo rimedio» disse Johnny, con il tono paternalista del perfetto medico americano, «grazie al Xywyz, un medicinale innovativo che utilizza solo le ultime quattro lettere dell’alfabeto».

«Incredibile!» esclamò Patrick, entusiasta.

Johnny procedette a una rapida disamina delle controindicazioni: «Non prendere l’Xywyz se si usano acqua o altri agenti idratanti. I possibili effetti collaterali includono cecità, incontinenza, aneurismi, danni al fegato, vertigini, eritemi, depressione, emorragie interne e morte improvvisa».

«Non mi importa» disse Patrick. «Lo voglio comunque. Devo averlo».

I due uomini rimasero in silenzio. Improvvisavano scenette come quelle da decenni, fin dai tempi in cui fumavano sigarette e in seguito spinelli sulle scale antincendio durante la ricreazione, a scuola.

«Stava chiedendo del nostro ricevimento» disse Patrick, quando raggiunsero il pianerottolo.

«Forse conosceva tua madre».

«A volte le spiegazioni piú semplici sono le migliori» ammise Patrick, «anche se potrebbe essere solo una fanatica dei funerali che è andata fuori di testa».

Un rumore di bottiglie stappate ricordò a Patrick che era passato un anno da quando Gordon, il saggio moderatore scozzese, lo aveva intervistato prima che si unisse alle sedute quotidiane del Gruppo anti-depressione. Gordon aveva richiamato la sua attenzione sull’“alcolista dietro l’alcol”.

«Puoi non mettere il brandy nella torta alla frutta» disse, «ma ti rimane comunque la torta alla frutta».

Patrick, che aveva passato la nottata in uno stato di allucinazione latente e di affanno cosmico, non era dell’umore giusto per dirsi d’accordo su niente.

«Non credo si possa togliere il brandy dalla torta di frutta» disse, «o quanto a questo le uova dal sufflé o il sale dal mare».

«Era solo una metafora» aveva detto Gordon.

«Solo una metafora!» aveva sbraitato Patrick. «La metafora è esattamente il problema, il solvente degli incubi. Nel cuore liquido delle cose tutto somiglia a tutto il resto, è questo il vero orrore».

Gordon diede un’occhiata alla cartella clinica di Patrick per assicurarsi che avesse preso la sua ultima dose di Oxazepam.

«Quello che ti sto chiedendo» insisté «è per che cosa stai assumendo tutti questi medicinali, se non è per la depressione».

«Personalità borderline, manie di tipo narcisistico, tendenze schizoidi…» suggerí Patrick, per fornire ulteriori motivazioni plausibili.

Gordon scoppiò in una risata terapeutica, di cuore. «Eccellente! A quanto pare sei arrivato con un discreto patrimonio di autoconsapevolezza!».

Patrick gettò uno sguardo alle scale per accertarsi che la donna dell’amitriptilina non fosse nelle vicinanze.

«L’ho vista due volte» disse a Johnny. «All’inizio del mio soggiorno e verso la metà, quando cominciavo a stare meglio. La prima volta mi ha tenuto una vera e propria conferenza sulle gioie dell’amitriptilina, mentre la seconda non abbiamo nemmeno parlato, e l’ho solo vista che somministrava lo stesso sermone a un’altra paziente del mio Gruppo anti-depressione».

«Quindi, si può dire che fosse una sorta di Vecchio Marinaio dell’amitriptilina».

«Esatto».

Patrick ricordava con molta chiarezza il secondo incontro con la donna, perché era avvenuto in un giorno di svolta del suo ricovero. Dalle crisi di astinenza e dal delirio delle prime due settimane aveva cominciato a emergere una forma di brutale chiarezza. Trascorreva sempre piú tempo da solo in giardino, non volendo annegare nelle chiacchiere di un pranzo in gruppo, o trascorrere in camera piú tempo di quanto non facesse già. Un giorno era seduto sulla panchina piú isolata del giardino quando, all’improvviso, era scoppiato a piangere. Non c’era niente nel fazzoletto di cielo pallido o nell’albero che riusciva appena a intravedere che giustificasse il senso di godimento estetico che lo aveva colto; non c’erano colombacci che tubavano sul prato, né gli echi lontani di una musica d’opera o crochi ai piedi dell’albero che tremolassero al vento. Qualcosa di invisibile e di immotivato aveva invaso il suo sguardo velato dalla depressione e si era riversato come una pioggia dorata sulle rovine del suo cervello. Non aveva alcun controllo sulla fonte di quel senso di tregua. Non aveva rimesso in prospettiva la sua depressione, o preso le distanze da essa; era stata semplicemente la depressione a cedere a una nuova visione della vita. Piangeva di gratitudine, ma anche di frustrazione per il fatto di non sapere come procurarsi una scorta di quel balsamo prezioso. Sentiva a quali profondità si spingesse il suo materialismo psicologico e capiva oscuramente che avrebbe rappresentato un ostacolo, ma l’abitudine di aggrapparsi a qualunque cosa potesse alleviare la sua sofferenza era troppo radicata, e il senso gratuito di bellezza che lo aveva percorso con tutto il suo scintillio era svanito non appena aveva cercato di scoprire come catturarlo e farne il miglior uso possibile.

E poi era apparsa la donna dell’amitriptilina, con la stessa felpa verde e la stessa gonna a quadretti del loro primo incontro. Ricordava di aver pensato che doveva essere entrata in ospedale con una valigia davvero piccola.

«Ma questi bastardi non vogliono darmela…» stava dicendo a Jill, un membro particolarmente incline al pianto del Gruppo anti-depressione di cui faceva parte anche Patrick.

Jill era fuggita in lacrime dalla seduta del mattino quando il suo suggerimento che il gruppo trattasse la parola “Dio” come acronimo di “Dono inatteso e onnipresente” era stato accolto dal pungente e sarcastico Terry con uno “Scusate, ma devo vomitare”.

Ansioso di evitare qualunque conversazione con le due donne, Patrick era corso a nascondersi dietro i rami laterali di un cedro.

«Fortunata tu che ce l’hai…». Il sermone sull’amitriptilina seguiva il suo ineluttabile corso.

«Ma non me l’hanno mai data» protestava Jill, sentendo chiaramente la presenza di Dio mentre gli occhi le si riempivano nuovamente di lacrime.

«L’ultima volta che l’ho vista, sono rimasto nascosto dietro un cedro per venti minuti» spiegò Patrick a Johnny, mentre entravano in una sala azzurro pallido, con le alte porte finestre che affacciavano su un placido parco. «Quando l’ho vista arrivare, sono corso dietro un albero mentre loro si sistemavano sulla mia stessa panchina».

«Cosí impari ad abbandonare un membro del tuo gruppo» disse Johnny.

«Ero nel bel mezzo di un’epifania».

«Be’, in tal caso…».

«Sembra tutto cosí lontano nel tempo, adesso…».

«Che cosa? L’epifania o il Priory?».

«Tutti e due» disse Patrick. «O almeno, era cosí fino a quando non è saltata fuori quella donna».

«Forse le intuizioni si fanno spazio nella mente quando si sente il bisogno di uscire da una spirale di follia. E quella svitata al piano di sotto potrebbe fare da catalizzatore».

«Qualunque cosa potrebbe servire da catalizzatore» ribatté Patrick. «Qualunque cosa potrebbe essere una prova, o un indizio da seguire. Non possiamo mai permetterci di abbassare la guardia».

«Fortunatamente possiamo farne a meno» disse Johnny, riassumendo il tono da medico americano, «grazie al Vigilante. Conteso dai piloti da combattimento, presiede sui presidenti, terrorizza i terroristi, incarna l’attivismo americano. Vigilante: “Per i nostri leader, sempre al lavoro”». La voce di Johnny passò a un rapido mormorio. «Non assumete Vigilante se soffrite di pressione alta, pressione bassa, o pressione normale. Consultate il vostro medico curante se sentite dolori al petto, le palpebre vi si gonfiano, vi si allungano le orecchie…».

Patrick prese le distanze dall’elenco delle controindicazioni e si guardò intorno nella sala semivuota. Nancy aveva già aggredito un vassoio di sandwich in fondo a un lungo tavolo con troppo cibo per un ricevimento cosí piccolo. Henry era in piedi accanto a lei e chiacchierava con Robert. Dietro il tavolo c’era una cameriera eccezionalmente bella, con un collo lunghissimo, gli zigomi alti e i capelli neri e corti. Rivolse a Patrick un sorriso aperto e amichevole. Doveva essere un’aspirante attrice che sbarcava il lunario tra un’audizione e l’altra. Era assurdamente attraente. Voleva fuggire con lei, subito. Perché gli sembrava tanto irresistibile? Era il tavolo con tutto quel cibo ancora intatto a farla sembrare generosa, oltre che adorabile? Qual era l’approccio giusto, in una situazione come quella? Mia madre è appena morta e ho bisogno di tirarmi su il morale? Mia madre non mi ha mai dato abbastanza da mangiare, ma da quel che vedo tu potresti fare di meglio? Patrick si lasciò andare a una secca risata tra sé e sé di fronte all’assurdità di quegli impulsi tirannici, alla profondità della sua dipendenza, alle continue fantasticherie nelle quali qualcuno arrivava a salvarlo, e a nutrirlo. C’era troppo passato che premeva sulla sua attenzione, spingendola sotto la linea di galleggiamento e inondandolo di desideri primitivi, pre-verbali. Immaginò di scuotersi di dosso il suo inconscio, come un cane appena riemerso dal mare. Si avvicinò al tavolo, chiese un bicchiere di acqua gassata e rivolse alla cameriera un sorriso semplice, senza implicazione future. La ringraziò e si voltò bruscamente. C’era stato un qualcosa di vuoto nella breve scena che si era appena svolta; continuava a trovarla assolutamente adorabile, ma vedeva l’attrazione per quel che era: una manifestazione della sua brama, senza alcuna implicazione interpersonale.

Gli tornò in mente quando Jill, in una seduta del suo Gruppo anti-depressione, si era lamentata di avere “un problema di relazione… insomma, il problema è che la persona con cui ho una relazione non sa che abbiamo una relazione”. Quella confessione aveva scatenato la risata irridente di Terry.

«Non c’è da stupirsi che tu sia in cura per la nona volta» aveva detto Terry.

Jill era uscita di corsa dalla stanza, in lacrime.

«Dovrai scusarti per quello che hai detto» aveva intimato Gordon.

«Ma è esattamente quello che penso».

«Ed è proprio per questo che devi chiedere scusa».

«Se lo facessi, sarei falso» aveva protestato Terry.

«A volte mentire è l’unica cosa da fare, amico» era intervenuto Gary, l’americano che aveva scatenato una discussione furibonda durante la prima seduta di Patrick, parlando di sua madre, la turista tutta opportunismo.

Patrick si chiese se anche lui avesse deciso che mentire era l’unica cosa da fare – un’idea che lo aveva sempre disgustato – quando aveva voltato le spalle con tanta decisione a una donna che avrebbe voluto sedurre. No, era la seduzione che sarebbe stata una menzogna, il complesso di Casanova che lo avrebbe costretto a mascherare le sue voglie infantili dietro l’apparenza di un comportamento adulto: cortesie, conversazione, copulazione, commento finale; tutti stratagemmi elaborati per allontanarlo da quel bambino impotente di cui non poteva sopportare di sentire le urla. Il lato piú bello della morte di sua madre era che Eleanor non avrebbe potuto fare da ostacolo agli istinti materni di suo figlio e impedirgli di abbracciare quel naufrago inconsolabile che lei aveva messo al mondo.