12.

Mentre la sala cominciava a riempirsi, Patrick fu distolto dalle sue riflessioni private e costretto a calarsi nel ruolo del padrone di casa. Nicholas gli passò accanto, altero e indifferente, per raggiungere Nancy dall’altra parte della sala. Mary sopraggiunse insieme alla donna dell’amitriptilina, seguita a ruota da Thomas ed Erasmus.

«Patrick» disse Mary, «vorrei presentarti Fleur, una vecchia amica di tua madre».

Patrick le strinse educatamente la mano, sorpreso dallo stravagante nome francese. Ora che si era tolta il soprabito, riconobbe la felpa verde e la gonna a quadri che aveva indossato anche al Priory. Fleur si era disegnata una seconda bocca con il rossetto, leggermente a destra rispetto alle labbra, e sembrava un clown colto di sorpresa mentre si sta togliendo il trucco.

«Come ha fatto a sapere…» iniziò Patrick.

«Papi!» disse Thomas, troppo eccitato per non interrompere. «Erasmus è un vero filosofo!».

«O in ogni caso, un filosofo realista» disse Erasmus.

«Lo so, amore» disse Patrick, scompigliando i capelli del figlio piccolo. Thomas non vedeva Erasmus da un anno e mezzo, ed evidentemente la categoria dei filosofi era entrata proprio in quell’intervallo di tempo nel suo orizzonte mentale.

«Insomma» disse Thomas, dandosi un tono assai filosofico, «ho sempre pensato che il problema con Dio sia il seguente: chi ha creato Dio? E ancora» aggiunse, lasciandosi trasportare dall’entusiasmo, «chi ha creato il creatore di Dio?».

«Un tipico esempio di regressione all’infinito» disse Erasmus con un velo di tristezza.

«Okay, ma allora» disse Thomas, «chi ha creato la regressione all’infinito?». Poi alzò gli occhi e guardò il padre, per assicurarsi che le sue argomentazioni fossero sufficientemente filosofiche.

Patrick gli rivolse un sorriso di incoraggiamento.

«È spaventosamente intelligente, non è vero?» disse Fleur. «A differenza dei miei figli: fino a dieci anni, non riuscivano a mettere una frase insieme, e quando lo facevano era solo per insultare me… e loro padre, che ovviamente se lo meritava. Degli autentici mostri».

Mary si allontanò con Thomas ed Erasmus, lasciando Patrick alle prese con Fleur.

«Gli adolescenti sono tutti uguali» disse Patrick, deliberatamente banale. «Allora, come ha conosciuto Eleanor?».

«Adoravo tua madre. Credo sia stata una delle poche persone buone che io abbia incontrato. Mi ha letteralmente salvato la vita – credo sia successo ormai una trentina d’anni fa – dandomi un lavoro in uno dei charity shop che gestiva per Save the Children».

«Mi ricordo di quei negozi» disse Patrick, notando che Fleur stava prendendo slancio e non voleva essere interrotta.

«Molte persone» proseguí Fleur come se nulla fosse, «anzi, direi tutte, a parte tua madre, erano convinte che fossi inadatta al lavoro, per via dei miei episodi, ma dovevo solo allontanarmi da casa mia e fare qualcosa, perciò tua madre è stata un autentico dono del cielo. Mi ha messa subito a impacchettare abiti usati. Li spedivamo al negozio dove, secondo noi, c’era piú possibilità di venderli, e tenevamo i migliori per il nostro negozio a Launceston Place, subito dietro l’angolo di casa tua».

«Sí, ricordo» disse con prontezza Patrick.

«Ci divertivamo da morire. Eravamo come due compagne di scuola. Pescavamo un vestito e commentavamo, “Richmond, direi”, oppure “Un perfetto Cheltenham”. Ogni tanto gridavamo tutte e due “Rochdale!” o “Hemel Hempstead!” nello stesso preciso istante. Ah, le risate che ci facevamo. Tua madre ha finito per fidarsi di me al punto da mettermi alla cassa e lasciarmi gestire il negozio per intere giornate, ed è stato allora, temo, che ho avuto uno dei miei episodi. Quella mattina avevamo una pelliccia – era il periodo in cui spruzzavano la vernice addosso a chiunque ne indossasse una. Era uno splendido zibellino, e credo sia stato per questo che ho perso il controllo. Mi ha preso il desiderio di fare qualcosa di davvero eccitante, perciò ho chiuso il negozio, ho preso tutti i soldi dalla cassa e ho indossato la pelliccia: non la migliore delle idee, a giugno, ma non potevo fare altrimenti. Comunque, sono uscita, ho chiamato un taxi e ho detto, “Mi porti al Ritz!”».

Patrick si guardò intorno, ansioso, chiedendosi come fare a svignarsela.

«Hanno cercato di farmi togliere la pelliccia» accelerò Fleur, «ma non ne ho voluto sapere, e cosí mi sono seduta nel Palm Court, avvolta nello zibellino, bevendo cocktail allo champagne e chiacchierando con chiunque fosse disposto ad ascoltarmi, finché un capo cameriere spaventosamente tronfio mi ha chiesto di andarmene perché “infastidivo gli altri ospiti”! Riesci a immaginare tanta maleducazione? In ogni caso, i soldi che avevo preso dalla cassa si sono rivelati insufficienti per pagare l’enorme conto che avevo accumulato, e quei miserabili dell’albergo hanno insistito per tenere la pelliccia, una decisione che si è rivelata decisamente inopportuna perché la donna che ce l’aveva regalata è tornata al negozio e ha detto di aver cambiato idea…».

Ormai Fleur stentava a seguire il corso dei propri pensieri. Patrick tentò di incrociare lo sguardo di Mary, ma gli parve che lei lo ignorasse deliberatamente.

«Tutto quel che posso dire è che tua madre è stata assolutamente meravigliosa. È andata a pagare il conto e ha recuperato la pelliccia. Ha detto che ci era abituata perché le capitava spesso di dover saldare i conti di suo padre nei bar piú eleganti, e che non le importava affatto doverlo fare anche per me. Era un’autentica santa e mi ha lasciato gestire il negozio in sua assenza, dicendo di essere sicura che non l’avrei rifatto… anche se devo ammettere che invece è successo ancora, e piú di una volta».

«Le andrebbe un drink?» chiese Patrick, voltandosi verso la cameriera con rinnovato desiderio. Forse, dopo tutto, sarebbe veramente fuggito insieme a lei. Avrebbe voluto baciare la vena che le pulsava sul lungo collo.

«In realtà non dovrei, ma prenderò un gin and tonic» disse Fleur, per poi riprendere il suo discorso, quasi senza pause. «Devi essere molto orgoglioso di tua madre. Ha fatto del bene in tantissime occasioni e sempre in modo concreto, che poi è l’unico modo che conta. Ha trasformato centinaia di vite, e ha investito una quantità incredibile di energie in quei negozi. Sono assolutamente convinta che avrebbe potuto essere una grande imprenditrice se avesse avuto bisogno di guadagnare, vista l’energia contagiosa con cui andava alla Fiera di Harrogate, in mezzo ai commercianti».

Patrick sorrise alla cameriera e poi fissò la tovaglia, con aria quasi timida. Quando alzò lo sguardo, la ragazza gli stava sorridendo a sua volta, con evidente simpatia e con gli occhi che le ridevano. Aveva capito tutto, era evidente. Era meravigliosamente intelligente, oltre che bella fino all’inverosimile. Piú Fleur parlava di Eleanor, piú Patrick sognava di cominciare una nuova vita con la cameriera. Prese con delicatezza il gin and tonic che la ragazza gli porgeva e lo passò alla loquace Fleur, che sembrava avere appena detto, “E tu, che ne dici?”, per ragioni che gli era impossibile immaginare.

«A che proposito?» chiese.

«Ti senti fiero di tua madre?».

«Immagino di sí» rispose Patrick.

«Che vuol dire, “immagino di sí”? Sei peggio ancora dei miei figli. Siete tutti dei mostri».

«Senta, è stato un vero piacere fare la sua conoscenza» disse Patrick, «e sono certo che potremo chiacchierare ancora, ma credo proprio che dovrei occuparmi anche degli altri ospiti».

Si allontanò da Fleur senza troppe cerimonie e, deciso a far credere che sapeva quel che faceva, puntò dritto verso Julia, che era da sola accanto a una finestra, con un bicchiere di vino bianco in mano.

«Aiuto!» disse Patrick.

«Oh, ciao» disse Julia. «Stavo guardando fuori dalla finestra, un po’ distratta, ma non al punto di non accorgermi che stavi flirtando con la bella cameriera».

«Flirtando? Ma se non le ho detto una parola».

«Non ce n’era bisogno, tesoro. Un cane non ha bisogno di dire niente quando sta accucciato vicino al tavolo da pranzo, guaisce e la saliva gli cola dalla bocca sul tappeto: sappiamo comunque che cosa desidera».

«Ammetto di essermi sentito vagamente attratto da lei, ma solo dopo che quella pazza con i capelli grigi si è messa a parlare con me, la ragazza ha cominciato a sembrarmi l’ultimo albero cui aggrapparsi prima di una cascata».

«Che paragone poetico. Cerchi ancora qualcuno che ti salvi».

«Non è esatto; sto cercando di decidere che non voglio essere salvato».

«Hai fatto progressi, allora».

«Continui e incessanti».

«E chi sarebbe questa pazza che ti ha costretto a flirtare con la cameriera?».

«Oh, lavorava nel charity shop di mia madre, anni fa. La sua esperienza di Eleanor è stata cosí diversa dalla mia da farmi comprendere che non sono il depositario del significato ultimo della vita di mia madre, e che avevo torto a credere di poter arrivare a una qualche conclusione autorevole in proposito».

«Ma potresti arrivare a qualche conclusione su ciò che ha significato per te».

«Non sono nemmeno sicuro che si verifichi questo» disse Patrick. «Oggi mi sono reso conto di quanto sia irrisolto il mio rapporto con tutti e due i miei genitori. Non esiste una verità ultima: è come trovarsi in un palazzo e poter abitare in qualunque suo piano».

«Sembra decisamente faticoso» protestò Julia. «Non sarebbe piú semplice odiarli a morte e basta?».

Patrick scoppiò a ridere.

«Un tempo credevo di essere molto distaccato nei confronti di mio padre. Ero convinto che il distacco fosse la virtú suprema, senza la condiscendenza morale radicata nel perdono, ma la verità è che provo tutta una gamma di sentimenti: disprezzo, rabbia, pietà, terrore, tenerezza, e anche distacco».

«Tenerezza?».

«Al pensiero di quanto era infelice. Quando ho avuto anch’io dei figli, e ho sentito quanto fosse forte l’istinto di proteggerli, sono stato nuovamente scioccato dal fatto che potesse aver fatto deliberatamente del male a suo figlio, e a quel punto l’odio è tornato».

«Quindi hai abbandonato quasi completamente il distacco».

«Tutto il contrario. È solo che mi rendo conto di quante sono le cose da cui prendere le distanze. L’odio incandescente e il terrore allo stato puro non annullano il distacco: gli danno la possibilità di espandersi».

«Insomma, hai appreso la disciplina del distacco» disse Julia.

«Esatto».

«Chissà se posso fumare, qui fuori» disse Julia, aprendo la portafinestra e uscendo sul balcone. Patrick la seguí e si sedette sul bordo della balaustra di stucco bianco. Quando Julia tirò fuori il suo pacchetto di Camel Blu, Patrick seguí con gli occhi il profilo elegante che aveva studiato tante volte dal cuscino accanto e che ora si stagliava contro la promessa rimandata degli alberi ancora spogli. Guardò Julia baciare il filtro della sigaretta e risucchiare la fiamma ondeggiante del suo accendino nel tabacco compresso. Dopo la prima, interminabile tirata, il fumo le filtrò dal labbro superiore solo per essere aspirato attraverso il naso nei polmoni in espansione e infine soffiato fuori, prima in un unico pennacchio, poi in una serie di boccate, anelli deformi e pareti compatte che prendevano forma insieme alle sue parole.

«Quindi hai lavorato particolarmente sodo sulla tua disciplina interiore, oggi?».

«Ho provato una strana sensazione: era come se mi sentissi sollevato, ma anche in caduta libera. C’è qualcosa di freddo e oggettivo nella morte, se confrontato con l’isolamento feroce che i quattro anni di malattia di mia madre mi avevano costretto a immaginare. In un certo senso, è la prima volta che riesco a pensare a lei con chiarezza, lontano dal vortice di un’empatia che non era né compassionevole né salutare, ma un sostituto dello stesso orrore in cui era immersa».

«Non sarebbe meglio ancora non pensare proprio piú a lei?» disse Julia, dando un secondo languido tiro alla sua sigaretta.

«No, non oggi» disse Patrick, provando tutto d’un tratto una sorta di repulsione per la pelle di porcellana di Julia.

«Ma certo, ci mancherebbe solo» ribatté Julia, consapevole di aver forzato la mano. «Era un discorso generale».

«La gente che dice di “passarci sopra” e di “guardare oltre” è incapace di vivere esperienze dirette ancor piú di chi viene accusato di evitarle e di trascorrere il tempo a guardarsi l’ombelico» disse Patrick, con lo stile avvocatesco che adottava quando doveva difendere se stesso. «Si crede di “guardare oltre”, e in realtà quel che si ha davanti è una replica spettrale delle proprie abitudini irriflessive. Non pensare a qualcosa è il modo piú sicuro per continuare a subirne l’influsso».

«Ben detto, capo» disse Julia, sconcertata dalla sincerità di Patrick.

«Che cosa comporterebbe essere spontanei, reagire in modo istintivo, qualunque sia la cosa che si ha davanti agli occhi? Nessuno di noi due è nella posizione per saperlo, ma non voglio morire senza averlo scoperto».

«Hmmm» disse Julia, poco tentata dall’oscuro progetto di Patrick.

«Scusatemi» disse una voce alle loro spalle.

Patrick si voltò e vide la bella cameriera. Si era dimenticato di esserne innamorato, ma ora tutto gli tornò in mente.

«Oh, salve» disse.

La ragazza non lo degnò quasi di uno sguardo, e tenne gli occhi fissi su Julia.

«Sono spiacente, ma non può fumare qui fuori» disse.

«Oh, sono desolata» rispose Julia, facendo un altro tiro, «non lo sapevo. È buffo, perché qui siamo all’aperto».

«Be’, tecnicamente il terrazzo fa parte del club, che è interamente per non fumatori».

«Capisco» disse Julia, continuando a fumare. «Be’, sarà meglio che la spenga, allora». Fece un altro lungo tiro dalla sigaretta, ormai quasi finita, la lasciò cadere sul pavimento del balcone e la spense sotto il tacco, prima di rientrare in sala.

Patrick si aspettava che la cameriera lo guardasse con un’aria complice e divertita, ma la ragazza tornò al suo posto dietro il tavolo senza lanciare nemmeno un’occhiata nella sua direzione.

La cameriera era inutile. Julia era inutile. Eleanor era inutile. Perfino Mary, in fondo, era inutile, e non gli avrebbe impedito di tornare al suo monolocale, solo e senza alcuna forma di consolazione.

Ma la colpa non era delle donne, bensí del suo delirio di onnipotenza: dell’idea che esistessero in primo luogo per essergli utili. Doveva fare in modo di ricordarselo, la prossima volta che una qualunque di quelle stronze irrilevanti lo avrebbe piantato in asso. Patrick si lasciò andare a un altro scoppio di risa. Si sentiva un po’ fuori del seminato. Casanova, il misogino; Casanova, il bambino pieno di voglie. L’inadeguatezza nel cuore marcio degli eccessi. Rimase a guardare mentre un velo di disgusto si stendeva sull’argomento dei suoi rapporti con le donne, cercando di impedirgli di spingersi piú a fondo. Il disgusto di sé era la via d’uscita piú facile, perciò doveva sbarazzarsene e accettare di rimanere sconsolato. Non vedeva l’ora di sperimentare le austere esigenze connesse a quell’aggettivo: un vero cocktail rinfrescante, dopo l’oasi calda e secca della consolazione. Tornare nel suo monolocale, sconsolato: il vero obiettivo della giornata.

Sul balcone cominciava a far freddo, e Patrick avrebbe voluto rientrare, ma fu frenato dalla riluttanza a unirsi a Kettle e Mary, che si trovavano dall’altro lato della portafinestra.

«Vedo che tu e Thomas siete ancora praticamente una cosa sola» disse Kettle, lanciando un’occhiata piena d’invidia al nipote, accoccolato tra le braccia della madre.

«Nessuno può sperare di raggiungere la tua perfezione, nell’arte di ignorare i propri figli» sospirò Mary.

«Che vuoi dire? Noi abbiamo sempre… comunicato».

«Comunicato! Ricordi che cosa mi hai detto quando mi chiamasti a scuola per avvertirmi che Papà era morto?».

«Quanto fosse tutto orribile, credo».

«Ero cosí triste che non riuscivo a parlare, e tu mi hai detto, “Su col morale”. Su col morale! Non hai mai avuto la minima idea di chi fossi io, e non ce l’hai neanche adesso».

Mary le diede le spalle, con un grugnito di esasperazione, e si avviò dalla parte opposta della sala. Kettle salutò l’inevitabile esito delle sue cattiverie con un’espressione stupefatta e incredula. Patrick rimase ancora sul balcone, aspettando che si allontanasse, ma vide Annette avvicinarsi per coinvolgere la suocera in una nuova conversazione.

«Salve, cara» disse Annette. «Come va?».

«Be’, mia figlia mi ha quasi staccato la testa, pochi secondi fa, quindi direi che almeno per il momento sono in uno stato di shock».

«Madri e figlie» disse Annette, comprensiva. «Forse dovremmo organizzare un laboratorio sulle dinamiche di questo rapporto: sarebbe un’occasione per convincerti a tornare alla Fondazione».

«Un laboratorio sui rapporti tra madri e figlie mi convincerebbe piuttosto a fare il contrario» disse Kettle. «Non che abbia bisogno di incoraggiamenti particolari; credo proprio di aver chiuso, con lo sciamanesimo».

«Buon per te» disse Annette. «Personalmente, non credo che potrò chiudere finché non sarò totalmente connessa a quell’amore incondizionato che risiede in ogni anima del pianeta».

«Be’, per quanto mi riguarda, mi sono posta obiettivi molto piú semplici» disse Kettle. «Credo di essere già abbastanza sollevata all’idea di non dover piú agitare un sonaglio mentre gli occhi mi lacrimano per tutta quella maledetta legna che fuma».

Annette scoppiò in una tollerante risatina.

«So per certo che Seamus sarebbe molto contento di rivederti, ed è convinto che trarresti un beneficio particolare dal nostro laboratorio “Camminare con la Dea: la scoperta dell’eterno femminino”, al quale parteciperò anche io».

«Come sta Seamus? Immagino si sia già trasferito nell’edificio principale».

«Oh, sí, nella vecchia camera da letto di Eleanor, dalla quale veglia su tutti noi».

«La camera dove dormivano Patrick e Mary? Quella che affaccia sull’uliveto?».

«Già. Un magnifico panorama, non trovi? Intendiamoci, mi piace tantissimo anche la mia stanza, che dà sulla cappella».

«Quella è la mia stanza» disse Kettle. «Dormivo sempre lí, quando venivo a Saint-Nazaire».

«Non è curioso, il nostro attaccamento alle cose?» rise Annette. «E pensare che, in fondo, neppure il nostro corpo è veramente nostro: appartiene alla Terra, la Dea madre».

«Non ancora» ribatté Kettle, con tono deciso.

«Sai che ti dico?» disse Annette. «Se vieni al laboratorio sulla Madre Terra, puoi riavere la tua stanza. Non ho problemi a spostarmi altrove; sto bene dappertutto. E comunque, Seamus parla sempre di “passare dal paradigma della proprietà a quello della partecipazione”, e se i facilitatori della Fondazione non sono i primi a farlo, non vedo come possiamo pretendere che sia qualcun altro a dare il buon esempio».

L’obiettivo primario di Patrick era rientrare senza richiamare l’attenzione su di sé, perciò represse il desiderio di sottolineare come Seamus si fosse mosso nella direzione opposta, dalla partecipazione alle attività caritatevoli di Eleanor all’occupazione delle sue proprietà.

Kettle era palesemente confusa dall’offerta di Annette. Era difficile distoglierla dalla sua lealtà al proprio cattivo umore, ma d’altro canto non le era facile immaginare che cos’altro fare, a parte ringraziare Annette per la sua gentilezza.

«Insolitamente gentile da parte tua» rispose alla fine, altezzosa.

Patrick colse al volo l’occasione e rientrò di slancio, passando alle spalle di Kettle con tale decisione da spingerla contro la tazza di tè di Annette.

«E sta’ attento!» sbottò Kettle, prima ancora di poter constatare chi fosse stato a urtarla. «Ma Patrick!» esclamò, quando vide il colpevole.

«Accidenti, sei tutta sporca di tè!» disse Annette.

Patrick non si fermò neppure e lanciò uno “Scusa!” alle sue spalle mentre attraversava la sala a passo di carica. Uscí sul pianerottolo e, senza sapere dove stesse andando, proseguí giú per le scale, sfiorando il corrimano, come un uomo che sia stato chiamato all’improvviso per un problema urgente.