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Sunrise, Italia. Oggi

Il piano superiore della masseria era completamente al buio. Nessuna finestra illuminava il corridoio, perciò per proseguire dovevano fare affidamento sulla torcia elettrica che Dennis stringeva fra le mani.

Il fascio di luce stava illuminando la fila di porte chiuse. Erano andati in avanscoperta l’infermiere, la dottoressa, Claudio e Rosa, perché – a suo dire – sapeva dove il tuttofare nascondeva il cellulare.

Arrivarono alla porta di Klaus senza dirsi nulla. Tutti stringevano in mano un coltello da cucina e la scena, osservata dal di fuori, suscitava nella psichiatra una certa inquietudine. Difficile che dopo un’esperienza del genere quegli addicted non ricadessero nel loro vizio.

«È ridicolo» sussurrò. «Klaus è uno di noi... Non ci farebbe mai del male!»

L’infermiere bussò con forza. «Ehi! Ci sei?»

Dall’interno non arrivò alcuna risposta.

La dottoressa Stark s’impadronì della torcia mentre Claudio e Dennis si diedero un’occhiata d’intesa e spalancarono la porta con una spallata.

La stanza era vuota.

«Non è qui» sospirò Rebecca delusa.

«Forse è scappato dopo averli uccisi» suggerì Rosa spaventata.

«Meglio se scendiamo in salone con gli altri» ordinò la terapista.

Dennis fu il primo a uscire, invece l’avvocato si fermò a tastare in giro con le mani, sopra il comodino e sul piccolo scrittoio.

«Cerchi qualcosa?» lo interrogò la dottoressa illuminandogli la faccia.

«Non doveva esserci un cellulare?» replicò lui di rimando. «Siamo qui per quello, no?»

«Hai ragione!» lo incalzò Rosa e senza aggiungere altro s’impadronì della torcia per frugare nei cassetti.

«Spostati» gli ordinò e Claudio si fece da parte imbarazzato.

La psichiatra osservava le mani piccole e veloci della ragazza che spostavano carte, rotoli di banconote di diversi paesi e cianfrusaglie varie finché il tesoro non emerse da una scatola di metallo.

«Eccolo!» annunciò euforica Rosa mostrando lo smartphone.

Ci fu una specie di ovazione e Rebecca sorridendo disse: «Finalmente possiamo chiamare aiuto!».

La giovane svizzera però aveva già mutato atteggiamento e la delusione si era dipinta sul suo volto. «Merda, non funziona...»

«Come non funziona?» chiese Claudio. «Fammi vedere!»

«Guarda tu stesso! Non c’è segnale... Il temporale avrà fatto saltare il ripetitore. Siamo isolati!»

«Hanno ucciso due persone e noi siamo incastrati qui...» La voce della ragazzina era incrinata dalla tensione mentre registrava quel videomessaggio sul cellulare. «Non possiamo uscire perché siamo isolati. Manca la luce e le linee telefoniche sono fuori uso...»

«Ehi! Ma che fai? Spegni e risparmia la batteria!» la rimproverò la dottoressa Stark strappandole di mano lo smartphone.

Erano ritornati nel salone e tentavano di farsi coraggio cercando di capire dove si fosse nascosto Klaus, anche se la maggioranza credeva che fosse fuggito dopo aver commesso gli omicidi.

Claudio aveva acceso il fuoco nel camino. Due ciocchi di legno scoppiettavano e riscaldavano l’ambiente. Chi aveva ancora addosso dei vestiti bagnati ora si poteva asciugare.

Dennis intanto aveva recuperato i coltelli riponendoli ordinatamente nel cassetto delle posate.

«Posso tenere il cellulare?» piagnucolò la svizzera.

«Non se ne parla!» ringhiò Claudio. «Anzi, lo prendo io!» aggiunse, cercando di toglierlo alla psichiatra che però fu veloce a ritrarre la mano.

«No! Lo custodirà Rosa.»

«Ma è una follia!» protestò l’avvocato. «È come se mi sedessi al tavolo da poker senza poter puntare...»

«Io ce la farò!» intervenne la giovane intravedendo una speranza.

La dottoressa Stark squadrò entrambi alla luce tremolante delle candele. Le persone che aveva di fronte erano malate e lei aveva il preciso dovere di aiutarle a guarire nonostante la tragica situazione che stavano affrontando. Osservando gli occhi scuri della ragazza e le sue mani che si contorcevano capì che doveva concederle una chance. Aveva bisogno che la gente si fidasse di lei, perciò Rebecca sospirò e porse lo smartphone a Rosa sotto lo sguardo di disapprovazione di Claudio e degli altri addicted.

«Questo è un compito importante» le spiegò. «Custodiscilo e preserva la batteria. So che è una tentazione per te, ma sono convinta che sei in grado di resistere.»

«Grazie!» mormorò l’altra saltandole al collo e abbracciandola.

«Non deludermi!»

«Oh, io scommetto che invece deluderà tutti quanti» mugugnò Claudio e, una volta tanto, Lena e Julie gli diedero ragione.

Il pomeriggio divenne sera senza che la pioggia accennasse a smettere.

Gli addicted la trascorsero insieme, accucciati intorno al camino, stando attenti che la fiamma restasse sempre viva; ognuno perso nei propri pensieri; forse sentivano la nostalgia dei propri vizi.

Il giardino ormai sembrava una palude, così come l’orto. Anche il cortile con i suoi quattro ulivi centenari si era trasformato in una specie di pozza. Era tutta colpa delle mura che circondavano la masseria e impedivano all’acqua di defluire imprigionandola all’interno della conca naturale in cui sorgeva la Sunrise.

La salita che portava al cancello d’ingresso era un torrente in continuo movimento, una lunga e melmosa distesa di fango: avventurarsi là fuori sarebbe stato pericoloso per chiunque.

La corrente elettrica non era ancora tornata e nemmeno la linea telefonica era stata ripristinata.

La dottoressa Stark, nel tentativo di restituire un po’ di serenità al gruppo, aveva proposto di cenare. I pazienti avevano accolto l’idea con piacere anche perché nessuno aveva messo qualcosa sotto i denti dal mattino.

Il menu fu dei più semplici: verdure condite con olio d’oliva.

Rosa, mandando giù una fetta di pomodoro, riprese a fare la rabdomante con il cellulare: ci provava da tutta la sera. «Niente! Non c’è ancora campo e la batteria è quasi finita...»

«Se tu non lo accendessi ogni due minuti la risparmieresti...» l’aggredì Lena.

«Chissà quanto ci avrai già giocato!» intervenne Claudio. «È stata una follia affidarlo a lei!»

«Basta!» gridò Dennis. «Litigare non ci aiuterà!»

Rebecca si alzò in piedi e tutti si voltarono a guardarla. «Capisco la vostra agitazione» sospirò in tono conciliante. «E vi chiedo solo un ultimo sforzo. Domani si risolverà tutto, ne sono certa. Tornerà l’elettricità, smetterà di piovere e noi potremo andarcene da qui!»

«Andarcene?» domandò la tedesca.

«Non credo che la terapia posso proseguire dopo quanto è successo.»

«Direi proprio di no» convenne l’altra con un certo compiacimento.

L’infermiere annuì con tristezza e Julie sospirò.

«Ci avrei scommesso che non saremmo arrivati in fondo a questa storia» chiosò Claudio.

Lena sbuffò e finì le verdure che l’avvocato aveva nel piatto.

Jian allungò la mano sotto al tavolo e afferrò quella di Rosa che ricambiò la stretta.

«Bene» riprese la psichiatra. «Ora che ci siamo chiariti è meglio se ce ne andiamo a letto.»

«Veramente...» s’intromise Rosa preoccupata. «Io ho paura a restare da sola...»

In diversi concordarono.

«Ci avevo già pensato, infatti» continuò la psichiatra. «Organizzeremo due stanze collettive.» E così dicendo si avviò su per le scale con la torcia in mano.

Gli altri la seguirono a ruota cercando di non rimanere indietro.

Il corridoio era ora illuminato da diverse candele e gli addicted si stavano dando un gran daffare trasportando cuscini e lenzuola.

«Allora,» disse la terapista ad alta voce affinché tutti la sentissero «io dormirò con le ragazze. Lena, Julie e Rosa, venite da me, è più grande di là ma serve sicuramente un altro materasso. Dennis, tu, invece...»

«Lui dormirà con me e Jian, giusto?» la interruppe Claudio.

«Esatto.»

«Ci avrei scommesso.»

«Sei sicura?» chiese l’infermiere. «Non sarebbe meglio se uno di noi uomini stesse con voi?»

«Non ti preoccupare» lo tranquillizzò la dottoressa. «Noi ragazze sappiamo cavarcela, vero?»

«Vero!» confermò Lena, con un materasso sulle spalle recuperato da una camera vicina. «Klaus deve solo provare a entrare...»

«Lo sappiamo! Conosciamo i tuoi precedenti...» commentò l’assistente di Rebecca.

Lena fece un passo verso di lui che però uscì prontamente dalla stanza senza considerarla.

«Tu hai dei precedenti?» le domandò Claudio.

«Non mettermi alla prova, damerino.»

L’avvocato si ritirò in buon ordine senza aggiungere altro. Decisamente non avrebbe voluto trovarsi nei panni del bestione di fronte a quella iena tutta muscoli e testosterone.

Quando rimasero tra donne, Rosa iniziò a piangere in silenzio stringendo il cellulare spento al petto come se fosse un amuleto.

«Credete che tornerà per ucciderci?»

Lena si piegò su di lei e le accarezzò la testa con un gesto stranamente dolce. «Non preoccuparti, se mette piede qui dentro gli spezzo un braccio a quel cavernicolo.»

Julie, intanto, aveva lo sguardo perso fuori dalla finestra. La notte era scesa e la pioggia cadeva sempre a dirotto. «Chissà dove si nasconde...»

«Per me, se n’è andato.»

«Spero tu abbia ragione, Lena. Guardando questo diluvio mi vengono i brividi...»

La tedesca le si avvicinò e la strinse da dietro.

«Non preoccuparti, ci sono io a proteggervi...»

L’altra sorrise timidamente e si divincolò dall’abbraccio.

Lena, capita l’antifona, scosse la testa contrariata e si piegò sul pavimento per fare delle flessioni.

«Non dovresti, lo sai?» intervenne la dottoressa Stark, che aveva assistito in silenzio alla scena.

«Sono nervosa, ok? E quando sto così mi alleno per scaricare la tensione. Che problema c’è? Tanto domani ce ne andiamo tutti da qui.»

La psichiatra si sedette sul letto e prese un respiro prima di dire: «Lo so che è dura. Questa prova che stiamo affrontando sconvolge anche me. Ora però siamo al sicuro, basta che restiamo unite. Cerchiamo di dormire. Sono certa che qualcuno verrà in nostro soccorso. Lena, per favore, non ti serve».

D’accordo smetto. Comunque io dormo per terra.»

La stanza era caldissima. Sia Dennis che Claudio si erano tolti le T-shirt e ora stavano sdraiati a torso nudo in silenzio, sui rispettivi materassi.

«Sarebbe saggio fare dei turni di guardia» suggerì l’infermiere.

«Hai così paura che quell’australopiteco venga ad ammazzarci mentre dormiamo?»

«Dicevo solo che sarebbe più prudente...»

«Siamo in tre. Non ce la farebbe mai a batterci...»

«Mi preoccupo per le ragazze.»

«Oh, ma che buon cuore!»

«Piantala, stronzo!»

«Comunque sono proprio qui accanto, se succede qualcosa lo sentiremo e interverremo. Senza contare che hanno “Lena la iena” con loro.»

«Forse hai ragione...»

Claudio si appoggiò su un gomito e si voltò verso l’assistente. «Da quanto tempo Klaus lavora per voi?»

«In realtà da poco. Ci è stato raccomandato da una persona fidatissima...»

«Il russo padrone della baracca?»

«Esatto.»

L’avvocato annuì, poi si alzò in piedi e spalancò la finestra. La pioggia bagnò lui e il pavimento.

«Ma sei impazzito!» gridò l’infermiere affrettandosi a chiudere le imposte.

«No, ho solo caldo! Qui si soffoca! Perché abbiamo scelto camera mia?»

«Da me c’è troppo casino... Che fine ha fatto Jian?»

Claudio sospirò, poi si avvicinò alla porta del bagno e bussò con vigore.

«Ehi, Jian! Che cazzo stai facendo?»

«Ho quasi finito...» ansimò il ragazzo. «Adesso esco...»

«Sì, ma prima lavati le mani e pulisci tutto!»

Dennis scoppiò a ridere. «Scommetto che ora hai capito perché siamo nella tua stanza...»

«Fanculo!» ringhiò Claudio. «Io scommetto solo quando sono sicuro di vincere.»

«Come no! E io sono madre Teresa di Calcutta.»