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Sunrise, Italia. Oggi

Rebecca non se l’era immaginato così il sesto giorno alla Sunrise. Secondo i suoi piani, qualcuno avrebbe già dovuto mostrare dei sensibili progressi. Invece erano stati catapultati tutti in quella situazione terribile che avrebbe spinto gli addicted a ricadere nel vizio.

La psichiatra si affacciò alla finestra: dove prima c’erano il giardino e l’orto ora si stendeva una specie di acquitrino ininterrotto, e la salita che conduceva all’ingresso della proprietà era sempre più simile a una colata di fango.

La cosa che la preoccupava maggiormente, tuttavia, era il livello raggiunto dall’acqua che, ormai, era arrivata a lambire il settimo degli otto gradini davanti alla porta principale. Ancora una quindicina di centimetri e sarebbe entrata in casa. A quel punto cosa avrebbero fatto? Si sarebbero rifugiati al piano superiore in attesa dei soccorsi?

Scosse la testa e scacciò quel pensiero. “No,” si disse “smetterà di piovere e tutto ritornerà alla normalità.”

La notte era trascorsa tranquilla anche se nessuno aveva praticamente chiuso occhio. A ogni rumore, a ogni sospiro, balzavano sull’attenti convinti che Klaus fosse tornato per completare l’opera. Era stato un tormento arrivare all’alba con il diluvio che continuava imperterrito e l’elettricità ancora fuori uso.

Si erano svegliati più o meno insieme e dato che le stanze erano parzialmente illuminate dalla luce del giorno, la dottoressa Stark aveva decretato un rompete le righe generale in modo che tutti potessero ritrovare un po’ di intimità nei rispettivi bagni. Dopo una notte come quella, era necessario che ciascuno di loro godesse di un po’ di privacy, oltre che di una doccia.

«Fate in fretta, però» si era raccomandata. «Mezz’ora e vi aspetto giù per la colazione.»

Lei si era rinfrescata ed era scesa con tre minuti d’anticipo. Il fuoco nel camino era spento e seduti al tavolo della sala da pranzo, con lo sguardo perso nel vuoto, c’erano già Rosa, Lena e Claudio.

«Non smette» osservò la ragazzina.

«“Non può piovere per sempre.”»

«Risparmiaci le citazioni dotte, Claudio!» lo redarguì Lena.

«Non le chiamerei dotte, semmai classiche, come lo è Il Corvo

«La corrente è tornata?» chiese la psichiatra.

«No» rispose Rosa. Poi mostrando il cellulare aggiunse: «E nemmeno i ripetitori sono stati riparati».

La dottoressa sospirò. Dennis comparve dalla cucina portando altre candele. «Non ne rimangono molte di scorta...»

«Altre buone notizie?»

«Il gas funziona» rispose l’avvocato che grazie a dei fiammiferi aveva messo la grossa moka a bollire sul fuoco. «Almeno il caffè caldo non ci mancherà.»

Jian arrivò di corsa, sconvolto e ansimante, e gli urtò il braccio facendogli cadere la tazzina che aveva in mano.

«Ma che ti prende! Attento!»

«Dal pannello manca un altro biglietto!» articolò con fatica l’asiatico senza badare a quello che aveva combinato.

«Sarà quello che hai staccato tu ieri sera quando volevi fuggire ma ti sei arreso...» lo canzonò Dennis.

«No! Questo è il mio» ribatté lui facendo vedere quello che stringeva. «Lo stavo riportando a posto e mi sono accorto che ne mancava un altro!»

Tutti scattarono in piedi e corsero davanti alla bacheca.

«Merda! Ci sono solo tre biglietti» constatò Claudio.

Rosa scoppiò a piangere. «L’assassino gioca con noi! Perché l’ha tolto?» Un brivido freddo corse lungo la schiena della ragazza e Lena fu veloce ad abbracciarla e ad attirarla a sé per confortarla.

La psichiatra cercò di mantenere il sangue freddo perché la situazione non degenerasse, anche se era preda di un dubbio atroce. «Chi manca all’appello?» domandò con voce tremante.

«Oh merda!» sospirò Dennis.

«Julie! Dov’è Julie?» chiese Jian.

«Andiamo nella sua stanza» ordinò Rebecca. Gli altri annuirono e si avviarono in fila indiana dietro di lei.

Decisamente quel sesto giorno se lo era immaginato molto diverso.

“Nessuno ha pensato a prendere i coltelli.”

Quel pensiero attraversò la mente della dottoressa appena giunta davanti alla stanza della ninfomane.

“Sono già assuefatti” si disse. “Al rischio, all’adrenalina, alla tensione. L’animo umano è così. Anche nelle situazioni peggiori si adatta e prevale l’istinto di sopravvivenza. Altrimenti nessuno sarebbe uscito vivo dai lager nazisti. Si impara a tenere duro, anche con incoscienza e sprezzo del pericolo.”

Senza armi di difesa, però, aveva l’impressione che fossero agnelli diretti alla tana del lupo, proprio come lo erano le vittime di Richard Benjamin Speck, il serial killer americano che aveva rapito, stuprato e ucciso con il suo coltello otto allieve infermiere del South Chicago Community Hospital il 14 luglio 1966.

Quel caso era stato uno dei primi che Rebecca aveva studiato sui testi di psichiatria.

La furia criminale di Speck era durata appena due giorni, il 13 e il 14 di quel mese, e lui era stato arrestato il 17 grazie alla testimonianza di una nona vittima, che si era nascosta ed era riuscita a scampare al massacro. La ragazza aveva fornito agli inquirenti una descrizione dettagliata dell’assassino riferendo che aveva tatuata su un braccio la scritta BORN TO RAISE HELL. Quel particolare era risultato decisivo per catturarlo.

La dottoressa Stark aveva imparato allora che l’uso del coltello e, più in generale, delle armi da taglio, ha un significato psicologico preciso, di sostituzione o rafforzamento della funzione del membro maschile. Non è raro, infatti, che i serial killer affezionati a questo genere di armi siano completamente impotenti: la lama diviene un surrogato dell’organo sessuale per la penetrazione del corpo. Per questo diversi assassini seriali concentrano le pugnalate sui seni della donna o nella regione vaginale, vogliono distruggere così i simboli della femminilità che tanto li spaventano.

Dennis toccò il braccio della terapista distogliendola dai suoi pensieri.

«Ci siamo. Sei pronta?»

Lei annuì e l’uomo spalancò l’uscio con un calcio.

Lena si precipitò all’interno come una furia seguita dall’infermiere, entrambi determinati a saltare addosso a Klaus. Ma non ce ne fu bisogno.

Rosa urlò coprendosi gli occhi, Jian scoppiò a piangere e Claudio non riuscì a proporre nessuna delle sue scommesse sopra le righe perché la scena che avevano davanti era raccapricciante: il cadavere di Julie giaceva nudo sul letto con la bocca aperta e la lingua che penzolava di fuori. Sul viso aveva un’espressione così orribile che perfino la psichiatra sentì la necessità di distogliere lo sguardo e di appoggiarsi alla parete per riprendere fiato.

«L’hanno strangolata» sussurrò Dennis.

«Klaus ha colpito ancora...» commentò amara la tedesca guardandosi intorno come una fiera in gabbia.

«Deve essere nascosto da qualche parte dentro la clinica...» suggerì l’avvocato preoccupato.

«Oh mio Dio!» Rosa iniziò a tremare e la dottoressa la strinse a sé per tranquillizzarla.

«Se solo le telecamere fossero ancora in funzione...» sospirò guardando verso la finestra rigata di pioggia.

L’infermiere si avvicinò al cadavere. Tastò il polso, poi scosse la testa lentamente.

«Ma non aveva dormito con voi?» chiese Jian rivolto alle donne.

«Certo,» confermò la ragazzina «ma poi noi siamo scese a fare colazione e... Oh mio Dio!»

Si coprì la bocca prima di lasciarsi andare alle lacrime.

Il giovane asiatico cercò di consolarla ma lei era sconvolta e scappò giù per le scale.

«Devo andarmene da qui!» urlò. «O finirete per uccidermi!»

Lena e Jian si lanciarono al suo inseguimento e giunti alla porta d’ingresso, dopo un attimo di esitazione, si fecero investire dalla pioggia che cadeva ancora senza sosta. Subito s’infradiciarono da capo a piedi. Rosa intanto cercava di correre ma in quell’acquitrino, che le arrivava praticamente alla vita, era impossibile. I suoi piedi affondavano e anche solo avanzare di qualche metro risultava un’impresa titanica. Stringendo i denti l’inarrestabile Lena tentava di afferrarla.

Gli altri addicted si erano affacciati alla finestra della stanza di Rebecca, per assistere alla scena.

«Tornate indietro» urlava la dottoressa.

Quello che una volta era il sentiero che attraversava l’orto e portava all’agrumeto ormai era solo un canale di scolo pieno d’acqua torbida da cui spuntavano i rami spezzati degli alberi del frutteto. E la salita verso il cancello era in pratica franata, rendendo impossibile la fuga.

«Non riusciremo mai ad arrivare all’uscita» ansimò Jian.

Rosa piangeva di paura e di disperazione. Si fermò e gli altri due la raggiunsero. I tre si presero per mano e tentarono di avanzare ancora, a ritmo, facendosi coraggio a vicenda.

Non erano nemmeno arrivati a metà via quando Jian sospirò: «Non ce la faremo mai...».

«Hai ragione» confermò Lena a denti stretti. «Rientriamo! Finché non smette di piovere è inutile.»

Rosa tentò qualche altro passo ma era sfinita. «D’accordo» si arrese, lasciandosi trascinare indietro.

Un lampo li illuminò e un tuono echeggiò feroce sopra le loro teste.

La ragazza, sempre più spaventata, scattò per raggiungere in fretta la casa ma perse l’equilibrio e finì sott’acqua.

Lena si tuffò per recuperarla ma il corpo che riportò a galla non aveva affatto le sembianze della giovane svizzera.

Era Klaus, ed era morto.

«È stato ammazzato anche il tuttofare!»

La tedesca lo annunciò mentre deponeva Rosa sul pavimento dopo averla trasportata di peso dentro casa. Lei era sporca di fango dalla testa ai piedi e singhiozzava.

Jian non era messo meglio: fradicio e sfinito, era sotto shock e del tutto incapace di parlare dopo aver visto il cadavere di Klaus, gonfio, con gli occhi fuori dalle orbite e la gola tagliata.

Un conato di vomito lo costrinse a precipitarsi di nuovo fuori per rimettere.

Dennis li osservava senza riuscire a dire nulla. Aveva portato degli asciugamani che distribuì ai tre, bagnati come pulcini, poi si prodigò per riaccendere il fuoco nel camino.

«Questo posto si è trasformato in una clinica degli orrori» sibilò Claudio e nessuno lo contraddisse.

Rosa si liberò dalla stretta di Lena lasciandosi andare a una crisi isterica: urlava, piangeva, pestava i piedi per terra.

La dottoressa Stark la prese per mano e la trascinò nel suo studio. Da un cassetto recuperò qualche pillola.

«Ti calmeranno» le spiegò passandogliele.

La ragazzina le mandò giù tra le lacrime mentre la psichiatra avvertì un groppo alla gola. Con quel gesto aveva definitivamente rinnegato il suo metodo. “Se inizi a sedare i pazienti è la fine; dopo non si fideranno più” pensò scuotendo la testa. “Ma ormai la terapia è andata a farsi benedire. Tanto vale imbottirli di farmaci per aiutarli a stare tranquilli.”

«Va meglio?» chiese. «Vedrai, faranno effetto presto. Ora scendiamo dagli altri.»

Quando tornarono in cucina l’avvocato stava preparando dell’altro caffè mentre Jian, Lena e Dennis si erano disposti attorno al fuoco, in silenzio.

«Allora» disse serio Claudio prendendo posto su una delle poltrone. «Se è morto anche Klaus, significa che l’assassino è uno di noi. Perciò da questo momento in avanti nessuno deve rimanere da solo. Per nessun motivo.»

«Ehi! Frena la lingua!» lo interruppe Lena. «Chi ha deciso che sei tu a comandare e a condurre l’indagine?»

«Sono un penalista e ho difeso degli assassini in aula. Ho familiarità con i metodi investigativi della polizia. E comunque sono il più adatto...»

«Abbiamo il nostro Sherlock Holmes...» sospirò Jian che stava riprendendo un po’ di colore.

Rosa si mosse all’improvviso e assalì Claudio come una furia, puntandogli il dito contro. «Sei stato tu a uccidere Julie!»

«Che cazzo dici?» gridò lui. «Sei impazzita?»

«L’hai ammazzata tu! Ti ho visto!»

Lena e Dennis si avvicinarono pronti a intervenire.

«Cosa hai visto?» chiese la dottoressa Stark.

«Stamattina mentre stavo scendendo a fare colazione lui è sgattaiolato nella stanza di Julie!» spiegò Rosa fra le lacrime. «Non gli ho dato troppa importanza sul momento perché pensavo che lei fosse già qui insieme agli altri e invece...»

«Sì, sono stato da lei ma non l’ho uccisa!» si difese l’avvocato attorniato.

«Cosa ci sei andato a fare allora?» gli domandò l’infermiere.

All’uomo scappò un mezzo sorriso. «Davvero non lo immaginate?»

«No, genio» ringhiò l’altro.

«E va bene... Julie mi lanciava messaggi da un po’... E poi avete visto com’era nervosa? Dovevo aiutarla a calmarsi... Così abbiamo fatto la doccia insieme. Io ho insaponato lei e lei... Insomma avete capito... Quando sono uscito, però, era ancora viva! Ve lo posso giurare!»

«L’hai assassinata tu, bastardo» lo aggredì Lena afferrandolo per un braccio.

Claudio si divincolò e indietreggiò. «Calmati Nikita! Vi ripeto: stava bene! Abbiamo deciso di non scendere insieme solo per non destare sospetti!»

«E invece è proprio di te che sospettiamo!» urlò Rosa.

«Ah sì? Perché non parliamo invece dei nostri padroni di casa?»

«Cosa vorresti dire?» domandò Rebecca stupita.

«Vuole dire» intervenne Lena, intuendo dove volesse andare a parare l’altro «che gli unici che mancavano stamattina a colazione eravate tu e Dennis.»

«Io?» s’indignò l’infermiere. «Ma se sono sempre stato con voi! Mi sono allontanato giusto per andare a prendere altre candele... E poi anche Jian non c’era: è stato lui a scoprire che mancava un biglietto! Magari prima aveva ammazzato Julie...»

«Ma sei scemo?» protestò il ragazzo.

«Con che coraggio osi accusarci, Lena!» sbottò la psichiatra trascinata in quel gioco al massacro. «Sei un’ingrata! Come puoi pensarlo? Questa clinica è la nostra vita, il nostro sogno!»

«Già» gli diede manforte Dennis. «Potresti essere stata tu a uccidere tutti quanti? Con quel fisico da maschiaccio e con i tuoi precedenti penali...»

«Cosa?» biascicò Rosa, sulla quale iniziavano a fare effetto i calmanti. «Quali precedenti?»

«La nostra lesbica, qui, è stata in galera.»

Lena saltò addosso all’infermiere ma Claudio li divise immediatamente.

«Smettetela!» ordinò la dottoressa. «La sua non è stata un’infanzia facile. Non giudicatela! Nessuno deve permettersi di criticare gli altri per quello che hanno fatto prima di finire alla Sunrise.»

Per un attimo tutti si zittirono, ma ormai il dubbio si era insinuato nei loro animi.

«Perché sei finita dentro?» chiese Claudio.

«Perché ho menato uno stronzo come te» ringhiò la tedesca.

La terapista sapeva che le reazioni violente della donna erano solo una maschera per superare a muso duro le prove che la vita le aveva messo di fronte. «Piantatela!» insistette. «Litigare non risolverà il problema.»

«Il problema che uno di noi è un assassino, intendi?» azzardò l’avvocato guardando storto gli altri.

«Se pensate che sia io, siete completamente fuori strada...» sbottò la barista di Stoccarda.

«Davvero?» intervenne Jian. «Allora non ti dispiacerà se facciamo un sopralluogo in camera tua.»

«E perché mai dovreste?»

«Perché non ci fidiamo di te!» replicò Rosa.

I due accusatori poi si voltarono contemporaneamente verso la Stark. Era lei che comandava, doveva decidere lei.

Anche Lena la osservava. Nella sala era sceso il silenzio.

«D’accordo» sospirò Rebecca. «Però controlleremo le stanze di tutti. Tanto non avete niente da nascondere, no?»

Nessuno protestò.

«Bene allora: Dennis e Jian andate a dare un’occhiata.»

Lena scattò per fermarli ma Claudio la bloccò.

«Lasciali andare. Se non troveranno nulla sarai scagionata. Di cosa hai paura?»

«Di niente, però non mi piace che frughino fra le mie cose.»

«Scommetto che hai roba bondage, vero? Un dildo nero sotto al cuscino...»

Lei lo spinse via disgustata e corse svelta su per le scale. Claudio, Rosa e la psichiatra la inseguirono.

Arrivati in corridoio li accolse Jian con l’espressione di chi aveva vinto la lotteria di Capodanno.

«Venite a vedere» li esortò.

All’interno della camera di Lena, Dennis li attendeva con tre biglietti dell’autobus in mano. «Questi come li spieghi, principessa?»

«Non li ho presi io! Qualcuno li avrà nascosti qui dentro!» ribatté lei.

«Erano in quel cassetto!» spiegò Jian. «Voleva farci credere che Jessica, Tim e Julie se ne fossero andati...»

«Non lo so come ci siano finiti, io non...»

«Sapevo che il tuo passato violento poteva essere un problema,» sospirò la dottoressa Stark scoraggiata «ma non credevo...»

«Cosa non credevi?»

Dennis e Claudio l’afferrarono per le spalle ma la donna si divincolò e con una gomitata stese l’avvocato.

L’infermiere invece, dopo aver schivato un colpo, la strinse saldamente per il collo. Lei scalciava e si dimenava cercando di liberarsi.

Rebecca recuperò da una tasca delle fascette da elettricista e con l’aiuto di Jian e Dennis immobilizzò la tedesca legandola alla sedia della stanza.

“Da dove spuntano quelle?” chiese Claudio rimettendosi in piedi a fatica.

«Le ho sempre avute con me, per le emergenze» replicò asciutta la psichiatra. «A volte voi addicted diventate parecchio irragionevoli, sai? E queste sono le mie armi segrete.»

Rosa si avvicinò a Lena e le disse: «Ieri sera Julie ti ha respinta e tu l’hai ammazzata!».

«Ti strapperò gli occhi!»

«Guardatela!» osservò l’asiatico. «Non sa controllare la rabbia.»

«Basta così!» ordinò la psichiatra. «Ora andate. La terremo chiusa qui finché non tornerà la corrente.»

Gli altri lasciarono la stanza e scesero a piano terra.

Rebecca li seguì, ma un paio di minuti dopo tornò con una siringa in mano.

«Stai lontana da me, puttana!» le urlò Lena.

Lei non si scompose, anzi, sorrise affabile mentre le infilava l’ago nel braccio. «Tutto si aggiusterà, ne sono certa! Questa serve solo a farti stare tranquilla.»

«Stronza! Questo posto è un cimitero ormai! Moriremo tutti e diventerà la nostra tomba!»