17

Sunrise, Italia. Oggi

La pioggia non si era placata un momento e sebbene fosse giorno, la stanza era piuttosto buia.

La dottoressa Stark osservava dalla finestra del suo studio i tre cadaveri che affioravano sulla superficie dell’acquitrino. L’ossessione di Ivanov per la privacy aveva finito per trasformare quel luogo in una trappola per topi: un’isola di pietra in mezzo a un lago artificiale. E l’acqua continuava a salire.

L’orrore era entrato alla Sunrise e loro lo stavano affrontando, cercando di resistere come potevano. Dopo aver sedato Lena, Rebecca aveva detto a tutti di provare a riposare un po’ prima del pranzo.

«Siete liberi di tornare nelle vostre camere, se volete. Ormai non c’è più pericolo.»

Rosa si era stretta a Jian su uno dei divani del salone. Il calmante aveva fatto effetto e lei si sentiva le palpebre pesanti. «Noi restiamo qui, insieme.»

«Come vi pare» disse Dennis allontanandosi.

«Anch’io vado a dormire» annunciò Claudio. «E farò attenzione all’uomo nero.»

La dottoressa aveva scosso la testa. «Sarò nel mio studio se avete bisogno.»

Era quasi mezzogiorno quando ridiscese. I due pazienti più giovani non si erano mossi. Erano sdraiati vicini e si stringevano a vicenda. La ragazza aveva gli occhi gonfi come se avesse pianto.

«Come state?»

«Ho paura» sussurrò Rosa.

«Non devi. Lena è legata e sedata. Non ucciderà più nessuno...»

«È vero che è stata in prigione?» chiese Jian mettendosi a sedere.

«Sì. Ha avuto un’infanzia difficile. Lei e suo fratello Gerhard sono rimasti orfani quando erano molto piccoli. Una storia triste. Crescendo ha fatto di tutto per proteggerlo e, a volte, si è messa nei guai...»

Dalle scale spuntò Dennis con delle nuove candele e la psichiatra si interruppe.

«Ti aiuto» disse andandogli incontro.

Lui le sorrise. «Tutto bene?»

Rebecca scosse la testa.

«Vedrai, si sistemerà tutto!»

«È un disastro!» ribatté lei a voce bassa per non farsi sentire dai due ragazzi. «La Sunrise è spacciata e abbiamo un’assassina sotto chiave.»

L’infermiere l’abbracciò.

Rosa intanto si era alzata in piedi e si era messa ad armeggiare con il cellulare di Klaus.

«È tornata la linea?» le chiese Jian.

«No, siamo ancora isolati e la batteria è quasi andata.»

«Tienilo spento» la rimproverò la terapista. «E adesso mangiamo, almeno servirà a distrarci.»

«Dov’è Claudio?» domandò la ragazzina mentre apparecchiava.

«Non era di sopra con te, Dennis?»

«Siamo saliti insieme, poi ci siamo separati. Io ho sonnecchiato un po’ e dopo ho riacceso alcune candele che si erano spente.»

Tutti si scambiarono un’occhiata preoccupata.

«Ci risiamo» commentò amaro il giovane di Hong Kong.

«Andiamo a controllare nella sua stanza!» disse la dottoressa.

Ormai sembravano soldati che si muovevano all’unisono agli ordini di un generale. Lei, però, non si sentiva per niente un condottiero. In quel momento era spaesata, persa, in preda all’ansia. E aveva in mente solo il quadro di Munch, L’urlo. Era la rappresentazione plastica dello stato d’animo che l’affliggeva mentre saliva incerta le scale. Cercava di non darlo a vedere ma respirava a fatica, il cuore le batteva all’impazzata e aveva la sensazione che qualcuno fosse seduto sul suo petto. Provava un’angoscia feroce che non riusciva a tenere a bada. Sospirò per scacciare un presentimento funesto e si fece coraggio perché intanto erano giunti davanti alla porta di Claudio.

Dennis bussò. «Avvocato, ci sei?»

Dall’interno non provenne alcuna risposta.

L’infermiere girò la maniglia ed entrò. «Qui non c’è...»

«Oh no, guardate lì!» mugolò Rosa indicando un punto sul pavimento.

Gli occhi di tutti si focalizzarono su una piccola pozza.

«È sangue...» commentò la psichiatra irrigidendosi.

La ragazzina si portò le mani alla bocca e poi abbracciò forte Jian che la trascinò fuori dalla stanza.

«Dove sarà finito?» chiese l’assistente.

«Ho paura a ipotizzarlo» sussurrò Rebecca.

«Che fai, Jian?» domandò Rosa incredula.

«Ti salvo la vita» rispose lui puntando uno dei coltelli da cucina contro gli altri due.

«Mettilo giù» ordinò la dottoressa Stark in tono deciso.

«No! Siete voi gli assassini! Avete fatto sparire voi Claudio! Non c’è altra spiegazione!»

«Non essere stupido! Che vantaggio ne trarremmo? Questa situazione orribile ci danneggia e basta! Perché dovremmo...»

«Non lo so perché! Forse perché siete pazzi!»

«Oppure...» suggerì Dennis, avvicinandosi a lui di un passo.

«Rimani dove sei!» ordinò Jian alzando la lama.

«Oppure?» domandò la ragazzina titubante.

«Semplice! È Claudio il responsabile» spiegò l’uomo. «Pensateci un attimo: se la macchia di sangue fosse solo una messa in scena per sviarci? Magari adesso è nascosto da qualche parte, al buio, pronto a colpire e a ucciderci tutti.»

«Balle! Cerchi solo di distrarmi per poi ammazzare anche me!»

«Ne sei così sicuro da scommetterci la vita?» lo sfidò l’infermiere fissandolo negli occhi.

«Calmiamoci adesso» intervenne Rebecca con tono materno. «Siamo tutti molto scossi ma dobbiamo restare uniti.»

Jian sospirò e abbassò l’arma. Rosa gli si gettò al collo singhiozzando. Il giovane, però, non intendeva rimanere lì. Si era già avviato lungo il corridoio verso un’altra stanza.

«Dove vai?» gli chiese la psichiatra.

«A slegare Lena» spiegò lui. «Adesso almeno siamo sicuri che non è lei l’assassina, visto che era legata quando hanno ferito, o forse ucciso, Claudio.»

Ma Dennis con uno scatto felino gli si parò davanti. «Tu non vai da nessuna parte da solo. Non siamo sicuri di niente. Magari sei tu il pazzo che uccide le persone!»

«Basta!» urlò la dottoressa. «Controlleremo tutti insieme.

Forse Lena si è liberata e...»

«E ha assassinato l’avvocato» concluse Rosa. Erano immobili davanti alla porta.

«Avanti» ordinò la psichiatra. «Aprila!»

L’infermiere la spalancò e tutti rimasero senza fiato.

Rebecca non poteva credere ai propri occhi. Eppure sapeva bene che la negazione è uno dei principali meccanismi di difesa della mente umana quando si rifiuta di accettare la realtà. È il caso delle persone che, di fronte all’ipotesi di essere malate, rifiutano screening ed esami medici per non rischiare di ricevere una brutta notizia. Se una cosa non la vedi, non esiste.

La dottoressa conosceva bene quella strategia: i suoi pazienti ne facevano un uso costante. Tutti gli addicted negano l’evidenza.

Alla fine sollevò lo sguardo e avanzò all’interno della stanza. Anche per lei era arrivato il momento di confrontarsi con la verità.

Lena era stata ammazzata. Aveva gli occhi spalancati e la gola tagliata. Non era riuscita neppure a urlare, perché era legata e sedata. Probabilmente l’assassino le aveva tenuto la mano sulla bocca mentre le conficcava la lama nella carotide.

Il sangue era ovunque. Sui muri, i mobili, il pavimento. Uno spettacolo raccapricciante.

Rosa si sentì mancare.

«Non ci credo» sospirò Jian.

La psichiatra era in preda ai sensi di colpa. Tremava. «È morta per colpa mia... Non ha potuto fare niente per difendersi...»

Nessuno riusciva a consolarla.

Dennis era sempre più inquieto. «Sei stata tu a far sparire l’avvocato?» le sussurrò in un orecchio.

«Ma sei pazzo? Cosa ti viene in mente?»

«Ho visto come vi guardavate...»

«Ah sì?» ribatté lei. «Allora magari sei stato tu a ucciderlo perché eri geloso... Dimmelo!»

L’infermiere stava per rispondere quando udirono un cigolio metallico. «Avete sentito?» chiese. «Viene dal piano di sotto.»

Rebecca annuì spaventata, mentre Jian e Rosa si strinsero forte.

Poi i tre seguirono Dennis che si era precipitato giù dalle scale.

Jian sfilò il coltello di tasca e lo impugnò pronto a qualsiasi evenienza.

La terapista camminava ormai quasi in uno stato di trance, scendendo i gradini due alla volta.

Attraversarono il salone e si diressero verso la porta di metallo che conduceva alla cantina e al locale caldaia.

La trovarono aperta e Claudio era lì, in piedi, con la testa sanguinante, un grande taglio sulla fronte e il volto ricoperto di sangue come un vampiro.

«Ecco l’assassino!» urlò Dennis preparandosi alla lotta.

L’avvocato si teneva una mano sulla ferita e sembrava confuso, come se non sapesse esattamente dove si trovasse.

«Allora sei vivo!» gridò Jian sollevato.

«Lui sì» ringhiò l’infermiere. «Peccato che Lena e Julie non possano dire altrettanto: le hai ammazzate tu, vero?»

«Cosa? Anche Lena è morta?» biascicò Claudio.

La dottoressa Stark lo osservò con attenzione per capire se fosse sincero.

Poteva aver rimosso tutto? È una reazione che conoscono anche i non addetti ai lavori. Succede quando una persona decide inconsciamente di dimenticare degli eventi spiacevoli, come capita al personaggio di Jason Bourne, o a Wolverine degli X-Men.

Anche lei avrebbe voluto tirare una riga sopra tanti momenti della sua vita e scordarli per sempre, ma non era in grado.

E Claudio? La sua mente era forse riuscita a cancellare gli omicidi commessi per evitare di entrare in conflitto con se stessa?

Doveva valutare meglio la situazione, ma non ne ebbe il tempo: gli altri addicted avevano già emesso la loro sentenza.

«Dennis ha ragione!» lo aggredì Rosa. «Hai strangolato Julie dopo esserci andato a letto e hai sgozzato Lena mentre era legata.»

«Ma come vi viene in mente!»

Jian gli puntava il coltello contro e l’infermiere aveva alzato i pugni pronto a colpirlo.

«Perché sei sparito, allora?» gli domandò la psichiatra.

«Per mettermi in salvo!» ribatté lui. «Qualcuno è entrato nella mia stanza e mi ha dato una botta in testa!»

«Chi?»

«Non lo so!» si disperò. «Stavo riposando, era buio e non sono riuscito a vederlo in faccia. Ho solo pensato a fuggire...»

«Cosa c’è dietro quella porta?» lo incalzò Rosa cercando di sbirciare alle sue spalle.

«Un dedalo di stanze polverose. La caldaia e delle vecchie cantine...»

«Era chiusa, prima» osservò Dennis. «Come hai fatto a entrare?»

«Già, nessuno di noi ha le chiavi...» osservò la terapista.

«Klaus le aveva» replicò l’avvocato con un filo di voce e così dicendo estrasse un portachiavi a forma di teschio per mostrarlo agli altri. «Le ho trovate nella sua stanza quando l’abbiamo perquisita e le ho prese in prestito; tanto a lui non servivano più...»

L’infermiere non gli permise di terminare la frase e gli saltò al collo pronto a immobilizzarlo.

Il mazzo di chiavi cadde a terra mentre i due uomini lottavano furiosamente.

Jian agì d’istinto, raccolse il mazzo e afferrò Rosa per una mano.

«Che fai?» chiese lei sgranando gli occhi.

«Ti salvo» replicò il giovane rifilando un poderoso spintone alla dottoressa che cadde a terra accanto ai due uomini.

Quando la donna riuscì a rialzarsi, la porta di metallo era già sbarrata, e da dentro stavano chiudendo la serratura con diverse mandate.

Claudio e Dennis smisero di azzuffarsi.

«Cosa succede?» chiese l’assistente sollevando la testa.

«Si sono barricati dentro» sospirò Rebecca.

«E quindi ora?»

«Prima di tutto smettetela di comportarvi come ragazzini. Forse è stato Jian a lasciarsi alle spalle tutti quei cadaveri.»

«Il mio indiziato resta questo stronzo» grugnì Dennis.

«Pensaci» riprese la dottoressa. «Ha trovato lui tutti i cadaveri, ha un coltello in tasca, e adesso si è chiuso là sotto con la più debole del gruppo...»

«Merda!» imprecò l’avvocato tamponandosi la ferita alla testa con un fazzoletto. «Allora sarà Rosa la sua prossima vittima!»

Il luogo in cui si trovavano era avvolto nel buio più completo. I due avanzavano a tentoni, stringendosi l’un l’altra per non perdersi nelle tenebre. Camminarono a caso deviando quando si trovavano davanti a un muro, senza una meta precisa.

«Non si vede nulla» sospirò lei.

«Sì, ma almeno qui siamo al sicuro. Nessuno può entrare senza le chiavi.»

«E se fossi tu l’assassino?»

Jian si immobilizzò.

«Scherzi, spero. Ti ho protetto finora! Semmai dovrei essere io a preoccuparmi...»

«Tu? E perché mai?»

«Be’, forse perché nessuno viene rinchiuso in una clinica perché passa troppo tempo su internet! Magari ti piace uccidere la gente.»

Jian sentì Rosa singhiozzare nell’oscurità.

«Scusa, non volevo...»

«Invece volevi, eccome!»

«Aspetta, ma dove siamo?»

La ragazzina accese il cellulare. Anche se era praticamente scarico riuscì a rischiarare l’ambiente in cui si trovavano.

«Oh no!»

«Merda» sospirò il web designer. «Siamo finiti nel corridoio delle cellette. I sotterranei devono essere tutti collegati.»

«Potrebbero arrivare a noi, allora.»

«Sempre che lo scoprano» osservò Jian. «Vieni, mettiamoci qui.»

Abbracciò Rosa e insieme entrarono in uno dei box accovacciandosi a terra avvinghiati per non sentire freddo.

Il ragazzo percependo il corpo caldo e morbido di lei si eccitò subito. Sapeva che non era il momento adatto ma non poteva farci niente: il suo testosterone era schizzato alle stelle.

«Raccontami cosa facevi con il tuo cellulare quando eri sola in casa...» le sussurrò.

Rosa si strinse di più nell’abbraccio e avvertì la sua frenesia. Sapeva bene come tenere a bada un uomo su di giri. E di sicuro la spaventava meno di un assassino.

«Cosa vuoi che ti dica?»

«Non so. Magari, spiegami il perché...»

«Mi piaceva far divertire gli uomini. Con gesti, parole. Ti fa sentire forte. Sono tutti lì che smaniano per te, per ogni tuo più piccolo movimento...»

«E poi cos’è successo?»

«Con uno ho esagerato. Mi aveva promesso cento franchi di ricarica...»

«E tu?»

«Be’, io ero distesa sul mio letto e indossavo solo un paio di mutandine.»

Il respiro di Jian si fece affannoso. «Continua» la esortò.

«Lui si stava già toccando e mi chiese di levarmi gli slip per farlo a mia volta...»

«E tu?»

«Ho finto di non volere, ma poi ho acconsentito quando mi ha inviato del denaro extra...»

«Brava. E l’hai assecondato?»

«Certo! Stavo usando un giocattolino che mi ero comprata, quando mia madre ha spalancato la porta e si è messa a urlare come una pazza: “Oddio, ma cosa stai facendo!”. Poi come una pantera si è avventata sul computer e lo ha scaraventato per terra. Continuava a urlare: “Ma che ti è successo? Perché ti umili così?”. E intanto mi prendeva a sberle...»

Le lacrime rigarono il viso della ragazza.

«E così ti ha spedito qui.»

«Esatto.»

La batteria del cellulare stava morendo.

«Il segnale non è ancora tornato» singhiozzò Rosa. «E presto saremo al buio.»

«Sto impazzendo qui dentro...»

«Anch’io! Ma è meglio che stare con quei pazzi.»

Jian si alzò in piedi di scatto.

«Hai sentito anche tu?»

«Sembrano dei passi...»

Rosa puntò il cellulare verso l’oscurità.

«Chi c’è?» urlò il giovane asiatico, ma il grido gli si spense in gola. Una lama l’aveva trafitto.

La ragazzina gridò a sua volta e con il telefono illuminò il volto dell’assassino.

«Quindi sei tu...»

Non riuscì a terminare la frase perché un coltello le penetrò il ventre. Uno, due, tre volte, finché non crollò a terra inghiottita dall’oscurità.