Quando, la mattina dopo, Sara entrò in classe, tutte la fissarono con gli occhi sgranati. Ogni allieva, da Lavinia Herbert, che aveva tredici anni e si sentiva ormai grande, fino a Lottie Legh, che ne aveva soltanto quattro ed era la piccolina del collegio, avevano sentito parlare molto di lei e sapevano che sarebbe stata la beniamina di Miss Minchin, perché la sua presenza avrebbe dato ulteriore prestigio alla scuola.
Due di loro avevano già visto Mariette, la cameriera francese arrivata la sera prima; Lavinia aveva fatto in modo di passare davanti alla camera di Sara mentre la porta era aperta e aveva scorto Mariette che apriva una scatola giunta proprio in quel momento da un negozio.
– Era piena di gonne con le gale di pizzo, proprio tantissime, – sussurrò all’amica Jessie, nascondendosi dietro il libro di geografia. – Le ho viste mentre le tirava fuori e ho sentito Miss Minchin dire a Miss Amelia che abiti cosí sfarzosi sono ridicoli per una bambina. Anche mia madre dice che le bimbe devono vestire semplicemente. Ora indossa una di quelle sottane, l’ho vista mentre si metteva a sedere.
– Ha anche le calze di seta! – mormorò Jessie con il naso sul libro. – E che piedini! Non ho mai visto piedi cosí piccoli.
– Oh, – replicò Lavinia indispettita, – dipende dalle scarpe. La mia mamma dice che un bravo calzolaio può far sembrare piccoli anche i piedi piú grossi. Ma a me non piace per niente, ha gli occhi di un colore cosí strano!
– Non è carina come le altre, – commentò Jessie con un’occhiata fugace a Sara. – Però ti viene voglia di guardarla di nuovo. Ha le ciglia lunghissime e gli occhi quasi verdi.
Intanto Sara sedeva quieta al suo posto, vicino alla cattedra di Miss Minchin, in attesa di istruzioni. Non era per niente intimidita da tutti quegli occhi fissi su di lei; anzi, era molto interessata e osservava a sua volta le compagne, domandandosi a che cosa pensassero, se volessero bene a Miss Minchin, se seguissero con piacere le lezioni e se qualcuna di loro avesse un padre come il suo. Quella mattina aveva parlato a lungo del suo papà con Emily.
– A quest’ora è in mare, sai. Ora noi due dobbiamo diventare grandi amiche e raccontarci tutto. Guardami, Emily; non ho mai visto nessuno con gli occhi belli come i tuoi, però vorrei che tu potessi parlare.
Era una bimba piena di immaginazione e di pensieri stravaganti, e credeva che avrebbe trovato un gran conforto nel fingere che la sua bambola fosse viva e potesse ascoltarla e capirla. Dopo che Mariette le aveva fatto indossare un abito blu scuro e le aveva legato i capelli con un nastro dello stesso colore, Sara aveva messo un libro dinanzi a Emily, che stava seduta sulla sua seggiolina, dicendole: – Leggilo, mentre io sono a lezione –. Poi, accorgendosi che Mariette la guardava incuriosita, le aveva spiegato seria seria: – Io credo che le bambole possano fare cose che non vogliono rivelarci. Forse Emily sa davvero leggere, parlare e anche camminare, ma lo fa soltanto quando è da sola. È il suo segreto. Vedi, se si sapesse che le bambole sono capaci di fare qualsiasi cosa, le costringerebbero a lavorare, perciò hanno deciso di non farlo sapere a nessuno. Finché tu sei in camera, Emily starà lí seduta a guardarti, ma appena uscirai forse si metterà a leggere, oppure andrà alla finestra per guardare fuori. Se sentirà arrivare qualcuno, correrà di nuovo alla sua sedia, fingendo di essere rimasta lí tutto il tempo.
«Com’è buffa questa bambina!» pensò Mariette, e quando scese in cucina ne parlò con le altre domestiche. Ma già cominciava a provare simpatia per quella strana bimbetta dal viso intelligente e dalle maniere impeccabili. Prima di allora si era occupata di ragazzini molto meno educati, mentre Sara era una personcina molto garbata e gentile, che diceva sempre: «Per piacere, Mariette», o «Grazie, Mariette». La cameriera raccontò alla governante del collegio che la piccola la ringraziava immancabilmente con grazia e cortesia, come se si rivolgesse a una gran dama. Era molto contenta di avere una padroncina come lei. – Ha proprio i modi di una principessa, – concluse.
Intanto Sara sedeva al suo posto da qualche minuto, osservata dalle compagne, quando Miss Minchin diede un colpetto secco sulla cattedra e annunciò: – Signorine, vorrei presentarvi una nuova allieva –. Tutte si alzarono, e cosí pure Sara. – Mi aspetto che siate molto gentili con la signorina Crewe, che è venuta qui da un Paese molto lontano, l’India. Appena avrò finito la lezione, potrete fare conoscenza.
Le scolare si inchinarono cerimoniosamente. Sara rispose con una piccola riverenza, poi tutte sedettero di nuovo, continuando a lanciarsi occhiate.
– Sara, – riprese Miss Minchin con tono professorale, – venga qui, accanto a me.
Prese un libro dalla cattedra e cominciò a sfogliarlo. Sara si avvicinò educatamente.
– Dal momento che suo padre ha scelto per lei una cameriera francese, immagino che desideri farle imparare bene il francese.
Sara parve un po’ imbarazzata. – Credo che l’abbia presa per farmi piacere, Miss Minchin, – rispose.
– Temo proprio che lei sia una bambina viziata, – replicò la direttrice con un sorriso acido, – e perciò creda che tutti si preoccupino sempre di compiacerla. A mio parere, suo padre vuole che le sia insegnato il francese.
Se Sara fosse stata un po’ piú grande o meno rispettosa, si sarebbe spiegata velocemente e con poche parole, invece arrossí. Miss Minchin era una donna molto severa e autoritaria, e sembrava assolutamente certa che la sua nuova allieva non sapesse una parola di francese, perciò Sara pensò che fosse sgarbato contraddirla. Ma lei ricordava di avere sempre parlato in francese con suo padre, fin da quando era piccolissima. Sua madre, infatti, era nata in Francia e il capitano aveva imparato la lingua della moglie, che dunque era molto familiare a Sara.
– Io… io, veramente, non ho mai studiato il francese, ma… ma… – cominciò, tentando di chiarire la situazione.
Uno dei crucci segreti di Miss Minchin era proprio quello di non sapere il francese, e cercava di nascondere con gran cura questa sua lacuna. Perciò, non aveva intenzione di proseguire la discussione, esponendosi magari alle ingenue domande della nuova allieva.
– Basta, – tagliò corto in tono gentile ma brusco, – se lei non ha mai studiato il francese, deve cominciare immediatamente. Il professor Dufarge sarà qui fra qualche minuto. Intanto, prenda questo libro e cominci a leggerlo.
Sara tornò al suo posto con le guance in fiamme, aprí il libro e fissò seria la prima pagina. Sapeva che se avesse sorriso sarebbe apparsa maleducata e voleva assolutamente evitarlo, ma le sembrava assurdo studiare una pagina dove si spiegava che le père vuol dire «il padre» e la mère «la madre».
Miss Minchin la scrutava attentamente. – Ha un’aria contrariata, Sara. È un peccato che l’idea di imparare il francese non le piaccia.
– Invece mi piace moltissimo, – replicò lei, cercando nuovamente di spiegarsi, – ma…
– Non si risponde «ma» a un ordine, – la interruppe la direttrice. – Si rimetta a studiare il suo libro.
E Sara obbedí, senza lasciarsi sfuggire un sorriso nemmeno quando trovò che le fils significa «il figlio» e le frère «il fratello».
«Appena arriverà il professor Dufarge, – si disse, – parlerò con lui».
Finalmente il professore fece il suo ingresso. Era un francese di mezz’età, molto piacevole e intelligente, e i suoi occhi caddero subito su Sara, che sembrava assorta nella lettura.
– Questa è una nuova alunna per me, madame? – domandò a Miss Minchin. – Sarò felicissimo di occuparmene.
– Suo padre, il capitano Crewe, vuole che cominci immediatamente a imparare il francese, ma sembra che lei non ne abbia alcun desiderio.
– Mi dispiace, mademoiselle, – disse benevolmente a Sara il professore. – Forse, una volta che avremo cominciato a studiarla insieme, avrò modo di dimostrarle che è una lingua davvero affascinante.
La piccola Sara si alzò, scoraggiata e avvilita. Rivolse al professor Dufarge uno sguardo che racchiudeva una muta preghiera, consapevole che lui avrebbe capito. Cominciò dunque a parlare in perfetto francese: madame non l’aveva ben compresa. In effetti, non aveva imparato il francese sui libri, ma lo aveva sempre parlato con suo padre e con altri, e lo leggeva e lo scriveva bene come l’inglese. A suo padre quella lingua piaceva molto, perciò piaceva anche a lei; inoltre, la sua cara mamma, che lei non aveva mai conosciuto, era francese. Sarebbe stata molto contenta di imparare quello che il professore le avrebbe insegnato, ma non era riuscita a spiegare a Miss Minchin che conosceva già il significato di tutte le parole che si trovavano in quel libro, e cosí dicendo gli porse il volume datole dalla direttrice.
Non appena Sara aprí bocca, Miss Minchin sussultò bruscamente, guardandola indignata al di sopra delle lenti per tutta la durata del discorso. Il signor Dufarge, invece, sorrideva soddisfatto. Ascoltando quella melodiosa vocina che parlava la sua lingua con tanta grazia e scioltezza, ebbe quasi l’illusione di essere ritornato nel suo Paese natale, che talvolta, nei giorni londinesi piú bui e nebbiosi, gli sembrava lontanissimo. Quando Sara ebbe finito, il professore la guardò con affetto e prese il libro che gli porgeva. Poi si rivolse a Miss Minchin: – Ah, madame, non ho molto da insegnare a questa bambina. Direi che non ha imparato il francese, ma che è francese: ha una pronuncia perfetta.
– Avrebbe dovuto dirmelo! – esclamò la direttrice umiliata, girandosi verso Sara.
– Io… io ci ho provato ma… ma forse non ci sono riuscita.
Miss Minchin sapeva che era vero, perché era stata lei a impedirle di spiegarsi. Ma quando si rese conto che tutte le allieve si erano gustate la scena e vide Lavinia e Jessie ridacchiare dietro la grammatica francese, s’infuriò.
– Silenzio, signorine! – le richiamò severamente, con un colpo secco sulla cattedra. – Facciamo silenzio, subito!
Da quel momento, però, cominciò a nutrire un certo risentimento verso la nuova, prestigiosa alunna.