Quello stesso pomeriggio, mentre Sara era fuori, in soffitta accadde qualcosa di molto strano. Soltanto Melchisedec vide e sentí tutto, e rimase cosí perplesso e spaventato che corse subito a nascondersi nel suo nido, affacciandosi di tanto in tanto con grande cautela per sbirciare, senza mai smettere di tremare di paura.
Dopo che Sara era scesa di sotto, al mattino presto, la soffitta era stata vuota e tranquilla per tutto il giorno: si udiva solo il picchiettio delle gocce d’acqua che battevano contro i vetri. Melchisedec era molto annoiato, cosí quando smise di piovere e tornò a regnare un silenzio assoluto, decise di uscire in ricognizione, pur sapendo bene che Sara sarebbe tornata solo piú tardi. Scorrazzò qua e là, fiutando l’aria, e aveva appena trovato un’inaspettata briciola del suo ultimo pasto, dimenticata, chissà come, sul pavimento, quando la sua attenzione fu richiamata da un rumore proveniente dal tetto. Si fermò di colpo ad ascoltare, con il cuore che batteva all’impazzata. Sembrava proprio che qualcuno stesse camminando lassú, avvicinandosi sempre piú all’abbaino, finché lo raggiunse. Un viso scuro comparve alla finestra, seguito subito dopo da un altro volto, poi entrambi si misero a osservare con interesse l’interno della soffitta. C’erano due uomini, ed evidentemente avevano intenzione di entrare!
Uno di loro era Ram Dass, l’altro un giovanotto, il segretario del signore indiano, ma naturalmente Melchisedec non poteva saperlo: vedeva solo che i due volevano invadere il silenzio e l’intimità della soffitta. Quando l’uomo dal viso scuro si calò dalla finestra con agilità e destrezza, senza fare il minimo rumore, Melchisedec fece dietrofront e si precipitò nel suo nido, spaventato a morte. Ormai non aveva piú paura di Sara, sapeva che lei gli avrebbe gettato solo delle briciole e non avrebbe fatto alcun rumore se non il solito, dolce, basso fischio di richiamo. Ma due uomini sconosciuti erano una compagnia troppo pericolosa per rimanere nei paraggi.
Si appiattí vicino all’uscita del suo rifugio, spiando dalla fessura nel muro con gli occhietti lustri e allarmati. Non so proprio dirvi quanto riuscí a capire di ciò che dicevano i due sconosciuti ma, anche se avesse compreso tutto, sarebbe rimasto ugualmente sbalordito.
Il segretario, giovane e atletico, scese silenziosamente come Ram Dass, appena in tempo per vedere la coda di Melchisedec scomparire nella fessura.
– Era un topo? – domandò a Ram Dass in un sussurro.
– Sí, Sahib, – bisbigliò lui di rimando. – Ce ne sono tanti in questi muri.
– Puah! – esclamò il segretario. – La bimba sarà terrorizzata!
Ram Dass fece un cenno con la mano e sorrise rispettosamente. Si trovava lí come amico di Sara, anche se si erano rivolti la parola solo una volta.
– Lei vuole bene a tutte le creature, Sahib, – rispose. – Non è come tutti gli altri bambini. Spesso la osservo dalla finestra senza che mi veda, e di notte mi arrampico sul tetto e vengo a controllare che stia bene. A volte sale sul tavolo e fissa il cielo come se comunicasse con qualcuno, lassú; i passerotti accorrono al suo richiamo; ha addomesticato il topo dandogli da mangiare e lui le fa compagnia. Poi c’è una bimbetta che viene a trovarla di nascosto, e ce n’è un’altra un po’ piú grande che l’adora, pende dalle sue labbra e non vorrebbe mai smettere di ascoltarla. La padrona di casa è una donna perfida, la tratta come una paria, ma lei ha dei modi impeccabili: sembra quasi che nelle sue vene scorra sangue regale.
– Pare che tu sappia molte cose su di lei, – commentò il segretario.
– So tutto della vita che conduce qui, – ammise Ram Dass. – So quando esce e quando rientra, quando è triste e quali sono le poche gioie che le sono concesse, quando ha freddo e fame. So che se ne sta seduta a studiare da sola fino a mezzanotte e vedo le sue amichette venire di nascosto a trovarla: allora è felice, come lo sono i bambini anche nelle condizioni piú misere, perché può ridere e parlare sottovoce con loro. Se si ammalasse, lo saprei subito e mi prenderei cura di lei, se mi fosse possibile.
– Sei sicuro che in questa soffitta venga solo lei e che non ci sorprenderà qui, se dovesse rientrare in anticipo? Si spaventerebbe, se ci trovasse nella sua stanza, e il piano del Sahib Carrisford andrebbe in fumo.
Ram Dass attraversò la camera con passo felpato e si avvicinò alla porta.
– Nessuno viene qui, a parte la bambina, Sahib, – rispose. – È uscita con il cesto e starà fuori per qualche ora. Ma io resterò qui per sentire se qualcuno sale le scale.
Il segretario tirò fuori di tasca una matita e un taccuino.
– Sta’ bene attento, – disse, poi cominciò a girare silenziosamente per la squallida stanzetta, prendendo rapidi appunti.
Prima di tutto andò al letto, tastò il materasso e si lasciò sfuggire un’esclamazione di disappunto.
– È duro come la pietra, – annunciò. – Bisognerà cambiarlo. Faremo una spedizione speciale, ma stasera non è possibile.
Alzò la coperta ed esaminò il cuscino piatto.
– Il piumino è sporco e consunto, la coperta è sottilissima, le lenzuola sono rattoppate e sdrucite. Che razza di letto per una bambina, e in un collegio che si vanta di essere cosí rispettabile! In quel caminetto non è stato acceso il fuoco da chissà da quanto tempo, – osservò, lanciando un’occhiata alla grata arrugginita.
– Non l’ho mai visto acceso, – confermò Ram Dass. – La padrona di casa non è tipo da preoccuparsi se gli altri hanno freddo.
Il segretario continuava a prendere appunti. Staccò un foglio dal taccuino, se lo mise in tasca e alzò la testa.
– Che strana missione è la nostra! Di chi è stata l’idea? – domandò.
Ram Dass s’inchinò con aria umile e modesta.
– È stata mia, Sahib, ma all’inizio era molto vaga, – rispose. – Voglio bene a questa bimba, perché è sola come me. Di solito racconta le sue fantasie alle amiche che vengono qui di nascosto. Una sera che ero triste, mi sono avvicinato all’abbaino e ho ascoltato le sue parole: descriveva con molti particolari come potrebbe essere questa cameretta con qualche piccola comodità in piú. Era come se la vedesse davanti agli occhi, e man mano che raccontava si accalorava sempre piú, tanto da sembrare quasi contenta. Il giorno dopo, il Sahib era malinconico e non si sentiva bene, cosí per distrarlo gli ho raccontato quello che avevo visto e sentito. Lui mi ha ascoltato con grande attenzione e interesse, facendomi molte domande, e alla fine ha deciso che sarebbe bello trasformare in realtà i sogni della bambina.
– Credi che riusciremo a farlo mentre dorme? E se si svegliasse? – chiese il segretario.
Era evidente che, qualunque fosse il piano escogitato, lo appassionava almeno quanto appassionava il signor Carrisford.
– Lei sa che posso muovermi senza fare il minimo rumore, – disse Ram Dass, – e i bambini, anche i piú infelici, hanno il sonno profondo. Sarei già potuto entrare molte volte dalla finestra senza nemmeno farle girare la testa sul cuscino. Se qualcuno mi passa gli oggetti dalla finestra, posso sistemare tutto; la bimba non se ne accorgerà e quando si sveglierà crederà che sia passato di qui un mago, – concluse con un sorriso che veniva direttamente dal cuore.
Anche il segretario sorrise.
– Sí, come nelle novelle delle Mille e una notte, – commentò. – Solo un orientale avrebbe potuto escogitare un piano del genere: non poteva certo scaturire dalle nebbie di Londra.
I due uomini sembravano sul punto di andarsene, con gran sollievo di Melchisedec che, probabilmente perché non riusciva a capire quella conversazione, sentiva i loro bisbigli e i loro movimenti come una minaccia. Il giovane segretario era molto interessato a ogni particolare: prese ancora qualche appunto riguardo al pavimento, al caminetto, allo sgabello zoppo, al vecchio tavolo sgangherato e infine alle pareti, che esaminò palmo a palmo, constatando con soddisfazione che c’erano dei chiodi piantati qua e là.
– Potrai appenderci qualcosa, – disse.
Ram Dass sorrise con aria misteriosa.
– Li ho messi io ieri, mentre la bambina era fuori, – disse. – Sono entrato, portando con me dei piccoli chiodi sottili che possono essere piantati anche senza martello, e li ho piazzati dove pensavo che potessero servire.
Il segretario rimise in tasca il taccuino e si guardò intorno un’ultima volta.
– Credo di avere annotato tutto, perciò ora possiamo andarcene. Il Sahib Carrisford ha un gran cuore. È davvero un peccato che non sia ancora riuscito a trovare quella bimba!
– Se la trovasse, guarirebbe subito e tornerebbe forte come prima, – osservò Ram Dass. – Ma il suo Dio può ancora mandargliela.
Scivolarono attraverso l’abbaino silenziosamente com’erano entrati.
Quando fu assolutamente sicuro che i due uomini fossero usciti, Melchisedec tirò un gran sospiro di sollievo e poco dopo trovò il coraggio di sbucare dal suo nascondiglio e scorrazzare per la stanza, nella speranza che quei due personaggi spaventosi avessero lasciato cadere dalle tasche qualcosa di buono da mangiare.