Capitolo I

Cominciammo a parlarne, così, quando capitava, tanto per parlare di qualcosa. Niente di serio. Neppure unʼipotesi. Solo una fantasticheria come tante, fra mezzanotte e lʼalba. Tutte le notti, anche le più animate, hanno la loro crisi. Di solito, capita fra le tre e le quattro. È un momento di vuoto che bisogna superare lavorando dʼimmaginazione.

«Che ne diresti se...».

«Bon! Non sarebbe mica una cattiva idea, dopotutto...».

«Già! Però, tutto sommato...».

Col passar dei giorni (anzi, delle notti) ne parlammo sempre più spesso. Con crescente interesse. Come di una vera possibilità. Come di un autentico progetto. Entrando nei particolari. Soppesando il pro e il contro.

«Metti il caso che...».

«Chissà! In fondo, pensandoci bene...».

La cosa, come dicono i parigini, «entrait en machine». Prendeva corpo.

Era la noia che ci suggeriva quei discorsi. Una noia che negli ultimi mesi, benché facessimo di tutto per sfuggirle, ci era salita dalle caviglie alle ginocchia. Milano è, indubbiamente, una grande città. O, perlomeno, grossa. Offre una quantità straordinaria di risorse a quei volonterosi che vanno a letto presto e si alzano prestissimo, per correre subito a mettere in moto la loro rotellina nellʼingranaggio turbinoso della produzione. Ma Milano non è altrettanto generosa coi nottambuli di buona volontà. E io e Bubù, in quel particolare periodo della nostra esistenza movimentata e avventurosa, eravamo qualcosa di più di due nottambuli di buona volontà. Eravamo due samurai delle ore piccole. Due seri professionisti dellʼ«après-minuit». In tre anni di scorribande notturne, avevamo annusato e frugato Milano, in tutte le sue pieghe nascoste. In tutte le stagioni, con qualsiasi tempo. Non vi era penombra per la quale non fossimo passati. Angolo che non sapessimo cosa cʼera dietro. Sapevamo quasi tutto di quasi tutti. Quasi tutti sapevano quasi tutto di noi. Le facce erano sempre quelle. I discorsi sempre gli stessi. Le novità diminuivano, gli sbadigli aumentavano.

Così il nostro progetto, uscendo un poʼ alla volta dal vago, stava diventando una tavola di salvezza. Per scampare al naufragio della noia.

Le prime volte, ne avevamo parlato in febbraio. Nelle notti spopolate, rigide, interminabili. I viali della periferia fuggivano via, diritti, fra gli alberi anchilosati e nudi. Lungo i viali incrostati di gelo, biancheggiavano mucchi di vecchia neve indurita e sporchiccia. Continuammo a parlarne, mentre sulle piante si andava diffondendo, di un verde timido, la lebbra delicata della primavera. Esplosero le foglie. Lʼafa le immobilizzò, velandole di polvere. Ne parlammo ancora. Poi, allʼimprovviso, nei piazzali, ai crocevia, in mezzo ai cementi ancora freschi dei caseggiati nuovi, esplose, fiammeggiante, la rivoluzione delle angurie. Ai primi dʼagosto, ci capitò una storia che con le sue conseguenze straordinarie e un poʼ misteriose, diede una spinta definitiva al famoso progetto.