Capitolo II

Cominciò così. Stavo lavorando con le finestre spalancate. Squillò varie volte il telefono. Non risposi. Poi, finalmente, suonò a intervalli, in modo convenzionale, e allora sollevai la cornetta.

«Alors, mon vieux?».

«Alors?».

Io e Bubù, fra noi, avevamo lʼabitudine di parlare francese. Per sentirci legati a un passato che, in tempi diversi, aveva attraversato gli stessi luoghi e le stesse esperienze. Marsiglia, Parigi, Casablanca. Io, purtroppo, quindici anni prima di lui.

«Sai», fece Bubù, con un velo di rincrescimento nella voce baritonale. «Ho promesso a Justine di portarla al cinemà...».

«Hai fatto bene, vecchio mio! Ci vediamo dopo».

«Sì, verso lʼuna».

«Al solito?».

«Al solito».

Al solito voleva dire al «Tony Club». La base fissa delle nostre notti. Adocchiai lʼorologio. Mancava un quarto alle dieci. Dal bar sottostante, salivano voci confuse e lo schiocco secco delle biglie. Dallʼoscurità della finestra, entrava un fiato tepido. Mi rimisi a lavorare. Potevo andare avanti ancora tre ore. Non sono poche, per uno che lavora meno che può.