Capitolo V

Bubù tacque. Fece un cenno blando al cameriere, il quale, conoscendo i suoi gusti, si affrettò a servirgli un pernod.

Lilly Cassandrà era venuta in Italia verso il ʼ48, come soubrette della rivista Paris en manège. A quel tempo era sulla trentina. Aveva due magnifici occhi, verdi come scarabei, due gambe sterminate, dieci bauli di vestiti, cinque pellicce, gioielli e diversi milioni da parte. Sul finire della tournée, le era piombato addosso un magnaccio siciliano, truccato da gentiluomo. Passione travolgente. Quando la compagnia era tornata in Francia, lei era rimasta a Roma, avvinghiata al suo Totò. Tre mesi dopo, Totò lʼaveva regolarmente piantata, lasciandole soltanto gli occhi, le gambe e, in più, il vizio della coca. Con le gambe e con gli occhi, senza la coca, avrebbe potuto tenersi a galla. Ma la coca, a lungo andare, le aveva scolorito gli occhi e fiaccate le gambe. Era scivolata giù. Alla svelta. Fino in fondo. Fino alla baracca di Gino il Meccanico.

Per me e Bubù, Cassandrà, anche ridotta così, era un poʼ della «nostra» Parigi. Nella sua voce arrochita, riuscivamo ancora a percepire quellʼincrinatura sottile, fra lʼironia e la tristezza, chʼè tipica delle autentiche «poules», nate e cresciute, troppo in fretta, fra Rue de Clichy e Boulevard de Magenta. In certi svolazzamenti improvvisi delle sue mani scarne, cʼerano tutti i capricci un poʼ amari della Butte Montmartre. Perciò, la consideravamo unʼamica, e, allʼoccorrenza, le davamo una mano volentieri.

«Chi ti ha informato?» domandai.

«Giulio il Bambino. Lʼho incontrato venendo in qua».

«Ti ha spiegato con precisione dovʼè la baracca?».

«Al centimetro».

«Quanti sono?».

«Cinque o sei, oltre al Meccanico. Bivaccano allʼosteria della Mocolosa, lì a due passi della baracca. Si bevono subito i soldi, man mano che incassano. Uno, a turno, sta alla porta della baracca per riscuotere».

«Bastardi organizzati!».

Riflettemmo, in silenzio, per alcuni minuti. I «Mambo-boys», improvvisamente risvegliati dalla mancia di un tipo brizzolato, in vena di follie, passarono dal tango al «twist». Il brizzolato cominciò a contorcersi, al centro della sala, come per trattenere un bisogno urgente.

«Allora?» fece Bubù. «Ce la facciamo, questa passeggiata fino alla Mocolosa, oppure no?».

«Andiamo pure», risposi. «Prima, però, facciamo un salto a prelevare gli attrezzi».

«Io sono a posto», masticò Bubù. «Quello che ci vuole, ce lʼho in macchina».

«Bene. Così ci sbrighiamo prima. Passiamo un momento da me. Mi metto in tasca un residuato di guerra e proseguiamo. Allons, mon vieux!».