Capitolo XII

«Prendi il caso di Cristùs!» mi disse Bubù, una sera dʼottobre, mentre giocavamo a boccette al bar «Stecca dʼOro». «Te lo ricordi o no, Cristùs?».

«Me lo ricordo benissimo!» feci, mancando il filotto per un pelo. «Era quel tipo carico di pulci e di capelli che se ne stava accovacciato, come un fachiro, allʼangolo della Canebière con rue de Rome».

«Justement! Proprio quello! Ma tu a Marsiglia, durante lʼoccupazione tedesca non cʼeri!».

«Non cʼero più da un sacco dʼanni».

«Bon! Io però cʼero. E sai come è andato a finire, Cristùs?».

«Non lo so».

«Te lo dico io. Una mattina, verso la fine del ʼ43, le “esse-esse” circondarono improvvisamente il quartiere. Erano un migliaio. Operazione in grande stile. Sai per cosa? Per prendere Cristùs! Lo caricarono di catene e lo portarono a Château dʼIf. Come lʼabate Faria. Lo tennero là dentro, in un sotterraneo mezzo allagato, per un paio di mesi, torturandolo tutti i giorni. Alla fine, lo impiccarono».

«Non mi stupisce. I nazisti erano fatti così. Le prendevano a occhi chiusi, ma, in compenso, picchiavano alla cieca».

«Oui, mon copin. Ma nel caso di Cristùs, alla cieca fino a un certo punto».

«Cioè?».

«Cioè, avevano scoperto che Cristùs, con tutti i suoi capelli e tutte le sue pulci, era un agente dellʼIntelligence Service. Lavorava a Marsiglia fin dallʼepoca dellʼaffare Stavinski».

«Accidenti! Quello straccione? Accucciato sul marciapiede come un cane! Vallo a immaginare!».

Bubù abbozzò un sorrisetto consapevole. Rimise in piedi i birilli che aveva buttati giù con uno splendido rinquarto. Si segnò sei punti sulla stecca, poi disse:

«Già! Chi se lo poteva immaginare, quello che cʼera sotto a quegli stracci! Et pourtant! Gli arabi dicono che a questo mondo le persone si dividono in due categorie: quelle che camminano senza sapere dove vanno, e quelle che stanno ferme sapendo quello che aspettano».

Fuori, nellʼoscurità, stava cadendo una pioggia sottile. Nel locale non cʼeravamo che noi. Gli altri clienti abituali sʼerano squagliati in massa allʼora di cena.

Tentai un «calcio» piuttosto difficile. Studiai bene le sponde. Soppesai la biglia. Tirai. Sbagliai di alcuni millimetri e andai sotto di quattro punti.

«Diʼ un poʼ!» fece Bubù, soddisfatto del mio infortunio. «Hai capito perché ho tirato fuori la storia di Cristùs?».

«Credo di sì. Vuoi dire che Gino il Meccanico potrebbe essere il Cristùs della situazione. Uno che sembra niente, e invece, chissà come, ha le braccia lunghe».

«Exactement! Forse, senza saperlo, ci siamo messi contro tutto un giro. E ora, ci stanno lavorando con le banderillas».

«Se le cose stanno così, dopo i banderilleros arriverà il matador. E noi due, volendo, possiamo fare qualcosa che il toro vorrebbe fare ma non può! Andarcene dallʼarena, prima che arrivi».

«Tu lʼa dit! Ne abbiamo parlato tante volte, senza deciderci a farlo. Ora è venuto il momento di farlo senza parlarne. Dʼaccordo?».

«Dʼaccordo!».

E fu così che il nostro famoso progetto divenne realtà. Il progetto di partire da Milano e andarcene a Roma. Ne avevamo discusso, sempre più spesso e volontieri, per tutto lʼanno, incalzati dalla noia. Ma la noia non era stata sufficiente, a farci prendere una decisione. Ci voleva qualcosa di più convincente. La paura.