Capitolo XVI
Infatti, qualche giorno dopo, il fattorino di Certomà (che era anche uno dei suoi innumerevoli fratelli minori) si presentò a casa di Bubù con due enormi scatoloni. Tirò fuori, uno dopo lʼaltro, con movenze vispe, i cinque vestiti, odorosi di stoffa nuova, e la tenuta da cavallerizzo. Sotto gli occhi turchini di Justine, spalancati dalla sorpresa, sistemò il tutto, con grazia, sul letto matrimoniale e restò lì, sorridente, in attesa della mancia.
«Ma...» fece Justine, sfiorando con le dita giacche e pantaloni. «Ma che roba è, tutta questa roba?».
«Che roba?» ribatté il ragazzo, a sua volta un poʼ stupito. «È la roba che si fece fare suo marito! Roba speciale! Uno mica può andare a Roma, per fare il cinema, senza un poʼ di messa in scena!».
«Roma... Cinema...», bisbigliò Justine. «Messa in scena...».
Diede trecento lire al fattorino, chiuse la porta, e tornò a esaminare i «tappi» nuovi di Bubù, sciorinati sul letto. Si soffermò, specialmente, sul completo nocciola da cavallerizzo.
Mancava una settimana al giorno fissato per la partenza. Erano appena passati i Santi e i Morti. I banchi di frutta e verdura erano nascosti sotto gli incerati sgocciolanti. L’illuminazione stradale era scattata improvvisa, sul luccicore dell’asfalto, disperdendo gli ultimi chiarori del crepuscolo.
I milanesi tiravano di lungo, incappottati, pensando già alla tredicesima.
Come tutte le sere, andai al bar «Stecca dʼOro», per vedere le solite facce e tirare un paio di boccette, in attesa di Bubù. Invece di venire, Bubù telefonò.
«Alors?».
«Alors, mon vieux?».
Capii subito, dalla sua voce (strangolata), che gli era capitato qualche guaio.
«Bisogna anticipare», gracidò.
«Anticipare che?».
«Le départ!».
«La partenza? E perché?».
Restò zitto per qualche secondo. Mi arrivava soltanto il suo respiro pesante. Poi disse:
«Justine».
«Ebbè? Justine che cosa? Spiegati!».
«Più tardi, quando ci vediamo. È un affare lungo. Volevo solo avvisarti che bisogna anticipare. Absolument!».
«Vabbè! Ne parleremo. Fino a mezzanotte sono qui».
Ritelefonò verso le undici. Con voce ancora più rauca e avvelenata.
«Alors?».
«Alors?».
«Ti sto aspettando. Vieni o no?».
«Come non vengo! Mancherebbe altro!» sputò, tutto dʼun fiato. «Perché non dovrei venire? Cosa vuoi che resti a fare? Ormai, con lei ho sistemato la questione! Cʼè poco da fare, mon vieux! Aveva ragione Tonton. Quando giochi con le donne, lʼunica carta che conta è lʼasso di bastoni!».
«Diʼ, Bubù! Non avrai mica bastonato Justine?».
«Voyons! Quelle che do a lei, fanno male a te? Arrivo fra mezzʼora».
«Ma...».
Aveva già chiuso. Lo sapevo con certezza. Da quando stavano a Milano, Bubù non aveva più alzato le mani su Justine. Nemmeno nei momenti più burrascosi. Chissà, perciò, che diavolo era successo.