Capitolo XXI

La mattina pioveva. Poi, verso mezzogiorno, improvvisamente, si aveva una schiarita nervosa. Roba di unʼora. Quindi, altrettanto improvvisamente, riattaccava a piovere. Ma per poco. Uno scroscio o due. Al crepuscolo, di un azzurro intenso, una tregua. Le prime lampade si specchiavano nelle pozzanghere tralucenti. Dopo di che, di colpo, lunghe folate di tramontana irrompevano da Porta del Popolo, spazzando le tre strade divaricate, che si staccano da Piazza del Popolo, un poʼ come le tre dita del Papa nellʼatto di benedire. Via del Babuino, il Corso e Via Ripetta. Alle soglie della notte, la tramontana si ritirava sfiatata, e cominciava il gioco misterioso dei brividi freddi e delle toccatine sciroccose. Dopo mezzanotte, poteva succedere tutto. Sereno. Diluvio. Immobilità.

«Cʼest emmerdant!» bofonchiava Bubù, il cui orecchio reumatizzato soffriva per la volubilità del clima. «A Milano, lʼinverno è un disastro, ma perlomeno fa sul serio. Voyons!».

La Pensione Morfei (definita nelle cartoline pubblicitarie Pension Family Hôtel) non era gran che. Lʼunica cosa vistosa che avesse, erano i prezzi. Tuttavia, offriva il vantaggio della posizione strategica. Nel cuore della «Romanart». A metà strada fra Piazza di Spagna e il Popolo. In un quarto dʼora, risalendo Trinità dei Monti e discendendo Via Sistina, potevamo andare in Via Veneto a piedi.

Via Veneto attirava irresistibilmente Bubù. Per lui, era una strada con attorno una città. Era il cinema. La vetrina mondana. Lʼanticamera del successo. La possibilità di qualsiasi possibilità.

«È lì che dobbiamo cercarci una base notturna, mon frère», disse mentre si annodava una cravatta color bronzo a rigoline fulve, monumentale e minuzioso, davanti alla lastra dellʼarmadio.

«Credi proprio?» feci, dubbioso, infilandomi un modesto maglione nocciola.

«Sûrement!».

«Io non direi», ripresi. «Non ricordi lʼaltra sera, al “Crik-Crak”? Il conte Chicco e i suoi amici erano tutti dʼaccordo. Via Veneto, da un paio dʼanni, non è più quella di una volta. La “café-society” ha cambiato rotta. Gli intellettuali, un poʼ alla volta, sono discesi in Piazza del Popolo».

«Discorsi!» tagliò Bubù, dandosi un ultimo tocco, accurato, alla cravatta. «I grandi alberghi sono sempre là, mon vieux! E nei grandi alberghi ci sono sempre quelli che hanno la chiave dellʼorto! Gli americani, par exemple! Dove me li metti?».

«E tu dove te li metti?».

Continuò a contemplarsi nello specchio, con unʼalzata delle spalle massicce. Lo spigato marrone del sarto Certomà, ben tagliato per il suo grosso corpo, gli procurava un senso di sicurezza soddisfatta.

«Se non sei cascato giù con lʼultima pioggia, gli americani te li puoi mettere dove vuoi!» sentenziò. «E poi, voyons! Gli intellettuali, in Piazza del Popolo, possono essere interessanti per te, col lavoro che fai. Ma pour moi? È tutta unʼaltra musica, la mia! Tu hai la machine à écrire. Io ho una faccia, un physique du rôle. Per ingranare, mi devo far vedere. Nei posti giusti. Dalla gente giusta. Nʼest pas?».

In Via Veneto ci avevamo già bazzicato. Ma solo per annusare lʼaria e cominciare ad orientarci. Quella sera, invece, si trattava di un ingresso ufficiale. Il primo round del nostro match con Roma, come disse Bubù.

«Allons!» disse. «Bisogna entrare nel giro al primo giro!».

Si sistemò con cura, nel taschino della giacca, un fazzoletto irrorato di lavanda.

Attaccammo al chiodo la nostra chiave, contrassegnata col numero 10.

Uscimmo nellʼaria scura e frizzante, seguendo la bussola invisibile del successo. Bubù, avvolto nel suo cappotto di cammello, ben stretto alla vita, avanzava con un che dʼirresistibile nel passo. Io, al suo fianco, col mio berrettino a spicchi viola e rossi, gli arrivavo alla spalla. Mi ci volevano due passi per ognuno dei suoi. Ma tutti e due, distribuiti nelle varie tasche, avevamo addosso alcuni rotoli di carta. Sodi ed elastici. Piacevolmente palpabili. Non era carta qualunque. Erano carte da diecimila, suddivise in otto «rouleaux». Quattrocento banconote. Quattromila sacchi. Quattro testoni. Bon! Non erano il capitale interamente versato della Montecatini. Ma non erano neppure uno scherzo. Specialmente a Roma.

«Qui tutti parlano di miliardi», diceva Bubù. «Se parli di milioni, sbadigliano. Ma intanto allungano gli occhi per scovare il “vincenzo” che offre lʼaperitivo».