Capitolo XXV
«Tu as compris?» fece Bubù, liberandosi i polpaccioni pelosi dalle giarrettiere color mosto. «Io e Almavera decidiamo di andare al “Crik-Crak”. Lo lascio detto alla cassiera per te. Lei è una ragazza a posto. Non è di quelle che si smollano, ma, en somme, capisce che ragazzo sono e le sto bene. Oltre al portoghese, parla il francese, lʼinglese e lo spagnolo. Si arrangia anche con lʼitaliano, ma poco. Alors! Usciamo. Appena fuori, eccoti la bagarre dei bersaglieri. Trombe, le penne che noi portiamo, bambine belle e patatin patatà. E dài a correre! A un vecchio, pauvre chrétien, gli è venuto un mezzo colpo. Ma perché vanno di corsa, così? mi fa Almavera. Certo, rispondo io, non vanno a pagare le tasse! Lei ride. Forse, dice, scappano perché hanno dietro lʼesattore! Bon! Ridiamo tutti e due. Ma ecco che quel tipo lì, come si chiama? Befanati, Bidonati, quello che è, si stacca dagli altri, ci viene addosso, si leva il cappello e lo pianta in testa a Almavera, con una bella pacca, gridando: “Bruna come fa la luna, quando vai a letto sogna il mio piumetto!”. Lei resta lì, en stuc, senza sapere cosa dire e cosa fare. Io, invece, faccio subito quello che devo. Lui ha cercato di ripararsi, ma prima di trovare la guardia, aveva già incassato tre o quattro brisques. Con una, lʼho sbattuto tre metri più in là, contro lʼedicola dei giornali. Ha buttato giù due o tre pile di riviste e ha piantato un gomito nellʼocchio del giornalaio, che si è messo a hululer come uno sciacallo. Sʼè fatta gente. Ho detto alla ragazza di filare allʼHôtel Flora, dove sta, perché in certe situazioni non si sa mai. Sʼè ammucchiata gente. Sai come succede. Ognuno vuol mettere bocca e vuol spegnere lʼincendio col petrolio. Insomma, mon copin, è andata così! Peccato! Le ho parlato di te e le piaceva conoscerti. Poteva uscirci una serata comme il faut!».
«In sostanza», dissi, «eri là per farti notare. Ci sei riuscito. Più di così!».
«Voyons! Non intendevo partire con una mêlée del genere. Ma cosa potevo fare. Se ci passavo sopra, Almavera non avrebbe mica pensato: et voici un vrai gentilhomme! Magari lʼavrebbe detto. Ma dentro di sé mi avrebbe bollato da “vincenzo”».
«È proprio brasiliana?».
«Sûr! Au cent pour cent! Di cognome fa De Sosa de Macabar. È nata a Riberão Preto, dalle parti di San Paulo. Si scrive Riberão, ma si pronuncia Riberon. Così le ho detto chʼè nata a Biberon del Prete. Si è divertita. È una che sta alla battuta».
«Aveva addosso un “tappo” di Balmenin da duecento sacchi, come minimo. Devʼessere in soldi».
«Suo padre ha una piantagione di caffè. Mi ha detto chʼè grande à près près come la provincia di Roma. Una volta facevano tanto caffè che per tenere su il prezzo ne dovevano bruciare mezzo. Ora lo vendono allo stato. À la fin! Anche là, devʼessere tutta una bella cricca!».
«E lei cosa fa, qui a Roma?».
«Viene due volte allʼanno, a Natale e di giugno, per vedere Veralma».
«Almavera... Veralma... E chi è questa Veralma?».
«Sua figlia. Ha sei anni. Mʼha mostrato la foto. È una brunetta con le trecce. Tre anni fa, quando lei ha rotto col marito, lui sʼè tenuta la pétite. Gli avvocati hanno fatto di tutto. Rien à faire. Il marito lʼaveva trovata a letto con lʼamico, en plein corp à corp».
«Chi è il marito? Un italiano?».
«Oui! Un certo barone La Stanga. Un siciliano».
«Lʼho già sentito. E lʼaltro, te lʼha detto chi era?».
Bubù si accomodò il cuscino sotto la testa. Prese dal comodino un fumetto di Nembo Kid, sul quale si addormentava da due mesi, alla seconda pagina. Poi girò gli occhi verso di me, ridacchiando.
«Lʼautre? Sì, che me lʼha detto. Sai chi era?».
«Chi?».
«Il conte Chicco. Nôtre ange gardien. Pensa un poʼ».
«Ora mi ricordo! Era proprio la tua Almavera, quella chʼera con lui nella foto del rotocalco! Era più magra e portava i capelli in un altro modo. Ma era proprio lei».
«Cʼest probable. Lei dice che Chicco è un buon tipo, ma che ha il vizio della presa. Quando è in coca, in un locale o nellʼaltro, compie trentʼanni. Sono cinque o sei anni che li compie. Quasi tutte le sere».