Capitolo XXVIII

Finalmente, mettemmo la nostra «base» in Piazza del Popolo. Una specie di enorme orologio, che aveva lʼobelisco al centro del quadrante, come lancetta, e due caffè, uno di qua, uno di là, al posto delle 12 e delle 6. Il «Canova» e «Rosati». Due caffè fra i quali si svolgeva la vita pendolare della piazza. Scoprimmo, in partenza, che la gente andava da «Canova» solo per procurarsi la possibilità di attraversare la piazza e andare da «Rosati». Oppure, andava da «Rosati» perché era lʼunico modo per poi potersi trasferire da «Canova».

Natale era scivolato via. Gli operai dellʼamministrazione capitolina, lavorando al rallentatore, stavano smontando gli addobbi di Via Frattina. In Largo Chigi, il grosso abete natalizio era rimasto, spoglio e sgocciolante di piovaschi, a intralciare la circolazione. Passò anche lʼEpifania.

Durante le feste, avevamo vagolato, qua e là, seminando una notevole quantità di carte da diecimila e conoscendo un poʼ di gente. Alla pensione Morfei, il signor Tommasini, avvolto in un camice impataccato, stava riverniciando, allegramente, tutto il riverniciabile. Il braccio di ferro fra Bubù e Justine continuava. Le cartoline postali di Giulio il Bambino si susseguivano sempre eguali. Riuscii, finalmente, a rintracciare quel tale «commendatore» che avrebbe potuto aprirci qualche porta nellʼambiente del cinema. Ma il rintracciamento non ci fu di alcuna utilità. Infatti, per il momento, si trovava a Regina Coeli. Cʼera finito per un «disguido» in fatto dʼassegni. Non a vuoto. Questo no! Post-datati...

Almavera, la brasiliana dai capelli tenebrosi, era definitivamente scomparsa dallʼorizzonte. Il «talent-scout» Beppe De Leonardis era introvabile. Bubù, che ogni volta controllava il numero sul biglietto da visita ricevuto sullʼautostrada, gli aveva telefonato a più riprese. Era sempre fuori Roma. La segretaria non aveva la più vaga idea di dove fosse e di quando sarebbe ritornato.

«Se lei conosce il dottore, deve saperlo», rispondeva. «Quando è in giro, nessuno sa dovʼè. Neppure il commendator Nino, suo fratello. Si ferma dove capita. Un giorno, due, tre... Una settimana. Anche un mese! Secondo. Secondo quello che trova, se è importante o meno».

«Sì, lo so!» tagliava Bubù, col tono di chi è bene informato. «Piuttosto, per gentilezza, lei non sa niente di un film con Ercole e Circe che la De Leonardis dovrebbe cominciare, il mese che viene?».

«Ercole e Circe? Mi pare... Proprio Ercole e Circe? È sicuro?».

«Oui! Sì. Proprio Ercole e Circe. È stato il dottore a dirmi così, personalmente».

«Beʼ, non saprei. Di un Ercole ne ho sentito parlare. Però non con Circe. Con Messalina. Ma di un Ercole con Circe, francamente non saprei!».

Questa incertezza, a proposito di Ercole e Circe, contrariava Bubù. Lo irritava. Ci tornava su tutte le volte che si spogliava per ficcarsi a letto.

«Sacrée dʼune ville!» borbottava. «Trovi uno che ti dice di Ercole e Circe e ti spiega perfino una cosa e lʼaltra, e patatìn e patatàn, e poi, quando sei tu, che ritiri fuori Ercole e Circe, nessuno ne sa più niente. Cʼest de la folie! Non me lo sono mica inventata io, la “machine” di questo Ercole e di questa Circe! Voyons!».

Intanto, frequentando Piazza del Popolo, un poʼ da «Rosati», un poʼ da «Canova», fra un aperitivo e lʼaltro, cominciammo a vederci chiaro. Specialmente in fatto di cinema. I veli cadevano uno dopo lʼaltro. La realtà prendeva forma. Non passava giorno che non facessimo qualche scoperta sorprendente. Quandʼera fra la gente, Bubù assumeva unʼespressione consumata. Passava da una meraviglia allʼaltra, da un paradosso a unʼallucinazione, ma non batteva ciglio. Era uno che la sapeva lunga, lui! Nulla ormai poteva più stupirlo. Ma quando eravamo a quattrʼocchi, mi versava addosso tutto il suo legittimo sbalordimento.

«Mais tu as entendu, mon vieux, oui ou non? Quel tipo coi capelli ossigenati? E quellʼaltro che sta cercando un miliardo e intanto ti vuota il pacchetto delle sigarette? E quello con le cispe, che non può fare il film perché i due miliardi che ha sotto mano non gli bastano? E quel tipo dʼaffamé, con le croste sotto la barba? Lo prendono solo quando cʼè da cascare malamente da cavallo. Tirano a storpiarlo, sotto sotto. Eppure, ho inteso che diceva: “Je lʼho detto chiaro e tondo, ar presidente de a Foxe! O prennete me, o prennete Orson! Ma tutti e due assieme, nun ce stò”. Cʼest de la folie! E hai visto, stamattina, quel bassetto, con la pipa piantata nei baffi, che mi ha tirato in un angolo, per parlare vis à vis? Mi abborda e si presenta: tal dei tali. Talaltro, mi presento io. Noi ci conosciamo di vista, fa lui. Già! Ci siamo visti da qualche parte, dico io. Io sono il numero due della Cinevox, dice. Cosa sarebbe, la Cinevox? je mʼinforme. Lui mi guarda étonné, poi fa: devʼessere qui a Roma da poco, se non sa cosʼè la Cinevox! Infatti, dico, sono qui solamente da due mesi. Allora si spiega! dice. Poi mi dice che la Cinevox è unʼagenzia che ha tutte le chiavi sotto mano. Esempio. Il produttore “X” sta cercando un certo tipo per una certa parte. Non riesce a trovarlo. Bien! Cosa credi che faccia, per risolvere la situazione? Fa il numero della Cinevox. Dice che gli ci vuole un tipo così e così che sappia fare cosà e cosà. Cʼest assez! La Cinevox, in mezzʼora, pesca esattamente quello che ci vuole. Unʼora dopo, il produttore firma il contratto. Sans discussion! Pas question dʼargent! Così mi assicura il bassetto con la pipa piantata nei baffi. E io? gli faccio. Cosa cʼentro in questa storia? Milioni, fa lui. Quali milioni, dico. Quelli che lei si metterà in tasca quanto prima! fa lui. Mastica la pipa, mi squadra e dice: ha qualche fotografia? Sì, qualcheduna devo avercela. Bene! Domani mattina me le porti su! Dico: su come? Alla Cinevox! È il suo momento, caro lei! Ercoli, Macisti, Sansoni... Tutta roba per il suo fisico! Naturellement, sentendo parlare di Ercoli, mi viene in mente Ercole contro Circe! Gli chiedo se alla Cinevox ne sanno, per caso, qualche cosa. Succhia la pipa. Ci pensa su. Poi conclude che alla Cinevox non ne sanno niente. E che quando di una cosa non se ne sa niente alla Cinevox, vuol dire che non è una cosa seria. Roba campata in aria! Montature! Poi, très sérieux, torna al sodo: le foto! Mi raccomando. Domattina! Gli assicuro che gliele porterò. Bene! Faremo cose grosse! dice con espressione sollevata. Poi dà unʼocchiata allʼorologio. Guarda in su. Guarda in giù. Guarda da una parte. Guarda dallʼaltra. Si batte la pipa sul tacco e dice: noi che lavoriamo nel cinema abbiamo sempre la testa chissà dove! Pensi un poʼ! Sono uscito di casa senza una lira in tasca! Per fortuna che cʼè lei! Mi dia due o tremila lire, per favore. Tanto ci vediamo domani alla Cinevox. Gli soffio nel collo: apri le vele, baffo, e prendi il largo! Una pipa nello stomaco, cʼest pas commode! Tu as compris? Cinevox! Cinepoche! Poche des autres, naturellement! Quelle ville!».