Capitolo XXXVIII
Un pomeriggio che sudavano anche le unghie, la signora Tommasoni si affacciò alla porta della camera. I suoi occhi-tassametro segnavano lire centoventottomila e seicento. (Compresi gli extra).
«Cʼè un tale che la vuole al telefono», annunciò, con voce incolore.
«Chi è?».
«Non ho capito bene. Giovannini... Lorenzetti... De Rossi... Un nome più o meno così!».
«Non è per caso un certo Salimbeni?».
«Non mi pare. È un nome che il sale non cʼentra. Né in principio, né in fondo».
«Gli dica che vengo subito».
Si trattava di un certo Vladimir Bianchi. Un tale che non conoscevo di persona, ma del quale avevo sentito parlare spesso, nellʼambiente del cinema. Piuttosto male. Debiti, cambiali protestate, film interrotti, mezzi bidoni... Mentre la gente, di solito, respira per vivere, lui viveva per respirare. Infatti, lo chiamavano il «Respiratore». Quando i suoi molti ed estenuati creditori si presentavano a battere cassa, attaccava subito i suoi esercizi di respirazione artificiale.
«Ma datemi un poʼ di respiro!» gemeva! «Ma lasciatemi respirare, che diamine! Sono dieci anni che lei viene a chiedermi questi quattro soldi! Quasi tutti i mesi! Lei mi toglie il respiro, così!».
La voce di Bianchi crepitò nel ricevitore, concitatissima, per dirmi che aveva assoluta necessità di parlarmi. Mi diede il suo indirizzo, e mi assicurò che si trattava di un affare estremamente urgente, per il quale era indispensabile il mio autorevole intervento.
«Beʼ!» feci. «Autorevole non mi sembra esatto...».
Ma lʼuomo che da ventʼanni viveva «a respiro» non mi lasciò respirare.
«Lo so!» mʼinterruppe. «Dire autorevole è poco! Mi scusi! In certe situazioni, è difficile trovare la parola giusta! Comunque, corra subito qua da me! Vedrà... Sentirà... Capirà... Si convincerà...».
«Va bene!» lo interruppi a mia volta. «Però, prima di muovermi, vorrei saperne qualcosa di più. Magari un accenno...».
«È stato un comune conoscente, a farmi il suo nome. Un tipo in gamba, del quale, ora come ora, mi sfugge il nome. Dice che lei è il miglior orgiologo che ci sia sulla piazza. Senza discussione!».
«Il migliore cosa?».
«Or-gio-lo-go! Esperto in orge, crapule, bagordi, gozzoviglie e roba del genere. Lʼunico che può aggiustarmi quelle stramaledette “Notti di Nerone” mettendoci dentro, qua e là, un poʼ di ammucchiate spettacolari. Mi spiego? Naturalmente, senza andarci a scornare contro la censura! Quei sozzoni!».
Lui aveva bisogno di orge. Io avevo bisogno di soldi. Dirgli che non mi ero mai sognato di essere un orgiologo, e neppure un modesto bagordista, mi sembrava più una pignoleria che un atto di onestà professionale.
«Bene!» dissi. «Vedremo cosa si può fare».
Esalò una specie di benedizione e mi raccomandò di passare da lui in giornata. Al massimo, lʼindomani.
«Se lo gradisce», concluse «sono pronto a versarle un anticipo!».
Lo gradivo.