Capitolo XLIV
Tre giorni dopo, Bubù firmò un contrattino piuttosto vago, compilato da Vladimir Bianchi in modo da lasciare molta elasticità nei reciproci rapporti. Ma ormai, dopo aver abbassato le armi, Bubù era deciso ad andate fino in fondo, e non guardava tanto per il sottile. Lui era fatto così! À la guerre comme à la guerre! O fuori o dentro. Infatti, quando la produzione, tornando sulla decisione del signor Feng, decise di affidare la parte del centurione Tersilio a uno stagionato caratterista di Velletri, certo John Ciucciarelli, Bubù mandò giù il rospo, sforzandosi di sembrare indifferente. E accettò la parte, meno brillante, del decurione Flamino. In un secondo tempo, Bianchi fece sapere che forse sarebbe stato meglio far fare Flaminio a un tale Morbiducci, mentre Bubù, data la sua struttura atletica, poteva figurare splendidamente nel personaggio di Rustico. Un «retiario» (gladiatore con rete) che nella seconda metà del film si metteva in evidenza con un magnifico gesto di ribellione. Proprio al centro del Colosseo.
Bubù, che dal giorno della sua resa mi sbirciava piuttosto imbarazzato, accettò i vari cambiamenti, limitandosi a oscuri soliloqui nel bagno. E tenne dignitosamente il colpo, anche quando Bianchi lo informò che la parte di Rustico, per via di un contratto preesistente, era stata passata a un ex peso massimo di Frosinone, di nome Stufaroli. Quanto a lui, Bubù, sarebbe stato Prosdocimo Attico. Un altro gladiatore, forse un poʼ meno in vista, ma che poteva riuscire senzʼaltro sensazionale, sganasciando una leonessa con la sola forza delle mani. Niente paura per la leonessa. Al momento buono, si sarebbe ridotta a una sola pelle con testa impagliata. Come certi tappeti venuti di moda al tempo dellʼimpresa etiopica.
Arrivò finalmente il primo giorno di lavorazione. Il regista, che per combinazione era il nostro vecchio amico Geo Pasquali, decise di attaccare dalla sequenza finale. Approfittando del bel tempo. Si trattava di un grosso esterno notturno, nel quale venivano cosparsi di resina e bruciati vivi, a semplice scopo dʼilluminazione, duecento cristiani crocifissi lungo lʼAppia Antica. Era una scena impegnativa (anche se i cristiani erano stati ridotti a una cinquantina), nella quale Bubù, nei panni di Prosdocimo, doveva subito figurare. Costretto, suo malgrado, dai pretoriani di Tigellino, a dare una mano nelle crocifissioni. Finché, a un certo punto, il muscoloso gladiatore si ribellava agli sgherri di Nerone, ne accoppava tre o quattro a cazzotti in testa, nonostante gli elmi, e alla fine soccombeva, schiumante, al numero. Una sequenza abbastanza emozionante, tutto sommato.
Preparandosi a raggiungere lʼAppia, nel tardo pomeriggio, Bubù appariva evidentemente emozionato. Non soltanto per il debutto davanti alla macchina da presa, ma anche per un motivo più intimo. Una volta conosciuta la data dʼinizio delle riprese, lo avevo convinto, non senza fatica, a far venire giù Justine.
«Mi sembra che sia regolare!» gli avevo detto, a più riprese. «A parte il fatto che le hai promesso di chiamarla, appena avessi concluso qualcosa, non puoi toglierle la soddisfazione di assistere alle riprese, dalla posizione privilegiata di moglie di un attore. Ho ragione, sì o no?».
Bubù faceva il muso, cacciando avanti il labbro inferiore. Finalmente, dài e dài, cominciò a tentennare. Solo due giorni prima dellʼesterno sullʼAppia, si decise a telefonare a Justine.
«Alors! Pétite! Io non ne volevo sapere, ma Janò mi ha convinto a fare un gladiatore in una storia di Nerone... Oui! Gla-dia-teur! Non è il protagonista, ma in qualche modo bisogna bene cominciare! Nʼest-pas? Allora, io e Janò, abbiamo pensato che forse ti fa piacere venire giù, a vedere come me la cavo À la fin, non è una machine che capita tutti i giorni, vedere uno che comincia nel cinema! Sì o no?».
Justine accettò lʼinvito con entusiasmo. Solo che non poteva venire così, su due piedi come si trovava. Doveva fare qualche preparativo. Era o non era la moglie di un attore? Dandosi subito dʼattorno, le quarantottʼore che mancavano al primo giro di manovella erano appena sufficienti. Siccome le riprese sarebbero cominciate, più o meno, alle 22, contava di prendere il rapido delle 14, per essere a Roma alle 20 e minuti, La cosa, comunque, era combinata.
Ecco il motivo principale, per cui Bubù, quel pomeriggio, avvicinandosi lʼora delle riprese sullʼAppia, non riusciva a nascondere la sua profonda emozione. Per quanto cercasse di fare il «durastre». Andava e veniva dal bagno allo specchio dellʼarmadio. Cercava di fischiettare, riuscendo soltanto ad emettere soffi vagamente modulati. Se la prendeva col dentifricio, coi pettini e col suo profumo preferito, «Smog de Paris», che gli sembrava improvvisamente dolciastro e insignificante. Poiché doveva trovarsi «in lavorazione», puntualmente, alle 20, avevamo stabilito che alla stazione, a prendere Justine, ci sarei andato io. Lʼavrei accompagnata alla pensione, per darsi una rinfrescata, quindi lʼavrei portata allʼAppia Antica, in tempo utile per assistere al «ciak» iniziale.
Esibendo alla signora Tommasoni (i cui occhi segnavano già una sessantina di mila lire) il postdatato ricevuto dal Bianchi, riuscii ad ottenere i due deca necessari a sbloccare la decapotabile rossa, rimasta dal garagista in conto benzina. Era indispensabile che Bubù si presentasse alla «troupe» come un tipo che non ha soltanto le scarpe per marciare. Altrimenti, in un ambiente venale come quello di Roma, uno parte col piede sbagliato. Nʼest pas?
Alle 19,30, nellʼaria turchina, Bubù, lisciato e olezzante, partì alla volta dellʼAppia. Dieci minuti dopo, in taxi, io scivolai verso la stazione Termini. Vi giunsi, fra gli intoppi dellʼora di punta, che il rapido di Milano era già arrivato da alcuni minuti. Justine, bionda e sorridente, era già lì ad aspettarmi. Ferma, alla testata del 6° binario, fra una valigia di coccodrillo e una cappelliera di cinz. Indossava un abito a giacca, guarnito di lontra, che odorava ancora di sartoria.