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Quella richiesta disorientò Roland. Meredyth lo fissava con uno sguardo implorante. Per motivi a lui ignoti, avvertì un insolito, insondabile bisogno di proteggerla.

«Vi prego, milord, non facciamo capire che fra noi ci sono dei dissapori» ribadì Meredyth con insistenza.

Roland non ebbe il tempo di considerare la propria reazione alla richiesta della moglie, perché i suoi occhi incontrarono lo sguardo duro e ostile di Sir Giles e preferì perciò concentrare la propria attenzione su quell’uomo. L’irascibile cavaliere lo metteva meno a disagio delle strane emozioni che Meredyth aveva il potere di risvegliare in lui. Ricambiò l’occhiataccia dell’altro con uno sguardo beffardo, che irritò ancora di più Sir Giles.

«Che ne dite?» lo incalzò Meredyth, richiamando la sua attenzione.

Roland inarcò le sopracciglia. Dopo il modo in cui la moglie si era comportata, l’orgoglio gli consigliava di rifiutare. Ma qualcosa dentro di lui gl’impedì di farlo.

«Sì. Farò quello che mi chiedete» accondiscese, rendendosi conto del motivo che lo spingeva ad accettare quella richiesta.

Era l’opportunità di esigere riparazione per tutte le volte che lei lo aveva respinto. Se Meredyth voleva che recitasse la parte del marito innamorato, lo avrebbe fatto con piacere, decise, ma non per il desiderio di proteggerla che aveva avvertito poco prima.

Roland sorrise, convinto che in seguito Meredyth si sarebbe pentita di avergli chiesto quel favore.

Roland St. Sebastian aveva un’aria troppo soddisfatta, pensò Meredyth con diffidenza. Mentre guardava quegli occhi blu che sembrava vedessero e sapessero tutto e quei denti candidi che risaltavano nel viso scurito dal sole, ebbe il sospetto di essersi alleata con qualcuno molto più pericoloso per la sua tranquillità di quanto lo fossero sua sorella e Sir Giles.

Ma non poteva più tirarsi indietro. Avrebbe recitato la parte che aveva deciso di sostenere, ma solo finché fossero rimasti in compagnia di Giles e di Celeste. Poi avrebbe messo bene in chiaro che niente era cambiato fra lei e quell’insensibile bruto che era il marito.

Meredyth preferì ignorare la considerazione che, se fosse stato così insensibile come lei pensava, non avrebbe accondisceso a esaudire la sua richiesta. Lo sguardo sornione del marito era una prova che aveva accettato per qualche recondita ragione personale.

Poi non ebbe più tempo di pensare quale potesse essere questa ragione perché Roland la guidò verso il gruppo fermo dall’altra parte della strada.

«Buona giornata!» salutò lui una volta che li ebbero raggiunti.

Celeste si volse e quando vide Meredyth alzò distrattamente una mano per salutarla, guardando ansiosamente Sir Giles per spiare la sua reazione ai nuovi venuti.

Vedendo che il cavaliere non le badava, Meredyth non poté frenare un moto di affetto e comprensione per la sorella. Celeste si era innamorata dell’unico uomo che non sarebbe mai caduto ai suoi piedi. Forse era proprio per questo che era tanto infatuata di lui?

«Come state, Lord Kirkland?» chiese Giles a Roland con un tono così duro e sprezzante che Meredyth ne rimase colpita.

Con sua sorpresa, Roland allungò un braccio e l’attirò verso di sé. Meredyth sollevò gli occhi e fu ancora più stupita quando incontrò lo sguardo caldo e quasi adorante del marito. Il cuore le vibrò nel petto come la corda pizzicata di un liuto. Ma subito si ricordò del loro accordo. Lui aveva accettato di fingere che fra loro tutto filasse a meraviglia.

«Sto bene, molto bene. La vita matrimoniale mi giova molto» rispose Roland, prendendo la mano di Meredyth e facendole appoggiare le dita tremanti sopra il giustacuore di velluto nero che indossava.

Avvertendo sotto le dita il calore del petto del marito anche attraverso il pesante tessuto, lei inghiottì nervosamente, cercando di pensare a qualcosa, qualsiasi cosa che non fossero le sensazioni che St. Sebastian provocava in lei.

La sorta di grugnito che emise Sir Giles a quella vista attirò la sua attenzione. La contrarietà del cavaliere la stupì. Non poteva immaginarne il motivo. Da anni Sir Giles era il braccio destro di suo padre e lo aveva aiutato a combattere contro gli uomini di Roland. Ma non aveva mai dimostrato un particolare interesse per lei. Meredyth non credeva che il suo matrimonio con Roland lo avesse indispettito. Anzi. Giles doveva essere contento che la faida fra le due famiglie fosse terminata.

Pur presa da questi pensieri, Meredyth continuò ad avvertire acutamente la vicinanza di Roland. Quando lui le rivolse un altro sguardo rapito, si sentì perduta.

«E voi come state, Sir Giles?» domandò Roland all’altro cavaliere.

Giles guardò Celeste con occhi privi di calore.

«Siamo venuti a fare provviste per il castello. Lady Celeste... ha deciso di allontanarsi dal punto che avevamo scelto per fermarci a mangiare.»

Meredyth notò che la sorella era nervosa e stringeva convulsamente i lembi del mantello con le mani.

«Vi ho chiesto scusa, Gi... Sir Giles. Io stavo... dovevo...» farfugliò Celeste. Poi s’interruppe e sollevò gli occhi verso il cavaliere, che si limitò a fissarla attraverso le palpebre socchiuse. «Meredyth, vuoi mangiare con noi?» si volse poi a chiedere alla sorella con espressione implorante, quasi volesse cercare conforto per l’indifferenza del suo amato.

Le vecchie abitudini erano dure a morire e Meredyth provò un moto di protezione verso la sorella. «Sì, Celeste, sarò lieta di dividere il pane con te. Naturalmente se mio marito è d’accordo» si affrettò a soggiungere, ricordando che Roland s’infuriava se prendeva decisioni senza consultarlo.

Con sollievo, vide che lui annuiva. «Sì, sono d’accordo.»

«Nostro padre è qui?» domandò Meredyth, sperando d’incontrare anche il genitore. Amava suo padre e le era mancato molto, anche se Hugh Chalmers non sembrava affatto tenere a lei.

«Nostro padre non è potuto venire» rispose Celeste scuotendo mestamente il capo. «È rimasto a casa a occuparsi del castello. Io non posso farlo, lo sai. Io... nessuno di noi si era mai reso conto di tutto quello che facevi tu.» Si strinse nelle spalle e atteggiò la bella bocca a un piccolo broncio di noncuranza. «Ma tu sei sempre stata portata per questo e non ti è mai costato fatica.»

Meredyth avvertì una punta di amarezza e di risentimento. I compiti che si era accollata erano stati difficili e pesanti per lei come per qualsiasi altro, soprattutto perché aveva dovuto assumerli fin dall’adolescenza. Ma aveva imparato a svolgerli perché era necessario.

Non era il momento di recriminare sul passato, decise. Era invece intenzionata a sapere perché il padre avesse permesso a Celeste di lasciare il castello in compagnia dell’uomo che le aveva rubato l’innocenza. Anche se era sicura che il Barone di Penacre fosse all’oscuro dell’accaduto, non era tranquilla.

«E chi ti ha accompagnato?»

Celeste avvampò, sbirciando verso Sir Giles, che rispose per lei.

«Lord Penacre mi ha chiesto di accompagnare Lady Celeste al mercato» disse guardando Meredyth con aria di scherno. «Sono perfettamente in grado di proteggere l’incolumità di vostra sorella. Finché è affidata a me, non le accadrà niente di male.»

«Spero sia vero, Sir Giles» obiettò Meredyth con tono di vaga perplessità.

«Potete esserne certa» la rassicurò il cavaliere, visibilmente stupito del sottinteso avvertimento che contenevano quelle parole.

Quando distolse gli occhi da Sir Giles, Meredyth si accorse che Roland la fissava con aria interrogativa, ma finse indifferenza. Si era già tradita troppo, si ammonì, imponendosi di controllare meglio l’antipatia che provava per l’aiutante di suo padre.

Il segreto di Celeste sarebbe rimasto segreto.

Alla fine raggiunsero il punto dove il piccolo corteo di Penacre si era accampato.

Una grande tenda gialla con allegri stendardi gialli e verdi che sventolavano alla leggera brezza era stata piantata al centro di una radura all’estremità nord della città. Nelle rare occasioni che in passato Meredyth aveva avuto di recarsi al mercato, aveva consumato i pasti sotto quella tenda. Penacre non era molto distante da Kingsbridge e non era necessario pernottare in città.

Sopra un lungo tavolo sostenuto da trespoli c’era un ricco assortimento di piatti freddi, formaggio, pane bianco e vino. Sir Giles fece gli onori di casa, ordinando ad alcuni servitori di portare un’altra panca per gli ospiti.

Era strano essere considerata un’ospite sotto la tenda di suo padre, pensò Meredyth. Ma sapeva che era la verità. Il matrimonio con Roland aveva cambiato la sua vita, la sua posizione, le sue responsabilità e le sue solidarietà.

Roland era suo marito, il suo signore e il suo protettore. Adesso dipendeva completamente da lui, dalla sua scelta di tenere fede agli impegni che aveva assunto nei suoi confronti.

Meredyth fu distolta da quelle riflessioni dal suono di una voce familiare. «L’avete trovata.» Orin stava sull’ingresso della tenda e guardava Celeste con espressione sollevata.

Meredyth non si stupì di vedere il giovane: Orin seguiva sempre i movimenti di Sir Giles e di Celeste. Come al solito, quest’ultima prestò scarsa attenzione al ragazzo, né parve accorgersi del tono condiscendente che Orin assunse quando scorse gli ospiti. «Bene, bene, bene. Vedo che abbiamo visite. Che bella sorpresa.»

«Vieni a unirti a noi, Orin» lo invitò Sir Giles. «Tutto è pronto. Possiamo iniziare.»

Meredyth e Roland furono invitati a prendere posto di fronte a Giles e a Celeste. I cibi e i formaggi erano squisiti come sempre, ma Meredyth scoprì di avere scarso appetito. La vicinanza del marito seduto al suo fianco la turbava troppo.

Roland, da parte sua, continuò a farla oggetto di tenere attenzioni. Non c’era niente di male in tutto questo, dal momento che era stata lei a chiederglielo. Tuttavia Meredyth non riuscì a spiegarsi perché il suo cuore avesse accelerato i battiti quando il marito le fece scorrere una mano calda lungo la schiena e le pressò una gamba muscolosa contro la sua.

Lei cercò d’ignorare tutto questo, concentrando l’attenzione sugli altri commensali. Perduta nei propri gravi pensieri, Celeste piluccava quello che aveva davanti, ascoltando distrattamente i complimenti di Orin, il quale faceva invece onore alle vivande.

Meredyth spostò gli occhi su Sir Giles, che non aveva nemmeno avuto la cortesia di sfilarsi i guanti. Quell’uomo era proprio maleducato, pensò. Del resto lo sapeva. Negli anni in cui era stato al servizio di suo padre a Penacre, aveva notato che Giles sembrava infischiarsene delle buone maniere.

Meredyth si strinse nelle spalle. Era Roland la causa della sua inquietudine, non la scortesia di Sir Giles.

Quando sollevò gli occhi verso l’uomo che la turbava tanto, si accorse che il marito stava osservando Sir Giles. In quell’istante, Giles guardò verso Roland, inarcando le sopracciglia con alterigia.

Roland si limitò a stringersi nelle spalle.

Sir Giles parve deluso, come se si aspettasse una reazione più violenta. Perché?, s’interrogò Meredyth. Ma non trovò la risposta.

Chissà dov’era stato Sir Giles prima di arrivare a Penacre? Se suo padre era a conoscenza di qualcosa su di lui, non ne aveva mai parlato con le figlie. Tuttavia Meredyth sapeva che Hugh Chalmers riponeva molta fiducia nell’accigliato cavaliere e di recente gli aveva affidato la sorveglianza di gran parte delle sue terre.

Giles poteva conoscere Roland solo come nemico di suo padre. Ma adesso la situazione era mutata. Perché continuava a nutrire tanto risentimento verso di lui?

Incapace di darsi una risposta, Meredyth si concentrò sul cibo che aveva davanti.

Pochi istanti più tardi, la sua attenzione venne però attirata da Orin. Il ragazzo fissava Roland con insistenza mentre sorbiva con lentezza un sorso di vino dalla coppa che teneva in mano. «Volete farci l’onore di cantare una canzone, Lady Celeste? Ci piacerebbe condividere con Lord Kirkland il tesoro della vostra voce, considerando il fatto che stavate per diventare sua moglie. È il meno che potete offrirgli, non credete?»

«Non ho rimpianti sull’esito del mio matrimonio» disse Roland con tono calmo e distaccato.

Meredyth ne fu meravigliata. Ma poi si ricordò che quella dichiarazione faceva parte della finzione che stavano recitando. Sbirciò verso Sir Giles. Il cavaliere non fece commenti, ma lei ebbe la sensazione che approvasse l’allusione maligna di Orin.

Celeste guardò Roland, poi Sir Giles. «Dovrei cantare?» chiese con incertezza.

«Sicuramente» rispose Giles annuendo significativamente.

Celeste si girò verso la sorella. «Vuoi accompagnarmi, Meredyth?»

«Sì, Meredyth» intervenne Roland. «Voglio godere il tesoro che ho ricevuto.» I suoi occhi erano colmi di calore, di ammirazione, e di sensuali promesse.

Meredyth sapeva che il marito stava recitando una parte, ciononostante avvertì un insolito bisogno di compiacerlo, di essere veramente il tesoro che lui aveva detto. Si alzò e si avvicinò alla sorella, mentre uno dei servitori le porgeva un liuto. Lei pizzicò una corda particolare e guardò la sorella, accordandosi silenziosamente con lei sulla tonalità da seguire.

Celeste trasse un profondo respiro e aprì la bocca. Un canto melodioso di rara bellezza e purezza sgorgò dalla sua gola, suscitando come sempre la meraviglia e l’ammirazione di Meredyth.

Poi fu il suo turno di cantare. Benché la sua voce fosse più bassa e meno pura, Meredyth la sapeva sfruttare con sapiente maestria. Il suo canto volteggiò come una nuvola di fumo attorno al suono cristallino del campanello di Celeste.

Roland rimase stupito, poi fu completamente catturato dal canto delle due sorelle. Orin aveva detto il vero. La voce di Celeste era bellissima. Ma analizzandola si rese conto che a quella voce, come all’intera persona di Celeste, nonostante la loro perfezione, mancava qualcosa. In quella voce non c’era passione, in quell’irraggiungibile bellezza non c’era vitalità.

Invece fu la voce di Meredyth a emozionarlo. Fu il visetto a forma di cuore della moglie ad attirare i suoi sguardi. La voce di Meredyth era bassa e un poco roca, e piena di una sensualità terrena, carnale, come era lei.

Quando Roland tornò a guardare Celeste, vide che i suoi occhi tormentati erano fissi su Giles.

Roland non era né cieco né sciocco e fu immediatamente assalito dal desiderio di sapere perché Meredyth avesse preso il posto della sorella per farsi sposare da lui.

Pur convinto che era stato un gesto incauto, poteva comprenderlo. Anche lui aveva amato suo fratello in quel modo e avrebbe fatto qualsiasi cosa per Geoffrey, come un gesto assurdo e ridicolo quale quello di sostituirsi a lui se glielo avesse chiesto.

Ovviamente Geoffrey non gli avrebbe mai chiesto niente del genere. Suo fratello aveva più senso dell’onore di Celeste Chalmers. Non c’erano dubbi. Roland temeva che la lealtà della moglie verso la sorella, pur degna di lode, fosse completamente inutile. Era chiaro che Celeste, soprattutto perché maggiore, non avrebbe dovuto pretendere un simile sacrificio da parte di Meredyth.

Con stupore, si sorprese a chiedersi se il destino non gli avesse fatto un altro, inaspettato favore.

Quel pensiero, per motivi misteriosi, lo turbò alquanto. Tornò a guardare la moglie, rimanendo incantato ad ammirare la delicata soavità del suo profilo mentre cantava. Una ondata di emozioni lo pervase. La voce di Meredyth sembrava fluire dentro di lui, permeare ogni fibra del suo essere fino a diventarne parte.

Quando la musica terminò, Roland si sentì inaspettatamente vuoto, come se lo avessero privato di qualcosa di vitale.

Fu in quell’istante che Meredyth sollevò gli occhi e lo guardò con una espressione di struggente desiderio che lo sorprese. Si fissarono a lungo, come se esistessero solo loro due, Roland e Meredyth. Lui avvertì una strana sensazione di costrizione al petto che gli mozzò il fiato.

Sembrava che un invisibile laccio li avesse uniti indissolubilmente in quel preciso momento.

Disorientato e confuso, Roland non si rese conto che qualcuno gli aveva rivolto la parola.

«Che ne dite, Lord Kirkland...?» gli stava chiedendo Sir Giles.

Roland chiuse gli occhi, inghiottendo nervosamente. Non sapeva che cosa fosse accaduto, ma sapeva che quella incredibile esperienza lo aveva cambiato. Aveva la sensazione che qualcosa dentro di lui si fosse ridestata dopo un lungo sonno.

«Allora, che dite?» ripeté Sir Giles.

Roland si scosse. «Di che cosa?»

«Non pensate che Lady Celeste abbia la voce più bella che abbiate mai sentito?»

«Sì, è perfetta» convenne Roland, guardando la sorella della moglie. «Dolcissima.» Poi si volse verso Meredyth, che stava in diparte con il liuto fra le mani e gli occhi bassi. «Meredyth, il vostro canto mi ha profondamente commosso» disse con tono così gentile che ne rimase sorpreso lui stesso.

Lei lo guardò con occhi incerti e colmi di speranza. «Davvero?» domandò, fissandolo come se gli altri non ci fossero.

Roland si alzò in piedi e le andò vicino. «Più di quanto possiate immaginare» le sussurrò.

Meredyth sorrise e tornò ad abbassare lo sguardo. «Vi ringrazio, milord.»

Quel tono di voce un poco ansioso e leggermente roco infiammò il sangue di Roland. D’un tratto provò il desiderio di portarla via di lì. Voleva rimanere solo con sua moglie. «Vi ringrazio dell’ospitalità, ma spero comprenderete che adesso Lady Meredyth e io dobbiamo congedarci» disse d’impulso, senza staccare gli occhi da quelli di lei.

Provò un moto d’insofferenza quando sentì una mano posarsi sul suo braccio e udì una voce che si rivolgeva a lui con tono implorante. «Milord.»

Roland si girò e si trovò accanto Celeste Chalmers. «Mi... lord, voi e Meredyth non volete accompagnarci? Anche noi dobbiamo ritornare al mercato» disse la fanciulla, lanciando una occhiata inquieta in direzione di Sir Giles.

«Non credo» rispose Roland, cercando di dissimulare l’irritazione che lo aveva assalito.

Celeste sbirciò di nuovo Sir Giles con nervosismo e a Roland non sfuggì lo sguardo contrariato del cavaliere. Non riusciva a immaginare che cosa ci fosse fra quei due. Giles era arrabbiato per qualcosa in particolare che riguardava Celeste, o era solo più arcigno e sgarbato del solito? Di qualunque cosa si trattasse, non voleva entrarci, né quel giorno né mai.

Celeste lo distolse da quei pensieri rivolgendosi a Meredyth. Era solo quella la ragione dell’interesse che la bella Celeste aveva mostrato verso la sorella dal momento in cui si erano incontrati?, si chiese con amarezza

«Meredyth, che dici? Pensi che possiamo convincere tuo marito? Vuoi venire con noi? Potresti essermi di grande aiuto. Sai che non sono brava a scegliere...»

Ecco qual era la verità. Celeste voleva che Meredyth l’aiutasse a sbrigare i suoi compiti.

Per un motivo sconosciuto, quella richiesta lo indispettì. «Non è possibile. Meredyth e io... abbiamo molti impegni che ci attendono. Vero, Meredyth?»

Lei annuì senza staccare gli occhi dai suoi. «Sì... è vero.»

Roland le passò un braccio attorno alle spalle, attirandola a sé. «Nel pomeriggio dobbiamo fare molte cose.» Fece una pausa, ripetendosi che quello che stava per aggiungere era solo a beneficio degli astanti. «E non vogliamo coricarci troppo tardi, vero mia diletta?»

Appena ebbe pronunciato quelle parole, Roland sperò che fosse la verità, che Meredyth e lui potessero veramente appartarsi da qualche parte a fare l’amore. Si rese conto che anche la moglie lo aveva compreso perché la vide avvampare.

Udendo quelle parole, Meredyth sentì il sangue scorrerle più forte nelle vene e un grande calore salirle al viso. Solo dopo qualche istante si ricordò che anch’esse facevano parte della finzione che avevano messo in atto per convincere sua sorella che fra loro regnava l’armonia più perfetta. Ma il marito era stato così bravo, l’aveva coperta di complimenti e attenzioni così squisiti che aveva faticato a rammentarsi che non era la verità.

Meredyth respirò profondamente per calmare il battito precipitoso del suo cuore, mentre si sforzava di dare ascolto a Celeste, che guardava Sir Giles con fare preoccupato.

«Che peccato» commentò il cavaliere con tono di forzata gentilezza sotto il quale si celava un fondo di amarezza. «Sono sicuro che a Lady Celeste avrebbe fatto piacere rimanere ancora un poco in compagnia di sua sorella.» Si volse verso Roland con espressione dura e soggiunse: «Ma alcune persone sono meno attaccate alla famiglia di altre. E voi siete fra quelli, vero Lord Kirkland?».

Quella sorta di accusa meravigliò Meredyth. Sembrava che Giles volesse deliberatamente offendere Roland. Perché?

«No, signore, non sono fra quelli» rispose lui con tono pacato. Troppo pacato. «Purtroppo non ho più una famiglia, ma vi assicuro che se mio padre o mio fratello Geoffrey fossero ancora in vita, potreste constatare quale accoglienza riserverei loro.»

Meredyth scorse un lampo gelido passare negli occhi di Giles prima che tornassero all’abituale indifferenza.

«Ma allora dovreste rinunciare a tutto quello che avete, Lord Roland» intervenne Orin. «Come secondogenito non avreste né titolo né terre. La morte di vostro padre e di vostro fratello è stata una fortuna per voi.»

«Questa opinione è discutibile» rispose Roland con espressione impenetrabile. «Non potete giudicare secondo i vostri punti di vista.»

«Bastardo» sibilò Orin contraendo la mascella e portando una mano all’elsa della spada che gli pendeva dalla cintura.

Roland stette a guardarlo impassibile. Ma quel controllo indispettì ancora di più Orin.

Meredyth si volse verso Sir Giles, sperando che facesse qualcosa per fermare quella disputa prima che degenerasse. Ma vide che il cavaliere assisteva alla scena con il solito arcigno distacco.

Fu invece Celeste che intervenne inaspettatamente. «Orin, Sir Giles, dobbiamo lasciar andare mia sorella e suo marito» disse, tormentando i lembi della mantellina di damasco azzurro.

Orin si placò immediatamente. «Qualsiasi cosa per voi, Lady Celeste.»

Lei annuì distrattamente. Poi lanciò un’occhiata implorante a Meredyth prima di tornare a volgersi verso Sir Giles mormorando: «Scusatemi, milord».

Lui inarcò le sopracciglia con aria di sufficienza.

Celeste non vedeva che a quell’arrogante non importava niente della sua devozione?, pensò Meredyth con malcelata impazienza. Se sperava che l’avrebbe sposata, si stava illudendo.

«Vi prego di accettare di nuovo i miei ringraziamenti per la vostra... ospitalità, ma ora dobbiamo andare» disse Roland con tono apertamente sarcastico. «Se volete scusarci.» Senza attendere una risposta, prese Meredyth per il braccio con gentile fermezza e la guidò fuori dalla tenda.

Quando si ritrovò all’aria aperta, Meredyth dovette riconoscere che era contenta di avere lasciato quella compagnia. Non aveva mai provato simpatia per Orin e sapeva che il ragazzo accusava Roland di essere la causa della cicatrice che gli deturpava la guancia, anche se ne ignorava il motivo. «Orin vi detesta. Dice che lo avete sfigurato.»

Roland annuì, stringendosi nelle spalle. «Sì, è vero. Ma è colpa sua. Per qualche tempo è stato a Kirkland e toccò a me insegnargli a maneggiare la spada. Lo avevo avvertito di non fare una certa mossa durante un attacco. Lui non mi diede retta. Così accadde l’inevitabile.»

Meredyth sapeva che il marito diceva la verità. Orin sembrava convinto di essere più bravo degli altri in tutto. Allungò una mano e l’appoggiò sul braccio di Roland, che in quel momento le era più vicino e familiare di tutte le persone con le quali era vissuta per tutta la vita. Non si chiese perché, ma la presenza forte e decisa del marito al suo fianco era rassicurante e le recava conforto come non aveva mai pensato potesse accadere.

Quando si furono allontanati dalla tenda di Penacre, Roland si girò a guardarla e disse: «Meredyth, è tempo che vostra sorella impari a essere indipendente. Mi sembra che finora sia stata troppo protetta da chi aveva vicino».

Roland aveva capito qualcosa?, si chiese Meredyth, notando lo sguardo eloquente del marito. Lui sapeva? Aveva intuito che Celeste e Giles erano stati amanti? O si stava solo riferendo alla richiesta della sorella di farsi accompagnare ad acquistare le provviste per Penacre?

Roland continuò a guardarla, ma lei non disse niente. Non poteva tradire Celeste. Però ebbe l’impressione di scorgere un velo di tristezza negli occhi del marito che la fissavano come se volessero penetrarle nell’anima. Fu una sensazione fugace perché Roland si affrettò a stringersi nelle spalle con la solita noncuranza e si volse dall’altra parte. Ma poi, inaspettatamente, dichiarò: «Meredyth, quello che ho fatto prima al mercato... non è stato giusto. Mi perdonate?».

Stupefatta, lei non poté fare altro che annuire. «Sì, vi perdono.»