Per due settimane, Emma si tenne aggrappata alla vita respingendo la vertigine che voleva inghiottirla in un buco nero. Se non fosse stato per Giulia, si sarebbe chiusa in camera da letto al buio e non si sarebbe più alzata. Era depressa. Lavorava come un automa. Alla presentazione del libro su Michelangelo si era rifiutata di partecipare. Non ce la faceva ad affrontare eventi sociali. Francesco c’era rimasto male. «È un po’ strano che proprio tu non ci sia» le aveva detto accigliato. «Lo so, ed è anche poco professionale, ma non mi reggo in piedi» ed era scoppiata a piangere. L’uomo aveva balbettato qualche frase confusa e consolatoria. Per fortuna l’evento era andato bene, e la sera, lui le aveva mandato un messaggio. Hai fatto un buon lavoro. La sala era piena. Grazie, ed Emma era di nuovo scoppiata a piangere. Piangeva continuamente. Per una gentilezza ricevuta, per un piccolo inciampo, se l’ascensore non funzionava, se non trovava il taxi, se veniva contraddetta. Persino Lucetta la trattava coi guanti di velluto pur non riuscendo ad astenersi dal farle delle raccomandazioni.
«Non permettergli di annullarti o peggio, di distruggerti.»
Persino Giulia era preoccupata per le condizioni della madre. Emma ignorava se poi la figlia raccontasse al padre della profonda depressione in cui era caduta. Non voleva apparire come una donna spezzata. Tanti anni prima, non ricordava esattamente quando, a Vienna, aveva detto a Pietro: «Se mi tradissi morirei di dolore». Invece, non era morta. Sparita sì. Non aveva voluto più sentirlo, sperando che il silenzio lo spaventasse e la cercasse. Invano, perché Pietro si era volatilizzato. Lei moriva di dolore e lui se ne fregava. Ripensava continuamente alla frase che le aveva detto in macchina sul belvedere del Gianicolo: «Speravo che fosse un’avventura senza conseguenze». Chissà quante volte Pietro l’aveva tradita. Doveva ritenersi fortunata se il loro matrimonio era durato tanto a lungo e se lui non si era innamorato durante una delle sue scappatelle.
Lei invece gli era stata fedele e di occasioni ne aveva avute. Ripensò al giovane libanese bello come un dio greco che l’aveva corteggiata durante il viaggio con le amiche a Beirut. Aveva appena compiuto cinquant’anni e il ragazzo le era sembrato un gerontofilo. Non riusciva a pensare che potesse desiderarla davvero. Lucetta la prendeva in giro, le dava della bacchettona, dicendo che al suo posto avrebbe ceduto subito. Invece lei, come un’idiota, lo aveva respinto. Già, perché sempre in quel pomeriggio magico a Vienna, mentre lei e il marito si giuravano fedeltà eterna, Pietro le aveva detto: «Invece se tu mi tradisci io non mi uccido. Ammazzo te». Era bello sentirsi minacciate per amore. Che orgoglio imbecille!
Ascoltando i drammi delle amiche, dei conoscenti, pensava: a me non capiterà. Io sono una donna diversa. Si riteneva un essere superiore e, per la proprietà transitiva, pure Pietro lo era e non si sarebbe mai abbassato a un tradimento così banale, con una ragazza che poteva essere sua figlia. Emma era consapevole che prima o poi avrebbero dovuto incontrarsi, parlare, ma il pensiero di sentire la sua voce le dava la nausea. Le faceva schifo. I giorni, le settimane passavano ma la sua furia rimaneva intatta. Avrebbe potuto ucciderlo.
In quel momento il cellulare le annunciò l’arrivo di un WhatsApp di Laura, un’amica venezuelana. Era la fotografia di una donna vecchissima e sorridente. La didascalia diceva: Ho 109 anni e vi spiego il segreto della mia longevità: evito gli uomini! Rispose con l’emoticon della faccetta ridente e decise di reagire. Incominciando dal suo aspetto fisico, perché un evento banale, si disse, può cambiare centinaia di eventi futuri.
Chiamò il parrucchiere. Marco si occupava di lei da quindici anni, l’aveva pettinata per matrimoni, battesimi, funerali, cocktail. Tagliava i capelli anche a Giulia e a Pietro. Prese appuntamento per il primo pomeriggio. Gli annunciò che voleva cambiare. Niente fa più piacere a un parrucchiere quanto sentirsi dire: fai tu, taglia, colora, rendimi una donna diversa.
Il salone era pieno, Emma sedette sul divanetto e si immerse in “Vanity Fair”, l’unico settimanale che parlasse di persone non perfettamente a lei ignote, come tronisti e veline. Il suo disagio era talmente evidente che Marco la pregò di scendere in cabina dove la raggiunse.
«Hai un aspetto spaventoso Emma, cosa è successo?»
«Sono qui proprio perché tu possa rimediare. Pietro si è innamorato di una ragazza e mi ha lasciata.» Per la prima volta riuscì a non piangere.
«Ma l’ho visto ieri! È venuto a tagliarsi i capelli. Non mi ha detto niente, ora che ci penso, era un po’ cupo e aveva fretta.»
«Ti rendi conto? Invade i miei campi senza porsi alcun problema. Avremmo potuto incontrarci.»
«Quando gli ho chiesto di te, in effetti è stato evasivo.»
«Se torna e ti porta la sua fidanzata, giurami di cacciarla!»
«Emma, non posso, ma ti prometto che le sbaglio il taglio. La faccio uscire dal negozio un cesso!»
Risero insieme.
La trasformazione operata da Marco fu radicale. Le tagliò i capelli molto corti, la colorò di un castano chiarissimo che illuminò con dei colpi di sole color miele. Diceva Proust: “I grandi dolori delle donne si concludono sempre con la prova di un abito”, ma Emma riteneva che bisognasse partire dai capelli e poi pensare ai vestiti.
Uscita dal parrucchiere, attraversò il Ponte Cavour e fece un giro in centro. Da quanto tempo non guardava le vetrine? Non lo ricordava. Entrò da Max Mara dove comprò un cappotto nero e una gonna rossa di taffetà con un volant sul davanti. Da Prada, si innamorò di una borsa ma non osò prenderla. Quando rientrò a casa in taxi aveva tre pacchi, il terzo della Perla perché aveva rinnovato pure la biancheria. Li lasciò cadere all’ingresso e corse a stendersi sul divano esausta. Che acquisti idioti! Ho buttato i soldi, anche se sono di Pietro. Quando mai avrò la voglia e l’occasione di indossare una gonna rossa, la coulotte e la canotta in seta e pizzo? Sperava che possedere quei capi nell’armadio le avrebbe dato sicurezza per il suo futuro di donna sola.
Sentì entrare Giulia e si ricompose preparandosi all’impatto. Con lei non sapeva mai come sarebbe andata.
«Mamma, sei proprio tu?» chiese la figlia sorpresa.
«Che ti pare? Avevo voglia di cambiare.»
«Stai benissimo, sembri un’altra.»
«Lo dici per tirarmi su?»
«Assolutamente no. Marco ha fatto un ottimo lavoro.» Le si avvicinò guardandola concentrata. Le sfiorò i capelli. «Stai bene più chiara e il taglio mette in risalto i tuoi occhi. Sembrano blu.»
«Credo che per cambiare il colore degli occhi sia necessario lavorare sulle cellule.»
Risero entrambe. Ma durò poco. Giulia cominciò a inanellare una ciocca di capelli. Segno che era tesa.
«Che c’è bimba?»
«Stasera vedo papà» disse nascondendo a malapena l’imbarazzo.
«È giusto.»
«Vuoi dire che non ti dispiace?»
«Sarei una demente se mi dispiacesse. È tuo padre. Tra voi non è cambiato nulla. Né mai cambierà. Il vostro legame è indipendente da quanto accade tra me e lui.»
«Ma ti avevo detto che lo odiavo…»
«E io non ci ho creduto.»
«Non ero sicura di dirtelo, non sapevo come avresti reagito.»
Emma le prese la mano e le sorrise. «Devi avere più fiducia in me. Io sono arrabbiatissima con tuo padre, non so se riuscirò mai a perdonarlo, ma è una cosa tra me e lui che non deve incidere sul vostro rapporto. Né sul nostro.» La voce le si incrinò.
«Mamma, hai fatto bene ad andare dal parrucchiere. Ma dovresti curare la psiche più che il corpo. Ti sento la notte vagare tra la cucina e la camera da letto. Non dormi, piangi sempre.»
«Adesso non sto piangendo.»
«Devi chiedere aiuto a un professionista. Avresti bisogno di uno strizzacervelli.»
«Sto tanto male?»
«Sì, e lo sai benissimo.»
Gli occhi di Emma si riempirono di lacrime. «Ci penserò» riuscì a dire, perché un groppo in gola le impedì di proseguire.
«Perché stai sempre chiusa in casa? Esci. Vai a cena fuori, al cinema con un’amica. Reagisci. Non stare qui a struggerti.»
«Un passo per volta. Oggi il parrucchiere, domani magari il cinema. Dammi tempo.»
«Sì, ma non troppo. Non ne hai molto a disposizione.» Sorrise per alleggerire la pesantezza della sua frase.
«Hai ragione. Adesso va’ a prepararti.»
«Non ho molto da prepararmi. Verrà papà a prendermi fra mezz’ora sotto casa.»
Emma sentì una lama affilata trafiggerla. Pietro sarebbe tornato a casa rimanendo giù perché gli era interdetto salire. Come si era arrivati a tanto? Si alzò, diede un bacio alla figlia, si chiuse in camera, si gettò sul letto e chiuse gli occhi. Quando sentì Giulia salutarla a distanza, aspettò un istante e poi si avvicinò alla finestra e dietro le tende sbirciò in strada. La macchina di Pietro era ferma in seconda fila con i fari accesi. Vide la figlia uscire dal portone e avviarsi con passo svelto verso l’auto. Al buio non vedeva il suo viso ma era certa che sorridesse. Si sentì schiacciata dalla tristezza, le gambe pesanti, inchiodate al pavimento. La vide entrare, immaginò che padre e figlia si abbracciassero e si baciassero. Poi Pietro mise in moto e partì. Seguì l’auto per qualche decina di metri, vide le luci dei freni accendersi prima di sparire dietro una curva.
Il nuovo taglio di capelli non migliorò l’umore di Emma, almeno non quanto aveva sperato. Continuava a sentirsi depressa. Non riusciva a radicare nel cervello il concetto che Pietro non l’amasse più. Cercava di non cadere nel gorgo del rimpianto, ma spesso soccombeva. La sparizione del marito la feriva, perché il silenzio è tra le persecuzioni più crudeli. Continuava a ripetersi che la relazione con Culo Sorridente si alimentava di novità e dunque il tempo giocava contro la rivale. Presto o tardi, Pietro sarebbe tornato da lei. Durante le notti insonni fantasticava su come sarebbe stato il loro incontro. La fantasia più gratificante l’aveva rubata a un film di cui nemmeno ricordava il titolo. La moglie abbandonata aveva finalmente ritrovato l’equilibrio ed era immersa in una vasca da bagno circondata dalle candele, quando l’ex marito ubriaco sfondava con l’auto la porta della loro casa di campagna supplicandola di tornare insieme, e lei lo respingeva. Emma non aveva nessuna voglia di riprendersi Pietro, eppure si privava del sonno per correre dietro a quelle stupide fantasticherie. Forse doveva davvero rivolgersi a un terapeuta.
Per fortuna il lavoro la teneva occupata. C’era da organizzare per l’otto dicembre la presentazione dell’ultimo libro del grande chef francese Charles de Vignancourt, La mia cucina a tre stelle. Tutti in libreria erano agitati. Filippo, il giovane barista aspirante chef, non stava nella pelle all’idea di vedere da vicino uno dei suoi miti. Per la verità, pure Carla, la commessa, era in fibrillazione perché de Vignancourt era un gran figo. Emma era piuttosto indifferente. Trovava insopportabili i programmi che parlavano di ricette e impiattamenti. La buona cucina però non la disprezzava, lei stessa era una discreta cuoca. Sosteneva che anche per fare un’omelette bisognava metterci il cuore, ma non amava i piatti troppo elaborati perché le procuravano la gastrite. Tuttavia l’evento si annunciava mondanissimo. L’ufficio stampa della casa editrice aveva spiegato a Emma che, essendo vicino il Natale, a fine presentazione il maestro avrebbe offerto agli ospiti una mousse di panettone al cioccolato con lamelle di cioccolato al peperoncino. Tutto da preparare nella minicucina della libreria. Filippo era sbiancato alla notizia. Il leggendario cattivo carattere del maestro lo terrorizzava. Francesco ci mise due giorni per calmarlo e fargli capire che a lui, de Vignancourt, non avrebbe fatto toccare nemmeno un tovagliolino. Portava da Mantova i suoi sous-chef che avrebbero preparato quella leccornia durante la presentazione. Il catering, insomma, veniva direttamente da Mantova, compresi ingredienti, padelle, coppette e cucchiaini. La libreria doveva soltanto fornire il gas per accendere il fuoco. Sarebbe stato l’evento più trendy del mese. Per Emma mai lavoro era stato più facile. Le accadeva raramente di non dovere pregare i giornalisti e i fotografi di partecipare.
«Verrà moltissima gente, e chi non riuscirà a entrare in libreria starà sul marciapiede; scommetto che vorranno tutti assaggiare la mousse» disse Francesco soddisfatto.
«Ma farà un freddo cane.»
«No, se affitti due funghi.»
«Il Comune potrebbe multarci per occupazione di suolo pubblico.»
«Il Comune?» Francesco rise e il suo volto sempre serio trasfigurò. «Pensi che il Comune che non copre le buche si accorga se per un pomeriggio mettiamo due stufe?»
«Basta un solo vigile e siamo fregati.»
«Saranno impegnati a controllare i parcheggi in seconda fila. L’otto dicembre inizia lo shopping natalizio. Comunque, se si presenta un vigile, lo corromperemo con la mousse. Sono sicuro che funzionerà. Forse dovremmo assumere un buttafuori, qui ci sarà il delirio.»
«E non sei contento?»
«Sì, ma anche preoccupato. De Vignancourt è una star internazionale.»
«È una star perché va in televisione. Non so quanti abbiano provato la sua cucina. Non tutti possono permettersi di spendere duecento euro per una cena. E poi è bello… Quando vedevo la pubblicità in cui usciva a torso nudo dalla doccia in una nuvola di vapore, un pensierino lo facevo pure io.»
«Ti sembra tanto bello?»
«In questo momento non sono dell’umore giusto per parlare di certi argomenti, soprattutto con te, non siamo in confidenza, ma è decisamente sexy e ha uno sguardo assassino.»
«Dicono che abbia un pessimo carattere.»
«Mica dobbiamo sposarcelo. Tempo fa ho visto una sua intervista in televisione ed era spiritoso e gentile. Ha quell’accento francese che ricorda l’ispettore Clouseau.»
«Tanto gentile che tira i piatti in faccia agli aspiranti chef.»
«Quello fa parte del personaggio. Sono tanti a farlo. Hai mai visto Hell’s Kitchen? Secondo me de Vignancourt deve essere cattivo per contratto. Certamente è un uomo severo perché chiede il meglio ai suoi ed è un perfezionista.»
«Intanto gli hanno tolto una stella Michelin.»
«Ma non è vero! Mi sembra di capire che proprio non ti piaccia. Allora spiegami perché hai accettato di offrirgli la tua libreria.»
«Il lavoro è lavoro, e poi me l’ha chiesto la casa editrice. Certo non mi sono proposto io. E comunque è vero, non mi è simpatico, è un piacione presuntuoso.»
«Lo conosci?»
«No, ma si sa che è scontroso e ruvido.»
«Come te.»
Un’ombra di disappunto scurì il bel volto di Francesco. «Io non sono scontroso.»
«Un po’ruvido sì.»
«Mi spiace Emma. Ho un carattere introverso ma non significa che non provi sentimenti.»
«Questo l’ho capito. Prima mi sei sembrato piuttosto competitivo col fascinoso chef stellato.» Gli sorrise. «Forse sarà davvero il caso che mi metta a cercare un buttafuori per l’otto dicembre.»
«Oppure puoi scrivere sull’invito: “Entrata libera fino a esaurimento posti”.»
«Obbedisco.»
I preparativi dell’evento assorbirono Emma per tutta la settimana. Soltanto la sera, quando tornava a casa veniva sopraffatta dai pensieri. Sempre gli stessi. Per uscire dalle sue ossessioni, accettò di andare con Anna a una festa di compleanno di una comune amica, dove sapeva di incontrare un po’ di gente che conosceva.
«Devi smettere di comportarti come se volessi nascondere un segreto vergognoso» l’aveva rimproverata Anna.
Per il suo debutto da single, decise di inaugurare la gonna rossa nuova ma per non sembrare una donna a caccia, rovinò l’effetto mettendoci sopra un cachemire nero troppo largo che le nascondeva il bel corpo. Si truccò però con diligenza. Quando entrò nell’auto di Anna, l’amica la accolse con un fischio di ammirazione.
«Era ora! Stai benissimo. Il taglio regge ancora.»
«Ti credo, sono fresca di parrucchiere!»
Anna mise in moto e partì. Guidava lentamente. Era una donna prudente, non abituata ai colpi di testa, di una razionalità invidiabile e di un’intelligenza profonda. Per questo Emma si fidava di lei e quella sera si affidava a lei.
«Anche tu stai molto bene» disse guardando ammirata la disinvoltura con cui l’amica guidava con un paio di scarpe tacco dodici.
«Sono contenta di averti tirata fuori dalla tana.»
«Ma tu stammi vicina. Sono negata per lo small talk.»
«Non sei negata, ma riesci a far capire subito che la persona non ti interessa. Quindi ti prego, stasera fai uno sforzo e togliti dalla faccia l’espressione “che ci faccio io qui”.»
«Farò del mio meglio.»
Per la prima ora, Emma fece davvero del suo meglio. Salutò le poche persone che conosceva, scortata da Anna. Quando entrò Romana Petri, Emma si sentì pronta a liberarsi della stampella e andò incontro alla scrittrice. Le era molto simpatica. Aveva letto tutti i suoi romanzi, ammirava la sua capacita di commuovere e far ridere. L’ultimo libro l’aveva presentato alla libreria di Francesco e c’era stato il pienone. La Petri alla fine l’aveva ringraziata, come se fosse stato merito di Emma. Aveva il fisico di un’adolescente, andava in palestra quattro giorni a settimana e faceva la boxe. In un corpo femminile viveva un maschiaccio. Si abbracciarono. Tutte le volte che si incontravano scattava tra loro una scintilla di simpatia, si promettevano di vedersi e poi si perdevano di vista.
«Siamo due cialtrone» esordì Emma.
«Hai ragione, ma io mi sono chiusa in casa perché dovevo consegnare un libro.»
«Un altro? Ma ne scrivi uno all’anno?»
«Da quando mi sono separata da mio marito il tempo mi va largo e lo riempio scrivendo.»
«Ti sei separata?»
«Sì.»
«Mi spiace, eravate una così bella coppia.»
«Quando finisce un matrimonio è sempre un fallimento.»
«Non lo dire a me.»
«Perché, pure tu?»
«Sì, anche se non mi decido a mettere le carte in mano all’avvocato. Mio marito è andato via di casa da sette settimane.» Ecco, lo aveva detto e non era stato poi così terribile.
«Vedo che tieni un’attenta contabilità dei giorni. Non è un buon segno…»
«No, ma ce la sto mettendo tutta per andare avanti. Questo è il mio debutto in società.»
«Il problema è che alla nostra età non è facile innamorarsi ancora.»
«Perché tu pensi di poterti innamorare di nuovo?»
«Non smetterò mai di pensarlo, pur non avendo nessuna voglia di guardarmi intorno. Il problema è che con gli anni si diventa sempre più esigenti.»
Chiacchierarono a lungo in modo confidenziale. È incredibile come certe donne siano capaci di raccontarsi con onestà. Poi Romana venne rapita da un signore sconosciuto ed Emma si ritrovò sola.
Prese al volo un calice di vino che un cameriere in giacca bianca le porgeva da un vassoio e andò a sedersi su una poltrona. Un uomo attraente si diresse verso di lei sorridendo, lei ricambiò ma poi lui la superò. Emma girò la testa e vide una giovane donna che lo aspettava appoggiata a una libreria. Vuotò il bicchiere e sentendosi molto infelice andò a cercarne un altro. Venne intercettata da un anziano giornalista di cui non ricordava il nome, incontrato in diverse occasioni senza che lasciasse traccia nella sua memoria. Le attaccò un bottone sulla scortesia del capo delle pagine culturali del giornale al quale collaborava, che non soltanto non rispondeva mai al telefono, ma nemmeno alle sue mail, impedendogli di fare proposte per noiosissimi elzeviri. L’ultimo pensiero di Emma prima di distrarsi fu di solidarietà nei confronti del caporedattore, poi il suo interlocutore all’improvviso tacque.
«La sto annoiando?»
«No, perché?» negò blandamente Emma.
«È evidente che lei sta pensando a tutt’altro e forse non ha seguito nemmeno una parola di quanto dicevo. La saluto.» E indignato girò i tacchi.
Come dargli torto. Emma si annoiava mortalmente. Parlava con le persone, soprattutto uomini, e a un certo punto la mente vagava altrove. Non era come Anna che alle feste brillava come una stella. Cercò l’amica tra la folla di teste, stava chiacchierando con un gruppetto e teneva banco, ridevano tutti. Anna sapeva godere della compagnia degli altri, trovava interessanti persone con cui lei non avrebbe preso nemmeno un caffè in piedi al bar. Spocchiosa e disinteressata agli altri, ecco cos’era. Non a caso con Pietro, negli ultimi anni, avevano diradato gli impegni mondani. Spesso lui usciva da solo perché lei si rifiutava di accompagnarlo. Emma camminò avanti e indietro come un lupo in gabbia con un bicchiere sempre in mano per darsi un contegno. Al buffet scambiò qualche rapida battuta col vicino.
«Lei lavora alla libreria l’Incontro, vero?»
«Sì.»
L’uomo si presentò, disse un nome a lei ignoto che dimenticò all’istante. Il suo radar prontamente attivato le mandò il messaggio in codice: trattasi di rompicoglioni frustrato.
«Non capisco perché il suo capo non mi abbia mai invitato a presentare uno dei miei romanzi nella sua libreria, ne ho scritti una trentina.»
«In genere sono le case editrici che ci contattano e non viceversa.»
«Figuriamoci, i miei editori sono tutti dei morti di fame, non fanno una riga di pubblicità e barano sui diritti d’autore.»
Emma capì che doveva liberarsi di quel seccatore. Finse di avere una telefonata urgente da fare e fuggì. Si chiuse in bagno. Lo specchio le restituì l’immagine di una donna annoiata. La sua prozia diceva: «A quarant’anni ognuno ha la faccia che si merita». Lei che faccia aveva a sessanta? Non sapeva rispondere, non voleva. Aprì la pochette per rimettere il rossetto, ma poi cambiò idea. Voleva andarsene. Scappare da quello zoo di vanità. Quando uscì, intravide una nota critica che aveva una scuola di scrittura a Milano. La loro era stata antipatia al primo sguardo, quindi, per non doverla salutare, uscì in terrazza e chiese una sigaretta a un allegro gruppetto. Aveva smesso di fumare da dieci anni, ma forse era giunto il momento per ricominciare. La aspirò con lentezza e voluttà. Roma illuminata sembrava un presepe. Presto nelle strade del centro si sarebbero accese le luminarie di Natale. Ebbe l’impulso di gettarsi giù.
Spense la sigaretta e vide dai vetri le prime persone congedarsi. Poteva finalmente andare via. Raggiunse i padroni di casa e si profuse in ringraziamenti per la bella festa. Andò in cerca del cappotto e, indossatolo, si avvicinò ad Anna per comunicarle che prendeva un taxi per rientrare. L’amica la guardò costernata, ma non provò a chiederle di rimanere per tornare insieme.
Quando Emma entrò a casa trovò Giulia e Gianluca stravaccati sul divano davanti alla televisione.
«Sei già tornata? La serata non deve essere stata un grande successo.»
«Ce l’ho alle spalle e questo mi sembra già un discreto successo. Buonanotte.»
Crollò sul letto distrutta dalla stanchezza e dalla malinconia.