Piero Dini era al tempo in cui fu scritta questa lettera referendario apostolico a Roma; nel 1621 sarebbe stato nominato arcivescovo di Fermo, ma mantenne comunque un rapporto di affettuosa amicizia con Galileo. Sullo sfondo della missiva si colloca un episodio clamoroso, avvenuto la quarta domenica d’Avvento del 1614: il domenicano Tommaso Caccini, predicando dal pulpito di Santa Maria Novella e commentando il Libro di Giosuè, si era violentemente scagliato contro Galileo e i suoi seguaci adattando, in latino, un’espressione del Vangelo di Luca («Uomini di Galileo, perché ve ne state a scrutare il cielo?») e accompagnandola con la maledizione dei cultori della matematica come arte diabolica per provocare eresie nel seno della Chiesa.

L’invettiva aveva prodotto giusta amarezza, come si accenna all’inizio della lettera, in molti studiosi di grande prestigio, fra cui il principe Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei e amico di Galileo. Questi, sconsigliando a Galileo di scendere personalmente in campo nella polemica, si era adoperato per raccogliere la protesta dei matematici di vari Studi e indurre così l’arcivescovo di Firenze a pretendere dal frate una replica ufficiale, ma l’iniziativa non era andata a buon fine per l’ostilità compatta del clero fiorentino. Alla fine del poscritto si accenna anche a un altro insigne matematico, il napoletano Luca Valerio, allora lettore di matematica alla Sapienza e intimo del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII. In merito al suo coinvolgimento nella vicenda sappiamo solo che si dimise dall’Accademia dei Lincei dopo che la Chiesa si risolse per la condanna della teoria eliocentrica.