Illustrissimo e Reverendissimo Signore,
cui devo la massima deferenza,
risponderò in breve alla cortesissima lettera di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima, non potendo fare diversamente a causa del mio cattivo stato di salute.
Circa il primo punto che avete toccato, cioè che per meglio orientare la decisione relativa all’opera di Copernico sarebbe opportuno introdurvi qualche postilla, in cui si dica che si tratta di ipotesi atte a spiegare i fenomeni celesti (come si è fatto ipotizzando gli eccentrici o gli epicicli per spiegare l’irregolarità dei movimenti apparenti dei pianeti), senza per questo porle come realtà, rispondo, rimettendomi sempre a chi ne sa più di me e solo per lo scrupolo che ciò che si deve fare debba esser fatto con il massimo della cautela possibile, che per salvare le impressioni dei sensi lo stesso Copernico si era già a suo tempo dato ampiamente da fare, per accontentare quei cultori dell’astrologia che si rifacevano ai principi del sistema tolemaico. Egli, entrando poi nel campo della filosofia ed essendosi risposto, dopo essersi domandato se una tale visione dell’universo potesse corrispondere alla natura, che non era così, sembrandogli d’altra parte che valesse la pena di indagare su come stanno realmente le cose, si mise a studiare la sua vera costituzione. Riteneva infatti che se una rappresentazione immaginaria non corrispondente alla realtà poteva soddisfare le apparenze, molto più si sarebbe ottenuto dalla rappresentazione vera e reale, e contemporaneamente la filosofia ne avrebbe avuto un vantaggio prezioso, potendo disporre della conoscenza della struttura reale dell’universo. Così, già ampiamente fornito, per le osservazioni e gli studi condotti in lunghi anni, di una grande quantità di nozioni specifiche relative agli astri, senza la scrupolosa comprensione e registrazione delle quali è impossibile arrivare a definire la costituzione del mondo, con rinnovati studi e lunghissime fatiche giunse poi a quei risultati che suscitano l’ammirazione di tutti coloro che lo studiano con diligenza, per tenerne il passo e di lì procedere. Pertanto cercare di convincere che Copernico non riteneva reale il moto della Terra, a parer mio, sarebbe impresa vana se non presso coloro che non l’hanno letto, essendo pieni di considerazioni collegate al moto della Terra tutti i suoi sei libri, che da questo assunto traggono spiegazione e conferma. E se egli nell’introduzione dimostra di essere consapevole e confessa che l’affermazione della mobilità della Terra lo avrebbe fatto ritenere stolto alla massa, giudizio del quale dice per altro di non curarsi, sarebbe stato ben più stolto se avesse voluto farsi considerare tale per una affermazione fatta da sé stesso, senza che ci credesse veramente e completamente.
Quanto poi all’affermare che gli studiosi principali che hanno parlato di eccentrici e di epicicli non li hanno giudicati reali, io non lo crederò mai, tanto meno perché oggi è assolutamente necessario ammetterli, essendo i sensi stessi a mostrarne l’esistenza. Non essendo infatti l’epiciclo altro che un cerchio descritto dal moto di un astro che non abbraccia nella sua rotazione il globo terrestre, non vediamo forse che quattro di tali cerchi vengon descritti da quattro astri attorno a Giove? E non è chiaro come il Sole che Venere descrive il suo cerchio intorno al suddetto Sole senza comprendere la Terra e per conseguenza forma un epiciclo? La stessa cosa accade per Mercurio. Inoltre, essendo l’eccentrico un cerchio che effettivamente circonda la Terra, ma non la contiene nel suo centro, bensì da una parte, non si può dubitare che il corso di Marte sia eccentrico rispetto alla Terra: lo si vede infatti ora più vicino ora più lontano, ora piccolissimo e ora sessanta volte più grande, per cui, qualunque sia il suo moto, circonda la Terra e una volta è otto volte più vicino di un’altra. Di tutte queste cose e di numerose altre del genere ci hanno dato sensata esperienza le ultime scoperte, al punto che si può sostenere la mobilità della Terra anche solo sulla base delle conseguenze e delle prove che si ricavano dagli eccentrici e dagli epicicli come dato assolutamente sicuro, corrispondente a verità e incontrovertibile.
Devo tuttavia osservare che tra coloro che hanno negato gli eccentrici e gli epicicli si distinguono due categorie di persone. La prima è la posizione di quelli che, essendo del tutto digiuni di nozioni relative ai movimenti degli astri e di ciò che in merito va tenuto fermo, negano senza alcun fondamento tutto quello che non capiscono, ma di questa gente non vale nemmeno la pena di parlare. Altri, molto più ragionevoli, non arrivano a negare l’esistenza di movimenti circolari descritti dai corpi degli astri attorno ad altri centri che non siano la Terra, perché è manifesto per i movimenti di tutti i pianeti che la Terra non ne è il centro comune, ma negheranno piuttosto che nel corpo celeste è presente una struttura di sfere solide divise e separate tra loro che, ruotando e sfregandosi, portino con sé i pianeti, e tali persone a me pare che ragionino benissimo. La loro posizione non significa tuttavia eliminare i movimenti degli astri eccentrici rispetto alla Terra o gli epicicli, che sono i veri e semplici assunti di Tolomeo e dei grandi astronomi, ma respingere l’ipotesi di sfere materiali solide e distinte, introdotte dai costruttori di teorie atte a facilitare le possibilità di comprensione dei principianti e l’esecuzione dei calcoli. Solo questa è la parte fittizia e non corrispondente alla realtà del sistema, avendo Dio la possibilità di far procedere le stelle per gli immensi spazi del cielo in percorsi che sono sì definiti e precisi, ma non incatenati o forzati.
Tuttavia, relativamente a Copernico, è impossibile mitigare la sua posizione, poiché il punto centrale della sua dottrina e suo fondamento generale è costituito dalla mobilità della Terra e fissità del Sole: perciò, o bisogna respingere del tutto la sua teoria, oppure bisogna lasciarla com’è, parlando io sempre entro i limiti delle mie personali capacità di giudizio. Ma che a proposito di una tale decisione sia necessario fare attente, ponderate e oculate considerazioni su quanto egli scrive, io mi sono impegnato a dimostrarlo in un mio scritto, nei limiti di quanto Dio benedetto mi ha concesso di fare, non avendo mai in mente altro scopo che la dignità della Santa Chiesa e a nient’altro orientando le mie modeste fatiche; sono d’altra parte certo che questi miei sentimenti puri e ispirati da autentico zelo religioso appariranno chiari nel suddetto scritto, anche se fosse pieno di ogni sorta di errori o di osservazioni di poco rilievo. Lo avrei già inviato a Vostra Signoria Reverendissima se ai miei già numerosi e gravi disturbi fisici non si fosse recentemente aggiunto un attacco di dolori acuti che mi ha messo non poco in difficoltà; in ogni caso ve lo spedirò al più presto. Anzi, ispirato dallo stesso zelo, sto raccogliendo tutte le argomentazioni di Copernico per metterle in una forma più chiara ai molti, dato che, così come sono, sono difficili da capire; intendo inoltre aggiungervi molte altre considerazioni, sempre fondate su osservazioni astronomiche, sensate esperienze ed eventi naturali, per offrirle poi al Sommo Pastore e all’autorità infallibile della Santa Chiesa, perché ne faccia quell’uso che parrà opportuno alla sua somma prudenza.
Quanto al parere del Reverendissimo Padre Grienberger, lo lodo davvero e lascio volentieri la fatica di interpretare le Scritture a quelli che ne sanno infinitamente più di me. Ma il breve scritto che inviai a Vostra Signoria Reverendissima, è, come avete visto, una lettera privata, indirizzata più di un anno fa a un amico, perché lui solo la leggesse; avendone però egli a mia insaputa lasciata circolare una copia, e venendo a conoscenza che era capitata in mano alla stessa persona che mi aveva tanto duramente attaccato persino dal pulpito e che costui l’aveva recata con sé a Roma, mi parve una buona cosa che ce ne fosse un’altra copia, per poterne prendere visione in caso di necessità, soprattutto perché egli e altri filosofi a lui molto stretti erano andati spargendo la voce che questa mia lettera era piena di eresie. Non ho dunque intenzione di porre mano a imprese tanto superiori alle mie forze; sono inoltre convinto che non si debba dubitare del fatto che la Benignità divina si degni talvolta di ispirare qualche raggio della sua immensa sapienza in intelletti umili, soprattutto quando siano animati da sincero e santo zelo, e che d’altra parte, quando si tratta di mettere a confronto passi delle Sacre Scritture con teorie scientifiche nuove e non comuni, è necessaria una conoscenza completa di tali dottrine, non potendosi accordare due corde se se ne ascolta una sola. E se io fossi sicuro di poter fare un qualche affidamento sulla debolezza del mio ingegno, oserei dire di trovare in alcuni passi delle Sacre Lettere e nell’assetto reale del mondo molte convergenze che non mi sembrano essere altrettanto bene rilevate dal sapere comune; e l’avermi Vostra Signoria Reverendissima accennato al passo del Salmo 18 come uno di quelli giudicati più in contrasto con tale opinione mi ha indotto a fare una nuova riflessione in proposito, che esito meno a comunicare a Vostra Signoria in quanto mi avete riferito che l’Illustrissimo e Reverendissimo Cardinal Bellarmino si è dichiarato interessato a vedere se dispongo di altri passi del genere. Pertanto, avendo io risposto a un semplice cenno di Sua Signoria Illustrissima e Reverendissima, dopo che Sua Signoria avrà visto questa mia riflessione, qualunque ne sia il valore, ne farà l’uso dettato dalla sua somma saggezza: io infatti intendo solo esprimere rispetto e ammirazione per cognizioni tanto sublimi, obbedire ai cenni dei miei superiori e sottoporre ogni mia fatica al loro arbitrio.
Dunque, non mettendo in discussione il fatto che, qualunque sia la verità della supposizione dalla parte della natura, altri possano svelare significati più profondi delle parole del Profeta, anzi, giudicando me stesso inferiore a tutti e pertanto sottoponendomi a tutti i sapienti, io direi questo: a me sembra che nella natura si ritrovi una sostanza del tutto spirituale, leggerissima e velocissima la quale, diffondendosi per l’universo, penetra in tutto senza trovare ostacolo, riscalda, vivifica e rende feconde tutte le creature viventi. Mi pare anche che il corpo del Sole dia sensibilmente prova di essere il principale ricettacolo di questa sostanza spirituale, come quello dal quale emana e si diffonde per l’universo un’immensa luce, accompagnata dalla forza del suo calore, che penetra in tutti gli esseri vegetali rendendoli in grado di vivere e riprodursi. Si può ragionevolmente ritenere che si tratti di qualcosa di più che di luce, perché penetra e si diffonde in tutti i corpi, anche i più densi, rispetto a molti dei quali la luce non è in grado di fare altrettanto: per cui, così come vediamo e sentiamo che dal fuoco emanano luce e calore, e che questo passa attraverso tutti i corpi, per opachi e solidissimi che siano, mentre quella trova un ostacolo nella solidità e nell’opacità, così l’emanazione del Sole è luminosa e calda, e la componente del calore è quella più penetrante. Che poi di questa sostanza spirituale e di questa luce il corpo solare sia, come ho detto, un ricettacolo e, per così dire, una sorta di riserva che riceve dal di fuori, piuttosto che principio e fonte primaria dalla quale esse traggano origine, mi pare sia evidente nelle Sacre Scritture, in cui leggiamo di uno spirito con la sua virtù calorifica e feconda, prima della creazione del Sole, «che riscaldava le acque o si stendeva sopra le acque», per le future generazioni. Parimenti leggiamo della creazione della luce il primo giorno, mentre il corpo solare viene creato nel quarto. Da ciò possiamo verosimilmente affermare che questo spirito fecondante e questa luce diffusa per tutto il mondo sarebbero concorsi a unirsi e fortificarsi nel corpo solare, a questo scopo collocato nel centro dell’universo, e da lì, con maggior splendore e vigore, si sarebbero nuovamente diffusi.
Di questa luce primigenia e non splendente al massimo prima di convergere e raccogliersi nel corpo solare abbiamo un’attestazione dal Profeta nel Salmo 73, al verso 16: «Tuo è il giorno e tua la notte: Tu hai creato l’aurora e il Sole». L’interpretazione di questo passo afferma la creazione da parte di Dio di una luce simile a quella dell’aurora prima della creazione del Sole, anzi, nel testo ebraico invece di «aurora» si legge «lume» perché si intenda quella luce che fu creata molto prima del Sole, molto più debole di questa stessa ricevuta, rinvigorita e nuovamente diffusa dal corpo solare. A questa interpretazione sembra far riferimento l’opinione di alcuni filosofi antichi che hanno giudicato lo splendore del Sole frutto di un concorrere al centro del mondo dello splendore delle stelle, le quali, come sfere che gli stanno tutte attorno, fanno vibrare i loro raggi che, convergendo e intersecandosi nel suddetto centro, qui aumentano e moltiplicano mille volte la loro luce. Questa luce poi, resa in tal modo più forte, si riflette e si sparge molto più intensa e ripiena, per così dire, di virile e vitale potenza, e si diffonde a vivificare tutti i corpi che ruotano intorno a questo centro: più o meno come nel cuore dell’animale si rigenerano continuamente gli spiriti vitali, che sostengono e vivificano tutte le membra, ma l’alimento e il nutrimento senza i quali perirebbe vengono al cuore da fonte esterna, così nel Sole, analogamente alimentato dall’esterno, si mantiene quella riserva da cui continuamente derivano e si diffondono la luce e il calore generatore, che danno la vita a tutti i membri attorno disposti. Benché della forza mirabile e dell’energia di questo spirito e luce del Sole, diffuso nell’universo, potrei chiamare a testimonianza molti filosofi e scrittori importanti, voglio limitarmi a un unico passo di san Dionigi l’Areopagita, nell’opera I divini nomi, che dice: «La luce anche accorda e attrae a sé tutte le cose che si vedono, che si muovono, che sono illuminate, che si riscaldano, in una parola quelle che stanno entro il suo splendore. Pertanto il Sole è detto Ilios, perché raduna e riunisce tutte la cose disperse». E poco più sotto scrive sullo stesso tono: «Se infatti questo Sole che vediamo, in rapporto alle essenze e alle qualità delle cose che cadono sotto i sensi, quantunque molto numerose e molto differenti fra loro, mentre lui stesso è invece uno solo, ugualmente sparge la luce, rinnova, nutre, preserva, fa maturare, divide, congiunge, riscalda, rende feconde, fa crescere, muta, rinvigorisce, fa sbocciare e le rende tutte vitali, e ciascuna cosa di questo universo, secondo la propria forza, è partecipe di un unico e dello stesso Sole, e ha ugualmente anticipate in sé le cause delle molte cose che partecipano, di sicuro a maggior ragione…» eccetera.
Ora, di fronte a questa posizione filosofica, che è forse una delle principali porte d’accesso alla contemplazione della natura, mi sembrerebbe, parlando sempre con quell’umiltà e quel rispetto che devo alla Santa Chiesa e a tutti i suoi dottissimi Padri, cui vanno la mia reverenza e la mia osservanza e al giudizio dei quali sottometto me stesso e ogni mio pensiero, mi sembrerebbe, dicevo, che il Sole, nel famoso passo del Salmo 18: «II Signore pose nel Sole il suo Tabernacolo», debba intendersi come la sede più nobile di tutto il mondo sensibile. Dove poi si dice: «Egli, simile a sposo sorto dal letto nuziale, balzò come gigante per correr la sua via», intenderei l’espressione riferita al Sole che irraggia, cioè alla luce e a quello spirito che dà calore e feconda tutte le sostanze corporee di cui s’è detto, il quale, traendo origine dal corpo solare, si diffonde velocissimamente per tutto il mondo. Mi pare infatti che tutte le parole si adattino perfettamente a questa interpretazione. In primo luogo abbiamo «sposo» che fa pensare al potere di fecondare e generare; nel «sorgere balzando» c’è l’indicazione di come avviene, per così dire “a salti”, l’emanazione dei raggi solari, e i sensi ce lo confermano; «come gigante», ovvero «come forte», denota l’attività potente e la virtù di penetrare attraverso tutti i corpi, e insieme la capacità straordinaria di muoversi velocissimamente per spazi immensi, essendo l’emanazione della luce praticamente istantanea. Si conferma dalle parole «sorto dal letto nuziale» che tale emanazione e tale movimento devono essere riferiti alla suddetta luce del Sole, e non al suo corpo. Infatti il globo solare è un ricettacolo, come lo è un «letto nuziale», di questa luce, né avrebbe senso dire che «il letto procede dal letto». Subito dopo nel Salmo («il suo sorgere dalla sommità dei cieli») si fa cenno alle parti più alte del cielo, vale a dire fino alle stelle del firmamento o addirittura a sedi ancor più elevate, come luogo donde all’origine derivano e provengono lo spirito calorifico e la luce. Il Salmo continua: «E va il suo corso fino alla sommità». Ecco la riflessione, per così dire una seconda emanazione, della stessa luce fino alla stessa sommità del mondo. Segue infine: «E nulla può sfuggire alla sua fiamma», dove viene additato il calore vivificante e fecondante, distinto dalla luce e rispetto a essa dotato di molto più potere di penetrazione attraverso le sostanze corporee, per quanto dense siano. Rispetto alla penetrazione della luce infatti esistono molti mezzi per difendersi e ripararsi, ma di fronte al potere calorifico «nulla può sfuggire alla sua fiamma». Non devo poi passar sotto silenzio un’altra mia considerazione, pertinente a questo argomento. Io ho già scoperto il continuo manifestarsi di alcune ombre consistenti sul globo solare, che si presentano ai sensi come macchie scurissime, che poi si consumano e si dissipano. Ho accennato al fatto che si potrebbero interpretare come parte di quell’alimentazione (o forse dei suoi residui) di cui il Sole secondo alcuni antichi filosofi avrebbe necessità per sostentarsi. Ho anche dimostrato, in seguito a un’accurata osservazione di queste macchie, come il corpo solare compie di necessità un movimento di rivoluzione su sé stesso e per di più accennato al fatto che è ragionevole giudicare tale rivoluzione la causa dei movimenti dei pianeti attorno al Sole. Aggiungo allora: noi sappiamo che l’intenzione del Salmo 18 è quella di lodare la legge divina, che il Profeta paragona al corpo celeste, del quale, fra le cose mortali, nessuna è più bella, più utile e più potente. Perciò, avendo egli tessute le lodi del Sole e non essendogli nascosto che l’astro fa ruotare attorno a sé tutti i corpi mobili del mondo, passando alle maggiori prerogative della legge divina e volendo anteporla al Sole aggiunge: «Legge immacolata del Signore, che attrai le anime...», come per dire che tale legge ha qualità più eccelse del Sole stesso per il suo esser senza macchia e in grado di attrarre le anime, mentre quello è sparso di macchie e ha il potere di far ruotare attorno a sé solo globi materiali e mondani.
So e confesso di osare troppo nel voler parlare, inesperto come sono delle Sacre Scritture, per spiegare contenuti di così alta speculazione. Tuttavia, come potrei essere scusato nel dichiarare la mia totale sottomissione al giudizio dei miei superiori, così la parte seguente del Salmo, «Le parole del Signore sono vere e rendon savi gli sprovveduti», mi ha fatto sperare: forse può accadere che l’infinita bontà di Dio indirizzi verso la purezza della mia mente un piccolissimo raggio della sua grazia, onde s’illumini ai miei occhi qualcuno dei significati reconditi delle sue parole. Quanto ho scritto, mio signore, è un piccolo parto, che necessita di una forma migliore, di correzioni e rifiniture addotte con applicazione e pazienza; infatti si tratta solo di un abbozzo, suscettibile di assumere un aspetto e proporzioni confacenti, ma per il momento ancora disordinato e grezzo. Se me ne sarà data la possibilità, gli darò una forma più equilibrata; intanto vi prego di non permettere che vada in mano ad alcuno che, ricorrendo piuttosto che alla dolcezza della lingua di una madre all’asprezza e alla violenza dei denti d’una matrigna, invece di ripulirlo lo laceri e lo riduca a pezzi del tutto. Con ciò vi bacio reverentemente le mani, unitamente ai signori Buonarroti, Guiducci, Soldani e Giraldi, qui presenti alla chiusura della lettera.
Firenze, 23 marzo 1615
Di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima
l’obbligatissimo servitore
Galileo Galilei