Dall'elenco delle Buone Intenzioni di Lady Eleanor per essere cattiva:
Comprare e riuscire a leggere tutti i libri che ho sempre voluto.
«Il Visconte Carson e suo fratello, Lord Alexander, chiedono di vedervi, Vostra Grazia.»
La madre di Eleanor alzò di scatto la testa come se una mano invisibile le avesse tirato i capelli. «Oh! Falli entrare, Joffrey.» Ma il maggiordomo attese sulla porta le richieste successive, conoscendo il modo di fare di Sua Grazia, che infatti non lo deluse. «E di' alla cuoca di preparare il tè e di servirlo con quei deliziosi biscottini. Poi avvisa mio marito e chiedigli se può raggiungerci. E voi, ragazze, andate e lasciateci sole. Questi gentiluomini troverebbero assai strano parlare davanti a delle giovani fanciulle, soprattutto considerando ciò che devono dire alla mia Eleanor.» E poi sorrise alla figlia maggiore, che si era guadagnata un amore materno del tutto speciale una volta saputo che Lord Carson voleva farne la sua sposa.
Olivia mise il broncio. «Non voglio andarmene. Voglio guardare Lord Carson...» A entrambe le gemelle sfuggì un sospiro. «... mentre chiede a Eleanor di sposarlo.»
Lei lanciò un'occhiata alle sorelle. «Non potreste restare neppure se aveste già fatto il debutto! In genere, per queste cose non è previsto un pubblico.»
Olivia si accigliò, mentre Pearl abbassò lo sguardo.
«Forza, andiamo» disse Ida, chiudendo il libro. Eleanor si era persino scordata che fosse con loro nel salotto, tanto era rimasta silenziosa. La vide alzarsi, in volto un'espressione che rivelava quanto vicina fosse al limite della sopportazione per i capricci delle gemelle. Lei si augurava di cuore che Ida si ammorbidisse prima o poi, ma per adesso era felice dell'inflessibilità della sorella. Rendeva molto più facile mandare via Olivia e Pearl.
Le ragazze erano appena uscite quando la porta si riaprì e i due gentiluomini entrarono.
L'imponente statura di Lord Alexander offriva sicuramente un vantaggio: permise a Eleanor di distinguerlo subito anche senza occhiali, così da potersi voltare verso il suo promesso sposo e rivolgergli un bel sorriso. Guardare il fratello, invece, non le interessava affatto.
No, non le interessava. Ma l'atmosfera nel salotto parve cambiare quando entrò. La pelle prese a formicolare e lei dovette lottare contro l'impulso di aprire bocca e dire qualcosa che avrebbe svelato ciò che davvero pensava, non ciò che avrebbe dovuto pensare.
In effetti desiderava poter fare davvero qualcosa, non limitarsi a essere qualcosa. Ovvero la figlia primogenita di un duca. Una donna in età da matrimonio. Una lady che faceva sempre ciò che tutti si aspettavano da lei.
E se avesse scoperto di poter fare davvero la differenza? Magari tramite il matrimonio? In tal caso, non doveva certo temere quel momento.
Anche se la pelle continuava a formicolarle ed era fin troppo consapevole dell'alta, atletica figura accanto al suo quasi fidanzato.
«Buon pomeriggio, Vostra Grazia» salutò Lord Carson, attraversando il salotto per porgere omaggio a sua madre. «Lady Eleanor» aggiunse, voltandosi verso di lei.
Eleanor riuscì a guardarlo bene. Sembrava un po' diverso dal solito: tendeva il collo come se la cravatta fosse troppo stretta e i capelli apparivano scompigliati dal vento. Ma forse era solo un nuovo taglio che andava di moda.
«Buon pomeriggio, milord» replicò sua madre. «È pomeriggio, vero? Un adorabile pomeriggio. Stavo giusto dicendo a mia figlia» e con un cenno la indicò, come se Lord Carson faticasse a capire a chi si riferiva anche se era l'unica figlia nella sala, «che questa è una giornata davvero splendida.»
«Sì, splendida» ripeté lui. «Posso presentarvi mio fratello, Lord Alexander? È appena arrivato in città.»
Il bell'albero avanzò, stringendo le dita di sua madre. «Vostra Grazia, è un onore conoscervi. Ho avuto il piacere di incontrare la vostra adorabile figlia giusto ieri.» Lei non ebbe bisogno degli occhiali per accorgersi dell'occhiata divertita che le lanciò. «Permettetemi di dirvi che vi assomiglia molto.»
Eleanor sentì una ruga segnarle la fronte, ma si affrettò a controllarsi prima che lui se ne accorgesse. Era un complimento? In teoria sì, ma c'era qualcosa di canzonatorio nel suo tono che la lasciava perplessa.
Sua madre, comunque, non parve accorgersi di nulla. «Oh, che giovanotto simpatico. Mi chiedo se non ci siamo mai incontrati prima. Eleanor, non pensi anche tu che Lord Alexander sia un giovanotto davvero delizioso?»
Deliziosamente sornione e, nel complesso, fin troppo malizioso, avrebbe voluto risponderle. Ma era pur sempre una lady, anzi la figlia di un duca, e come se questo non bastasse non le era consentito svelare nulla di ciò che pensava, come se facendolo la gente avrebbe cominciato a detestarla. Sorrise mentre ricordava la conversazione con Cotswold, quella in cui sognavano di dare scandalo. A volte, le sarebbe bastato poter svelare il suo amore per le freddure e i giochi di parole.
«Sì, davvero delizioso» concesse, improvvisamente consapevole che tutti aspettavano la sua risposta. E non le sue facezie.
Sentì, piuttosto che vederla, la reazione di Lord Alexander e uno strano fremito l'attraversò da capo a piedi. Solo qualche giorno prima, più o meno a quell'ora, si era ritrovata sopra di lui con gli occhi puntati su un'illustrazione che le aveva marchiato la coscienza.
La porta si aprì e suo padre entrò, annunciato dalla solita cacofonia: sbuffi, borbottii inarticolati e un respiro davvero pesante.
«Mio caro, guarda chi è venuto in visita» cominciò sua madre. «Il Visconte Carson e suo fratello Lord Alexander» aggiunse, perché ovviamente non poteva lasciare che il marito si domandasse chi aveva davanti grattandosi dubbioso la testa. «Oh, ma non vi ho ancora chiesto di sedervi, quindi scusatemi e sedetevi pure. Visconte, voi accomodatevi accanto alla mia Eleanor. E voi, milord, sistematevi dove preferite.»
I gentiluomini sedettero: Lord Alexander occupò la sedia accanto a sua madre mentre Lord Carson si sistemava di fianco a Eleanor.
«Grazie per i fiori, milord» disse lei.
«Di nulla. So che in genere le donne apprezzano i fiori, o almeno così afferma il giardiniere di mio padre.»
«E a voi piacciono i fiori, Lady Eleanor?»
Era stato lui a parlare, Lord Schiettezza. E le chiedeva un'opinione su qualcosa, oltretutto!
Un fatto assolutamente inaspettato.
E tutti erano in attesa della sua risposta. O almeno così sembrava.
«Sì, certo, grazie.» Perché quella semplice domanda le metteva una gran voglia di urlare, strillare o dire qualcosa in italiano? Una lingua che aveva imparato e che sembrava contenere tutte le emozioni e i sentimenti che a lei erano preclusi. Caratteristica che la rendeva ancora più adorabile. «Trovo che siano dei... bellissimi fiori» azzardò, sentendosi spavalda.
«Oh, tesoro, non parlare strane lingue che nessuno capisce» la rimproverò sua madre.
«No, madre» rispose lei, abbassando lo sguardo per celare a tutti il lampo di sfida che sapeva averle attraversato gli occhi.
«Bene, Lady Eleanor» riprese Lord Carson. Lei rialzò la testa per guardarlo, e lo vide lanciare un'occhiata al duca prima di aggiungere: «Mi chiedevo se poteste concedermi l'onore di parlare brevemente in privato».
Eleanor deglutì. Ecco, era giunto il momento. Quello che sapeva sarebbe arrivato fin da quando suo padre l'aveva informata del colloquio che aveva avuto con il padre di Lord Carson, il Marchese di Wheatley. Due anziani gentiluomini che trattavano la sorte dei loro primogeniti.
«Ma certo che ve lo concede» supplì sua madre. A quanto pareva, lei non poteva parlare in nessuna lingua.
«Sì, grazie milord.» Eleanor si alzò e il visconte fece altrettanto.
«Andate nello studio del duca» ordinò sua madre. «Noi resteremo qui. Joffrey sta arrivando con i biscotti e il tè appena fatto.» Si guardò attorno annuendo e sorridendo come sempre faceva davanti alla prospettiva di un buon tè. O di un buon genero, sempre ammesso che fosse rispettabile.
Eleanor eseguì la riverenza e poi si incamminò in direzione della porta, sentendo il visconte dietro di sé mentre marciava verso il suo destino.
«Per favore, Lady Eleanor, sedetevi» disse Lord Carson mentre chiudeva la porta alle loro spalle.
Lei guardò l'ingresso, sentendo lo studio chiudersi su di sé come un soffocante manto nero.
Poi, però, desiderò ridere della propria ridicolaggine. Solo che non poteva. E non soltanto perché lui stava già cominciando a parlare, ma anche perché quello non era un manto soffocante che poteva togliersi a piacimento.
Sedette e puntò lo sguardo su Lord Carson, in modo da fargli capire che lo ascoltava attentamente. Da lì, il suo volto appariva sfocato ma piacevole. Forse sposarlo non sarebbe stato poi così terribile.
«Lady Eleanor» esordì. «Siete una fanciulla adorabile ed è stato un vero piacere approfondire la nostra conoscenza in queste settimane.»
Sì, come inizio prometteva bene, pensò lei.
«Ed è un sentito desiderio dei nostri genitori vederci uniti in matrimonio.»
Non proprio. I miei genitori desiderano ardentemente cancellare la macchia dello scandalo suscitato da Della con la sua fuga. I vostri desiderano solo mettere le mani sulla mia dote.
«Pertanto, sono venuto a chiedervi se mi concedete il grande onore di diventare mia moglie.» Mentre parlava, Eleanor lo vide lanciare un'occhiata all'orologio a pendolo nell'angolo dello studio, come se avesse fretta di recarsi a un altro appuntamento dopo quella visita in cui si decideva il suo futuro.
A meno che non fosse lei a deciderlo. Le emozioni provate dopo avere riconosciuto Lord Alexander al ricevimento tornarono ad assalirla, suscitando una ridda di sensazioni poco familiari. Insoddisfazione, bisogno e desiderio di essere se stessa, oltre a una gran voglia di fare qualcosa che non fosse legato alla sua posizione sociale. Voleva puntare i piedi ed esigere che Lord Carson, anzi chiunque, la vedesse come Eleanor, la donna avventurosa che adorava le freddure e l'italiano.
Non come la figlia da barattare tra famiglie.
Potrei dire di sì, pensò. Potrei provare a adattarmi, a cercare la felicità in questo matrimonio. Lui sembra gradevole. Anzi, senza dubbio lo è. Sì, sarà ordinario, ma perlomeno non è meschino.
Però non poteva esserne certa. Dopo il matrimonio avrebbe anche potuto rivelarsi meraviglioso, ma cosa avrebbe fatto se invece si fosse rivelato orribile?
E se si fosse rivelato del tutto indifferente, e se fosse toccato a lei trovare il modo di convivere? Non avrebbe fatto meglio a capire se stessa, chi era e cosa voleva, prima di accettare qualunque vita le stesse proponendo? Il suo ridicolo elenco di propositi irrealizzabili tornò a tormentarla.
«Io...» cominciò, incerta su cosa dire. Quell'illustrazione, il ricordo del corpo di Lord Alexander sotto di lei, il modo in cui le parlava facendola sentire tremante, meravigliata e confusa allo stesso momento... «Io non posso accettare adesso. Mi serve altro tempo» dichiarò con la voce più ferma che riuscì a imbastire.
«Altro tempo?» ripeté lui, sconcertato. «Ma le nostre famiglie...»
«Sì, lo so» lo interruppe, suonando più sicura. «Non ho detto di no, intendiamoci» aggiunse, anche se si rendeva conto che lui non capiva. «Ho solo detto che mi serve altro tempo. Per conoscervi.» E per conoscere me stessa.
«Oh.»
Il silenzio più imbarazzante che si potesse immaginare calò nello studio.
«Altro tempo» disse Lord Carson.
«Esatto. Altro tempo» ribadì Eleanor. Le sembrava di respirare un po' meglio, ora che aveva detto ciò che davvero voleva.
«Bene. Grazie, Lady Eleanor» concluse lui con un inchino. Lei si limitò ad annuire.
Almeno non sembrava intenzionato a mettersi a discutere. Doveva prenderlo come un affronto? No, probabilmente era realistico quanto lei su quella faccenda. O meglio, quanto lei aveva pensato di essere fino al momento in cui aveva aperto bocca per dirgli di no.
E adesso aveva guadagnato tempo. Per fare cosa restava un mistero. Sapeva solo che forse si sarebbe ritrovata con qualcosa da fare, invece di ritrovarsi soltanto a interpretare un ruolo.
«Ha detto questo?» chiese Alex, guardando stupefatto suo fratello. Avevano lasciato la dimora del Duca di Marymount un quarto d'ora prima, ma Bennett aveva mandato a casa il cocchiere dicendo che preferiva camminare.
Per una volta, Alex si trovava a corto di parole. Fin dal rientro di Bennett e Lady Eleanor in salotto dopo il loro colloquio privato, l'atmosfera era diventata a dir poco imbarazzante.
L'unica a non accorgersene era stata la duchessa, che aveva continuato a sommergere tutti di chiacchiere magari sensate, ma di cui Alex aveva perso il filo già da un po'. Il duca si guardava attorno con aria torva emettendo suoni gutturali, mentre Lady Eleanor aveva ripreso quel terribile colorito rosso ciliegia. Lui si era accorto di come evitasse di incontrare il suo sguardo. E anche quello degli altri, visto che fissava il tappeto come se fosse la cosa più affascinante che avesse contemplato in una vita intera.
Bennett scosse la testa, confuso. «Sì, ha detto che le serve altro tempo. Ha chiarito che non stava rifiutando la mia proposta, ma che le serviva solo... del tempo.» Tacque, pensandoci sopra, poi aggiunse: «Prova a parlarle tu». Il tono urgente con cui lo disse lasciò Alex a bocca aperta. «Io non ho tempo, non adesso, non quando le cose sono così delicate.» Annuì e la sua espressione si fece più decisa. «Non dovrebbe essere troppo difficile. È una donna, dopotutto, e tu riesci a persuadere le donne meglio di chiunque altro.»
«È una richiesta...» Inopportuna, voleva dirgli, considerando il modo in cui aveva conosciuto quella donna. E anche ciò a cui generalmente puntava con la sua persuasione: difficile che Bennett gradisse l'idea di lui che si portava a letto Lady Eleanor, ammettendo che all'improvviso si rivelasse così folle da gingillarsi con una vergine. «Insolita» concluse, quindi.
«Lo so. Non te lo chiederei se non ne avessi bisogno. Se la famiglia non ne avesse bisogno.» Bennett scosse la testa. «Se non fosse assolutamente necessario.» I suoi occhi si posarono su Alex. «Lo sai, vero?»
Sì, lo sapeva. Come peraltro sapeva che Bennett stava tenendo insieme la famiglia con la pura forza di volontà e che la dote di Lady Eleanor sarebbe quantomai servita a risollevare le sorti del casato.
Sapeva anche che il loro padre si sarebbe rifiutato addirittura di discutere quella faccenda con il suo secondogenito e che se lui fosse riuscito nell'impresa, avrebbe compiuto un bel passo avanti nel rimediare all'errore che aveva commesso anni prima. Per Bennett, almeno. Il genitore non lo avrebbe mai perdonato.
Tirò un bel respiro, poi offrì un teso sorriso al fratello. «Non sarà facile persuadere quella giovane lady a sposare mio fratello maggiore.» Bennett reagì tirandogli un pugno sulla spalla. «Ma giuro che entro un mese diventerà la tua promessa sposa. Anche meno, se mi presti il tuo calesse nuovo.»
Bennett sbuffò. «Stai solo cercando una scusa per prenderlo. Non capisco perché hai comprato una carrozza quando un calesse è molto più adatto a te.» Poi alzò una mano e strinse forte il braccio di Alex. «Grazie. Ti sono molto grato per il tuo aiuto.» Suonava davvero tale e ancora una volta lui si rammaricò di non essere un uomo migliore, in modo da poter fare di più. Non solo persuadendo una giovane lady a sposare il suo responsabile e occupatissimo fratello.