Sembrava che Roma fosse stata evacuata per un virus, gli alieni. Il raccordo anulare era desolato fino all’orizzonte. I campi seccati dal sole. Una pompa di benzina abbandonata.

Dentro la Mercedes c’erano ventuno gradi, fuori trentasei.

Lui guidava. Lei si ritoccava le unghie della mano con lo smalto. Dalle labbra le calava una sigaretta.

– Chi ti viene a prendere a Pantelleria? – disse lui, improvvisamente, mentre si immetteva sulla tangenziale per l’aeroporto.

Lei non cambiò l’espressione concentrata sul pollice. – Non lo so. Qualcuno. Spero di non dover prendere un taxi. La strada per la villa è tutta buchi. I taxi non scendono e farmela a piedi sotto il sole con le valigie…

Lui guardò la spia luminosa della benzina. Stava entrando in riserva. – Ma non ho capito: chi ci sarà alla villa?

Lei spense la sigaretta nel portacenere e cominciò a osservarsi contrariata le sopracciglia nello specchietto del parasole. – Che te ne frega. Tanto non vieni…

Lui superò a sinistra un furgone di una vetreria che viaggiava sulla corsia di sorpasso. – Daniela viene?

Lei fece segno di sí con la testa e cominciò a cercare qualcosa nella borsa.

– Con tutti i bambini?

– E che fa, li lascia a casa…?

– Pensa che palle… Non avrai un attimo…

Lei lo interruppe. – Ogni volta… – Poi scosse la testa.

Lui la osservò con la coda dell’occhio. – Cosa?

– Ogni volta con questa storia dei bambini.

– Che cosa?

– Niente… – Lei tirò fuori il cellulare. Lo accese.

– Niente?

– Niente. Ho capito che odi i bambini. Che ti danno fastidio i pianti. Che ti levano la libertà. Quante volte me lo hai detto? A me, no. A me piacciono molto. Non mi dà fastidio stare con i figli di Daniela, visto che tu non ne vuoi.

– Non ho detto che non li voglio… – Lui accelerò mordendosi il labbro. – Non li voglio ora.

Lei lo osservò e poi disse con un sorriso sulla bocca. – E quando li vuoi? Sentiamo. Tra tre anni? Tra cinque? Quando io finalmente non li potrò piú avere. Lo sai che quando li vorrai fare avrai bisogno di un’altra? Io a quel punto… – Gettò il cellulare nella borsa. – Ho trentanove anni, cazzo. Che devo fare? Ti devo lasciare? Devo trovarmi un altro, eh?

Lui rimase in silenzio.

– E secondo te dove lo trovo uno che si prende una di trentanove anni? E che ci vuole fare pure un figlio? Se almeno lo avessi capito prima… Dieci anni fa… Forse…

Lui imboccò la soprelevata che portava alle partenze. – Guarda che nessuno ti ha mai trattenuto.

C’era una volante. I due poliziotti avevano fermato uno su uno scooterone.

Lei ruppe la voce piatta, le uscí uno strano tono stridulo. – Gentile… Qual è la mia colpa? Amarti? Visto che ti amo da undici anni, devo pagare. Visto che sono sempre rimasta con te devo scontarlo… – Lei guardò fuori, verso gli hangar dell’aeroporto avvolti dalla foschia. – Non è giusto… No, non è giusto per niente. Cacciatelo in culo il tuo desiderio di libertà, le tue stronzate che non saresti un bravo padre, che non è corretto obbligare qualcuno ad avere un figlio… Assumiti le tue responsabilità. Assumiti… – Prese fiato. – La colpa che io non saprò mai cosa vuole dire essere madre… Comunque fai buone vacanze –. Chiuse la borsa, s’infilò la giacchetta di lino bianca.

Lui si fermò davanti al terminal A.

Stava di nuovo sul raccordo anulare. Spingeva il tasto della sintonia dell’autoradio. La strada era sempre sgombra. Il cielo sempre ceruleo. Senza nuvole.

Per un istante sentí la voce di Eric Clapton, ma scomparve in un brusio.

Un puntino marrone apparve sulla strada, proprio di fronte a lui, deformato dal calore che saliva dall’asfalto. Si muoveva a zigzag.

Lui pigiò sui freni. Spinse il tasto delle frecce lampeggianti. La macchina cominciò a sbandare e il puntino divenne grande, grandissimo, fino a trasformarsi in un cane.

Un bracco, un cane da caccia, giovane, magrissimo, avanzava sul raccordo.

Lui gli si fece dietro.

Il cane continuava a stare in mezzo alla strada. Gli suonò. L’animale fece uno scarto e prese a correre lungo il guardrail.

Lo seguí lungo la corsia di emergenza, sempre con i lampeggianti accesi.

Il cane sembrava stanco morto. Intorno al collo aveva una catena d’ottone.

Vide che a circa una cinquantina di metri c’era una piazzola di sosta. Superò il cane, ci si fermò, scese dalla macchina. Fuori non si respirava. I grilli strillavano nei campi cotti dal sole.

Il cane lo vide, rallentò.

– Vieni qui bello! Dài… – fece lui con una voce affettuosa.

L’animale rimase un attimo incerto.

Lui si piegò sulle ginocchia. – Dài, vieni qui. Non avere paura.

Il cane abbassò le orecchie e abbassò la testa e cominciò a scodinzolare con la coda stretta tra le gambe.

Una macchina sfrecciò sulla strada.

Lui fece tre passi, piano, trattenendo il respiro, cercando di non spaventare il cane, ma il cane non si spaventò e allora lui lo afferrò per la catena e lo strinse a sé.

Lei era nel bagno. Di fronte allo specchio. Si era lavata la faccia e ora si stava rifacendo il trucco. Guardò l’orologio. Tra una decina di minuti aprivano il gate.

Uscí dal bagno trascinandosi dietro il trolley. Il lungo corridoio era pieno di gente. Su un lato, in una rientranza, c’era una piccola libreria. Si avvicinò al bancone, diede uno sguardo distratto alla fila dei libri. Prese un romanzo di Simenon e si avvicinò alla cassa. C’era una persona davanti a lei.

Il cellulare cominciò a suonare.

Lui era ancora accanto alla macchina. Con una mano teneva il cane per la catena, con l’altra il cellulare all’orecchio.

Lei rispose, mentre pagava il libro. – Sí.

– Carla! Ho trovato un cane sul raccordo. Un bracco.

– Ah!

– È bellissimo. Qualcuno deve averlo abbandonato. È magro da morire.

Lei si avviò lungo il corridoio infilando il libro nella borsa. – Povero!

– Che faccio?

– In che senso?

– Lo prendo? Se lo lascio finirà sotto una macchina. Per poco non l’ho investito.

– E dove lo porti?

Ci fu una pausa. – Non lo so… Forse lo potremmo tenere. È buonissimo. Continua a scodinzolare. È di razza.

Lei si fermò. Guardò l’orologio. – E la tua adorata libertà?

– Che c’entra? Un cane è un’altra cosa.

– È un’altra cosa? E chi se ne occuperà, io?

– No… Me ne occupo io…

Lei arrivò davanti al gate. Si mise in fila. – Lo porterai fuori? Gli comprerai da mangiare? Lo farai mangiare? Pulirai tu la casa dai peli? Lo porterai dal veterinario?

Silenzio, poi: – Ho capito. Non importa.

Lei diede il biglietto alla ragazza alla macchinetta. – Senti, sto entrando in aereo. Devo chiudere –. Si avviò nel finger. – Fai come ti pare. Ci sentiamo stasera.

Chiuse la conversazione.

Lui infilò il cellulare in tasca. Si guardò intorno. Guardò il cane, gli diede due pacche sulla schiena e poi lasciò la catena, risalí in macchina e partí.

Il cane rimase lí, poi riprese a correre.

(2003)