– Senti, dimmi una cosa, noi non lo faremo mai? – chiese Pietro a Patrizia.
Erano accucciati uno vicino all’altra sul letto sfatto. La televisione, muta, ai loro piedi, trasmetteva spot musicali. Poca luce verde illuminava la stanza. Quella di una lampada da tavolo coperta da un foulard verde. I poster dell’Uomo Ragno, dei Clash, anch’essi verdi.
Pietro stringeva le braccia intorno alla vita piccola di Patrizia, la bocca sul suo collo.
– Non per ora… Non sono sicura che tu mi vuoi bene abbastanza! – disse dopo un po’ Patrizia. Aveva lo sguardo puntato fuori, oltre le finestre, verso quella cosa grigia e uniforme del cielo.
Pietro le diede dei piccoli baci sul collo e poi prese a baciarle il lobo dell’orecchio.
– Dài, mi fai il solletico, – rise Patrizia.
Sotto le risa si sentiva un fondo di fastidio.
– Guarda che io ti voglio un bene pazzesco. Roba che se non ti vedo per tre giorni mi sento morire, mi passa la fame, mi si accartoccia lo stomaco…
– Sí va bene, tu scherza… – disse Patrizia.
Pietro si tirò su e si mise a gambe incrociate. Appoggiato al letto c’era un basso elettrico. Pietro lo prese e incominciò a pizzicarlo svogliatamente.
Patrizia rimase nella stessa posizione, immobile, di spalle.
– Lo sai che Paolo ed Eli già lo hanno fatto un casino di volte? – fece Pietro accordando lo strumento.
– Che c’entrano Paolo ed Eli. Loro stanno insieme da un sacco di tempo. È un’altra cosa.
– Guarda che stanno fidanzati da sei mesi.
– Solo? Pensavo di piú.
– E poi scusa, io non ti capisco. Per te è come quei bonus che prendi al supermarket. Dopo un tot di spesa ti regalano il tostapane. Sembra che per te fare l’amore è un premio fedeltà. Noi stiamo insieme da tre mesi…
– Pietro, non è possibile che mi stressi ogni volta con questa storia. Hai solo quello in testa. Ci sta Laura Saudelli che ti sbava dietro e lei credo che non si faccia problemi. Vai con lei se proprio non ce la fai piú…
– Lo sai qual è il tuo problema Patty? È che sei stronza. Mi devi far sentire un animale. Io lo voglio fare con te. E basta.
Patrizia intanto si era alzata dal letto. Si stava infilando gli anfibi, si stirò sulle gambe i collant scozzesi e si rimise il golf. Nero e aderente. Indossò la giacca di pelle nera su cui spiccava, sulla schiena, disegnato in bianco, un enorme cerchio anarchico. Si guardò allo specchio e si tirò su i capelli biondi e stoppacciosi che avevano delle strisce rosso fuoco che le partivano dalle tempie.
Patrizia era una punk.
– Che fai? – gli chiese Pietro continuando a strimpellare.
– È tardi. Ora tornano i tuoi e non mi va di incontrarli.
– Ci sentiamo domani?
– Perché non mi vieni a prendere a scuola?
– Forse devo provare col gruppo alla mezza. Se posso vengo.
– Ok.
Patrizia si avvicinò a Pietro e gli diede un piccolo bacio sulle labbra. Poi, presa la borsa, uscí chiudendosi la porta alle spalle.
Elisabetta guidava come una matta la sua Vespa rossa. Tenendosi ben stretta, Patrizia le parlava in un orecchio. Correvano sulla Cassia, e il motore faceva un rumore d’inferno.
– Non sono mica tanto convinta. A me queste cose fanno impressione. Già quando mi sono fatta il primo buco all’orecchio per poco non svenivo. Figuriamoci al naso, – urlò Patrizia all’amica.
– Patty, tranquilla, è una cazzata. Non senti niente. Te lo giuro.
Elisabetta aveva un piccolo brillante sulla narice destra. A Patrizia piaceva Eli anche per quel dettaglio. La faceva piú grande e infatti era l’unica del suo gruppo a essersi forata il naso. Quella mattina Patrizia si era decisa a farselo pure lei, ma ora che si avvicinava alla bottega dei tatuaggi e dei buchi, non era piú tanto sicura. Aveva paura.
Superarono il raccordo anulare e poco dopo svoltarono per una stradina in salita. Si fermarono di fronte a una costruzione moderna, un garage e insieme un centro commerciale. Tirava un vento freddo che arrivava dalla campagna vicina. Elisabetta legò la Vespa a un palo.
– Lasciamo perdere. Non mi regge, – disse Patrizia. Si sentiva le gambe deboli e caldo in testa.
Doveva esserle calata la pressione.
– Dài, almeno andiamo a vedere. Mi hai fatto venire fino a qua, – fece Elisabetta.
Elisabetta era una ragazza magra e piccola. Aveva la faccia appuntita, un po’ da topino. Si muoveva a scatti, nervosa. Anche lei era una punk. Una punk piú estrema. Sul collo infatti si era fatta tatuare un drago spinoso. Patrizia ogni volta si chiedeva come facesse la sua amica a gestirsi i rapporti con i genitori. I suoi l’avrebbero uccisa se si fosse presentata con un tatuaggio del genere.
Girarono intorno all’edificio, scesero delle scalette e giunsero davanti alla bottega dei tatuaggi. In origine doveva essere stato un garage.
– È chiuso. Andiamocene, – disse Patrizia sollevata.
– Aspetta. Guarda, dice che apre tra mezz’ora, – fece Elisabetta indicando un piccolo cartello attaccato con lo scotch alla porta. – Sai che facciamo? Torniamo su e ci mangiamo un pezzo di pizza qui all’angolo cosí ti passa la debolezza e aspettiamo che apra.
Patrizia non disse di no. Sapeva che Elisabetta le avrebbe tenuto il muso per un mese se non si fosse fatta anche lei quel benedetto buco.
Comprarono un po’ di pizza. Patrizia con il formaggio e i funghi. Elisabetta rossa. Si sedettero sulla Vespa a mangiare chiuse nelle loro giacche di pelle. Da quel cucuzzolo di cemento si vedevano in lontananza le valli verdi della campagna romana. Su un colle piú basso pascolava un gregge di pecore. Faceva strano vedere quegli animali tranquilli brucare sotto i cavalcavia.
– Credo che Pietro impazzirà quando ti vedrà con il buco al naso, – fece a un tratto Elisabetta affondando i denti nella pizza fumante.
– Speriamo… Ieri sera abbiamo scazzato. In questo periodo non c’è una volta che non ci massacriamo, non apertamente, ma ogni volta che me ne vado ho il magone.
– Perché avete litigato?
– Non ci voglio andare a letto insieme!
– E perché?
– Perché sembra che Pietro non abbia in testa altro. Si deve rilassare, in questo modo mi fa passare ogni voglia, te lo giuro.
– Ma tu hai voglia? – le chiese con uno strano sorriso Elisabetta.
– Che vuol dire?
– Se hai voglia di fare l’amore con lui.
– In verità no, non molta.
– E con altri?
– Nemmeno…
Patrizia si stava imbarazzando. Le si era chiusa la gola in un groppo. Non le piaceva parlare di certe cose.
– A te non ti viene voglia di fare tutte le schifezze possibili con il tuo uomo?
– No, non molto.
– Strano!
– Lo dici come se fossi malata. Invece te hai sempre voglia di farlo? Ogni momento?
– Vuoi sapere la verità? – chiese Elisabetta con un’espressione ironica in viso, e poi scoppiando a ridere: – Da morire!
– Sei tu che sei ninfomane e ti devi far curare! – le sorrise Patrizia.
– Patty, io proprio non ti capisco. Secondo me sei bloccata. Vai dallo psicologo. Guarda che è bello scopare e se una ha un uomo è giusto che lo faccia. Non c’è niente di male. Sei strana. Secondo me parli cosí perché non l’hai mai fatto.
– Guarda che le cose non stanno cosí. Va bene, io ho sedici anni e sono ancora vergine. Ma si è vergini una sola volta e poi finisce tutto. È una cosa importante. Bisogna esserne sicure, prima di perderla. Sai che cosa credo? Credo che Pietro non capisca quanto è importante per me questa cosa: non capisce che gli offro la cosa piú preziosa che ho, la mia verginità. Tu questo non lo puoi capire, tu ti sei fatta sverginare da quel coglione di Giuliano Santarelli a quattordici anni. Neanche te lo ricordi da quanto eri ubriaca.
– Ecco la romantica… Guarda che la prima volta è una scopata orrenda per tutte, domandalo a chi ti pare. Una ha troppo strizza. È dopo che diventa bello. Se continui a ragionare cosí ci rimani tutta la vita vergine. Non lo troverai mai uno che possa capire l’enorme regalo che gli fai.
– Vabbè Eli, sei tu che non vuoi capire. Non sto parlando del lato fisico della cosa. Comunque… Andiamo a vedere se è aperto, – fece infine Patrizia scocciata.
Era aperto infatti.
La bottega era piccola e disordinata, coperta di fotografie di tatuaggi, di foto di donne e uomini con orecchini dappertutto. Sulle sopracciglia, sulle labbra, sull’ombelico, sui capezzoli.
Ivano, il tatuatore, era un uomo gigantesco. Alto quasi due metri. Biondo e con gli occhi miti. Sulle braccia aveva delle aquile colorate che tra gli artigli stringevano dei cobra contorti e cattivi.
Fece sedere Patrizia su una sedia da barbiere.
– Vuoi un po’ d’acqua e zucchero? Hai una faccia, bella mia! – disse a Patrizia ridendo.
– Mi chiami la mia amica per favore? – gli disse Patrizia con un filo di voce. Ora si sentiva veramente uno schifo.
Ivano uscí. Chiamò Elisabetta che stava nel piazzale davanti a fumarsi una sigaretta.
– Siediti vicino a me e stringimi la mano. Ho una strizza… – fece Patrizia all’amica. Elisabetta le sorrise e le afferrò la mano.
– Non ti preoccupare. Non è un cazzo. Va tutto bene?
– Se sopravvivo giuro che lo faccio con Pietro, – mormorò Patrizia.
Pietro smise di suonare. Era tutto sudato. Avevano suonato tre ore di fila senza neanche accorgersene. Nella saletta di registrazione faceva un caldo bestiale. Il gruppo c’entrava a malapena in quel buco. Ogni volta che qualcuno si muoveva rischiava di far cadere qualcosa. Un piatto della batteria. Un amplificatore.
La porta insonorizzata si aprí. Spuntò la testa di un vecchio dai lunghi capelli bianchi.
– Forza ragazzi sbaraccate. Avete suonato mezz’ora di piú. Tocca agli altri, – disse con il suo romano strascicato.
– Abbiamo finito. Ora ce ne andiamo! – gli rispose Pietro.
Infilò il basso nella custodia.
– Oggi non siamo andati niente male. Alla fine anche Laura ci pigliava, – disse Paolo a Pietro.
Paolo era il batterista del gruppo. Un ragazzo alto e magro, con una montagna di riccioli castani in testa.
– Sí, non male, perché non prenotiamo per dopodomani?
Una ragazza in pantaloncini neri si intromise nella conversazione:
– Sono stata brava? Sono stata brava? – chiese cantilenando a Pietro.
– Sí Laura, sei stata brava, solo che quando canti devi ascoltarmi. Il basso è quello su cui devi tenere il ritmo, se no ti perdi.
Laura aveva due grosse tette mal nascoste dalla canottiera sudata sotto le ascelle. I capelli neri e corti, da maschio, le davano un aspetto sexy e aggressivo. Si era praticamente appiccicata a Pietro e teneva gli occhi scuri puntati nei suoi.
– Dài Pietro, oggi sono stata brava! Ammettilo. Ogni volta mi sgridi. Ce l’hai con me, – gli rispose gattona.
– No, non è vero, – disse Pietro, imbarazzato, cercando di respingerla indietro. Gliele stava mettendo in bocca, le tette.
– Potremmo provare io e te. Da soli. Ti chiamo.
– No, tu non mi chiamare, ti chiamo io.
Uscirono.
Era già buio e faceva freddo.
Pietro e Paolo camminavano per una stretta stradina chiusi nei cappotti lunghi fino ai piedi.
– Col cazzo che la chiamo io a Laura. Quella è una piattola, – disse Pietro soffiandosi sulle mani.
– Tu sei un pazzo malato. Quella ti si farebbe subito. Le dai alla testa. Che cosa aspetti? – gli fece Paolo.
– A me quella là fa un po’ impressione. Sembra che ti voglia mangiare con gli occhi.
– Io mi farei mangiare molto volentieri da Laura. Hai visto che bocce? Rocco c’ha avuto una storia l’altr’anno, mi ha detto che è una bella macchina da sesso. Secondo me quella ti potrebbe aiutare a diventare uomo, – disse ridendo Paolo.
– Sei divertente, – fece Pietro offeso.
– Ogni volta che si parla di scopare, tu t’infastidisci. Mi chiedo come mai.
– Vuoi sapere perché? Perché secondo me il fatto che io sia ancora vergine a te ti fa impazzire di gioia. Ogni volta in un modo o nell’altro me lo fai notare. Tu ti senti un fico, vero? Perché vai a letto con Eli, ti senti un uomo vero…
– Madonna mia come t’incazzi. Hai una coda di paglia bestiale. E poi scusa, sei pure fidanzato con Patty, perché non ci scopi?
– Perché non mi va. Non ne ho voglia. Credo che non siamo ancora pronti. Voglio farlo solo quando sarò sicuro che la nostra è una storia importante!
Arrivarono alla fermata dell’autobus.
– Stai malissimo, Pietro. Mi dispiace dirtelo, ma stai veramente male. Ti rendi conto di cosa stai dicendo. Secondo me lei non te la vuole dare. Io se fossi in te chiamerei di corsa Laura. Patty non lo verrà mai a sapere! – disse Paolo con un’aria preoccupata.
– Patty ha un sesto senso per queste cose, mi sgamerebbe in tre secondi e poi non ho nessuna voglia di tradirla… Guarda, sta arrivando il 59. È il mio.
L’autobus frenò e aprí le porte. Pietro ci saltò sopra e fece un saluto a Paolo con la mano.
Il naso non le faceva male, un po’ gonfio ma non le faceva male. Patrizia si stava guardando nella vetrina di un negozio. Era strana con quel coso al naso. L’anello, un cerchietto d’argento, le forava la narice destra. Non era convinta che le stesse veramente bene.
Forse mi devo solo abituare, pensò.
Continuò a camminare fino a casa. Ora doveva affrontare il passo piú difficile: sua madre. Si sarebbe arrabbiata sicuro. Due, tre giorni al massimo e passava. Era fatta cosí. Un temporale d’estate.
Entrò nel suo palazzo di corsa e prese l’ascensore.
Dentro l’ascensore si guardò di nuovo allo specchio. I suoi occhi erano avidi di vedere quel cambiamento sul suo volto.
– Sto benissimo! E ora andiamo ad affrontare l’orco, – si disse ad alta voce, prese una boccata d’aria e uscí sul pianerottolo.
In casa c’era solo suo fratello Antonio che guardava la televisione.
Non gli disse niente. Decise di fargli una sorpresa.
– Come va? – gli chiese.
– Bah, insomma. Fa un freddo bestiale!
Antonio aveva ventun anni. Era grosso e alto e ci stava stretto sdraiato sul divano. Si era imbacuccato in uno scialle di sua madre.
– Sembri una vecchietta! La mamma dov’è? – rise Patrizia cercando di attirare la sua attenzione.
– Boh, non lo so. È uscita. Dovrebbe tornare…
Niente. Aveva gli occhi puntati dentro lo schermo. Non le aveva concesso neanche uno sguardo.
Il rumore della chiave nella serratura. La porta di casa si aprí. La madre di Patrizia entrò. In mano le buste della spesa. Una bella donna, alta e con dei lunghi capelli biondi.
– Patty, vieni a darmi una mano che queste buste pesano un accidente…
Patrizia si fece avanti spavalda.
– Patrizia, oh mio Dio, che hai fatto? – disse la madre facendo cadere a terra le buste.
– Mi sono fatta il buco al naso. Ti piace?
Patrizia aveva detto queste parole con l’ansia dentro. Sperò con tutte le forze che a sua madre piacesse.
– È orrendo. Io proprio non ti capisco!
– Dài ma’… È bellissimo.
– Ti fa una faccia da idiota.
Antonio si era alzato e guardava la scena senza dire niente.
– Antonio a te piace? – gli chiese Patrizia. Sperò che il fratello le venisse in soccorso.
– Insomma…
– Patrizia perché ? – le chiese sua madre. Era immobile con le buste a terra vicino ai piedi.
– Perché mi piace.
– Che cosa vuol dire!? Dai delle risposte da deficiente.
– Perché fa molto alternativo. Patty in questo periodo si sente molto alternativa. Ci fa la punk ribelle e crede che tingersi i capelli e farsi il buco al naso sia molto trasgressivo ma non ha capito che è il massimo del conformismo, – disse Antonio con un mezzo sorriso sulla faccia.
– Bravo. Ora ha imparato pure a fare il sociologo. Sei un coglione, – fece Patrizia e capí nello stesso momento l’errore che aveva fatto: chiamare coglione il fratello. Ora sua madre aveva un appiglio.
Antonio con il sorriso in faccia, avvolto nello scialle, se ne andò.
La madre prese le buste ed entrò in cucina. Le mise sul tavolo. Patrizia la seguí.
– Io sono stanca di te, Patrizia. Come parli? Non ti riconosco piú. Che ti sta succedendo? Ti vesti come una stracciona. Credi di essere piú sexy? Credi che cosí i ragazzi ti corrono dietro?
La madre di Patrizia aveva preso il via. Ora era impossibile fermarla. Mentre parlava, come un automa, tirava fuori il cibo dalle buste e lo metteva a posto.
– Che dici? Perché mi parli cosí? – disse Patrizia poggiata allo stipite della porta.
– Non studi. Passi tutto il giorno con quel debosciato di Pietro. È lui che ti ha convinta, vero?
– Che c’entra Pietro? Ho deciso io. Credi che non sappia decidere niente da me?
– Tu decidi tutto da te. Non parli mai. Io avevo fiducia in te. Cerco di avere un rapporto di amicizia ma tu fai tutto di testa tua. Non mi racconti niente.
Patrizia odiava quando sua madre faceva l’amica. La faceva diventare piú vecchia di cento anni.
– Che cosa?
– Quello che fai tutto il giorno. Dove vai. Io non so niente. Non ci sei mai. Vieni solo a cena.
– Non è vero, ma’.
Che palle, pensò Patrizia. Piú di tutto odiava il tono lamentoso di sua madre. Sembrava una bambina. Una bambina vecchia e insensibile.
– Che cosa fai insieme a Pietro tutto il giorno?
In quella domanda Patrizia trovò che c’era come una strana malizia morbosa di sottofondo. Una brutta curiosità. Insopportabile. – Che cosa ci faccio? Dài!
– Lasciamo perdere…
Stava andando tutto nel piú classico dei modi. Ora Patrizia avrebbe dovuto solo insistere e sua madre avrebbe cacciato il rospo.
– Lasciamo perdere un bel niente. Che vuoi dire?
– Se non me ne parli tu…
Patrizia decise di interrompere i deliri di sua madre. Pane al pane, vino al vino.
– Ho capito. Pensi che sto tutto il giorno a scopare con Pietro. Lo so quello che immagini. Orge, qualsiasi cosa, solo perché mi metto una giacca di pelle e ho tre buchi all’orecchio, – le disse sapendo di essere perfida.
– Sei completamente impazzita? Ma come parli, Patrizia?
– Tu sei mia mamma, lo capisci? Io non ho nessuna voglia di confidarti certe cose. Ogni volta che esco con qualcuno ti vedo che cerchi di capire. Non c’è niente da capire. Mamma, io non sono piú vergine. Ora sei contenta?
Pietro stava seduto sul letto a non fare niente. Aveva mangiato da poco e non aveva voglia di uscire. Faceva troppo freddo. Prese il telecomando e diede vita alla televisione. Trovò un documentario sulle termiti dell’Amazzonia.
– Grande! – disse ad alta voce.
Si infilò meglio sotto il piumone.
La porta della sua camera si aprí improvvisamente. Entrò Patrizia.
– Ohi Patty che ci fai qua? Ma che hai fatto al naso?
– Hai visto? Anch’io mi sono fatta il buco. Ti piace? – disse Patrizia contenta, poi piroettò su se stessa.
– Sei belliiissimaaaa! Sei belliiissimaaaa!
Pietro si era messo in piedi sul letto, il basso tra le mani, e cantava la canzone di Loredana Berté.
– Quanto sei scemo! Ti piace allora? – chiese ancora.
Pietro si mise seduto sul letto e disse serio:
– Ti sta benissimo.
– Veramente?!
– Veramente!
Patty gli saltò in braccio e cominciò a riempirlo di baci. Tantissimi. Su tutta la faccia.
– Ohi che ti è preso? Un attacco di bacite acuta? – disse lui crollando tra le coperte. Sopra, a cavalcioni, Patrizia continuava a tempestarlo di baci. Poi di botto smise. Si tirò su e se lo guardò dall’alto.
– Va bene, facciamolo, – disse infine.
– Cosa?
– Facciamolo!
– Cosa?
– L’amore.
– Non ci posso credere. Ti sei decisa?
– Sí, mi sono decisa.
– Perché?
– Perché ti voglio bene.
– Ma sei sicura? Cosí, di botto!
– Che è, non ti va?
– No… No… per andarmi mi va…
– E allora stai zitto e baciami!
Patrizia si piegò su Pietro, gli strinse le mani intorno al collo e lo baciò in bocca.