Farà caldo quella sera e sarai stanco di camminare.
Stanco di trovarti lontano da casa, stanco delle scarpe che ti fasceranno dolorosamente i piedi. Continuerai a camminare per un po’ cosí, infilandoti a caso nel dedalo di stradine. Non avrai piú voglia di controllare sulla mappa la tua posizione. Ti perderai, questa è la verità. Penserai che con un po’ di intuito riuscirai a tornare su una grande arteria, su uno di quei viali alberati che tagliano a pezzi la città e prendere un taxi e farti portare all’albergo.
Tua moglie ti starà sicuramente aspettando. L’ansia sicuramente avrà già assalito la povera donna.
Una pessima idea quella che ti ha spinto a intrufolarti in quel groviglio di vicoli incoerenti alla ricerca di chissà quali tesori artistici. Ti farai animo e ripartirai. Il sole sarà già tramontato dietro i tetti e le tenebre cominceranno a rendere i contorni delle costruzioni meno definiti. Prenderai un viottolo a destra. Il fondo della strada diventerà piano piano piú dissestato e viscido fino a trasformarsi in un pantano dove ti sarà difficile camminare senza inzaccherarti le scarpe.
Imprecherai.
Le costruzioni di pietra perderanno progressivamente la loro integrità di case per diventare ammassi di sassi sgangherati tenuti insieme alla meno peggio da travi di legno mangiate dal tempo.
Non un’anima a dare vita a quei ruderi. Non un povero Cristo. Non un cane.
Quel posto sarà inquietante nella sua desolazione da terremoto e tu deciderai che sarà il caso di tornare indietro. Girerai su te stesso e comincerai a filare dritto senza rompere il passo di marcia.
Non ti ritroverai, inevitabilmente convinto di aver percorso un unico vicolo dove ora invece c’è un bivio.
Dove sono? Com’è possibile?
Due strade larghe pochi metri partiranno in direzioni opposte. Prenderai quella a sinistra. Imbrunirà e la strada non sarà illuminata. Solo il riverbero della luce diffusa della città rischiarerà un po’ il paesaggio. Spazzatura, reti di letto, frigoriferi sfondati, televisori scoppiati ti ostruiranno il passaggio.
Nella testa avrai solo l’immagine di te chiuso in un taxi che ti porta all’albergo, da tua moglie, a un bagno caldo.
Ma non sarà cosí, lo sai.
Prima fuori.
Fuori da queste catapecchie, fuori da questo pantano.
Attraverserai una volta di marmo chiusa tra due case arroccate e scenderai delle scale storte, scivolose, coperte di vegetazione e muschio.
Dove vai?
Una discarica.
Di là potrai solo andare a morire. Farai marcia indietro e rimonterai sbuffando. Mentre ti arrampicherai sugli scalini scassati, sentirai una voce dietro le spalle:
– Signore, signore, ti sei perso?
Ti girerai e in una porticina, che prima non avevi notato, vedrai una ragazzina. Undici, dodici anni al massimo. Capelli neri e lunghi, lisci sulla testa, sulle spalle esili. Occhi penetranti e grandi, una bocca scura e gonfia. Magra, sottile, e sotto il vestitino di cotone grigio i piccoli seni e i capezzoli immaturi. Le lunghe gambe da puledra escoriate sulle ginocchia e i piedi scalzi e sporchi.
– Sí, credo proprio di sí, – riuscirai a risponderle dopo esserti ripreso dalla sorpresa.
– Vuoi che ti aiuto? – ti chiederà la ragazzina guardandoti fisso fisso.
– Sí, per favore. Ho paura che da solo non ce la posso fare, – le dirai.
La ragazzina ti si avvicinerà e ti prenderà la mano. Tu sentirai l’inconsistenza e la delicatezza di quella stretta. Bella e minuta e stranamente donna in quelle forme acerbe.
Lei ti tirerà per le scale ridendo e mostrando i denti candidi. Di corsa le ultime rampe.
Tornerete nel vicolo da cui sei partito e proseguirete.
– Vuoi venire a casa mia? – ti chiederà strana, sorridendo smorfiosa.
– No grazie, piccola, devo tornare all’albergo, mia moglie mi sta aspettando, si sarà già preoccupata. Dove posso trovare un taxi? – dirai dandoti un tono di incorruttibilità.
– Vieni con me, allora.
Mano nella mano per i vicoli. Ti sembrerà di girare in tondo e che la ragazzina lo faccia di proposito.
– Sei sicura che questa è la strada? – chiederai trafelato.
Suderai e sarai innervosito dalla situazione.
Non ti piace essere preso in giro da una bambina appena appena cresciuta.
– Non ti fidi di me? – lei ti chiederà con uno sguardo che forse potrai definire languido.
Questa ragazzina è già una donna, ha già coscienza delle sue forme avvenenti. Quel modo strano di guardare sfacciata, pare consapevole delle forze ormonali che in breve tempo trasformeranno il suo corpo in un bellezza adulta. Questo penserai mentre verrai tirato negli oscuri vicoli.
Sfrontata. Una prostituta. Una bambina puttana. Li conosce gli uomini, concluderai.
Intanto il sole sarà tramontato. Sarà tutto buio. Non un lampione, non una finestra illuminata. Il buio ti costringerà a camminare poggiando le mani sui muri.
Quanto tempo è passato da quando l’ho incontrata? rifletterai.
Moltissimo, troppo.
A un tratto la ragazzina urlerà. Il suo grido squarcerà il silenzio.
Alzerà un piede e rimarrà, un attimo, in equilibrio su una gamba sola e poi si accascerà a terra tra le immondizie.
– Che succede? – le farai fermandoti preoccupato.
– Mi sono tagliata, – ti dirà.
Starà a terra con il piede tra le mani.
– Fammi vedere che ti sei fatta, – dirai tu tirando fuori dalla tasca l’accendino.
Non si è fatta nulla, sta solo fingendo, mi vuole fregare, penserai sentendoti in fondo in fondo colpevole di quei pensieri malevoli.
La luce traballante rischiarerà un po’ intorno. Tu le prenderai il piede e lo avvicinerai alla fiamma.
In mezzo alla pianta si è conficcata una grossa scheggia di vetro. Il sangue cola dal taglio riempiendole di rosso il piede e gocciolando dal tallone.
– Mi fa male. Levamela, ti prego, – farà la bambina senza piangere. La voce le si sarà contratta per il dolore.
– Ti farò un po’ male, devi resistere, – dirai facendoti forza e vincendo lo schifo.
Allargherai un poco il taglio e vedrai il vetro immergersi in profondità nella carne, tra i fasci di muscoli. Il sangue renderà scivolosa la scheggia e farai fatica a stringerla fra le dita. A ogni tentativo la bambina tremerà percorsa da un fremito di dolore che le farà piegare la bocca e arricciare il naso. Avrai solo il suo respiro affannato nelle orecchie. Ti sentirai maldestro e le tue grosse mani saranno capaci solo di arrecarle piú pena.
– Non ci riesco. Mi scivola. Avrei bisogno di una pinza o qualcosa del genere, – le dirai e sentirai un groppo salirti su per la gola. Avrai lo stomaco chiuso in un gomitolo.
– Con i denti, devi levarmela con i denti, – farà lei con un filo di voce.
Sarà sdraiata a terra e terrà, poggiandosi sui gomiti, il busto rialzato. Ti guarderà incitandoti a operare.
Neanche i cani fanno cosí. Chirurgia tribale, penserai.
– Forse è meglio se troviamo un medico, – risponderai perplesso. Continuerai a tenerle la gamba sollevata, reggendola per la caviglia.
– Levamela. Non parlare, – insisterà lei.
Tu allora avvicinerai la bocca alla pianta del piede. Sentirai l’odore forte e stucchevole del sangue che si va coagulando. Le mani ti si saranno riempite di quel liquido viscido. Poggerai le labbra fino a bagnarle; il sapore salato e pastoso del sangue ti riempirà il palato. Spegnerai l’accendino e sprofonderete nel buio.
Con tutte e due le mani prenderai il piccolo piede attraversato da un leggero tremore. Chiuderai gli occhi e farai forza con la bocca contro il taglio. Con i denti percepirai le labbra sfilacciate della ferita e vi poggerai per un attimo, solo per un attimo, la lingua sopra. Tratterrai il respiro.
La ragazzina emetterà dei lamenti soffocati.
Sentirai gli spigoli affilati della scheggia e la stringerai con forza. Tirerai. Il frammento di vetro scivolerà all’interno della carne viva e te lo ritroverai in bocca. Lo sputerai a terra. Potrai finalmente respirare.
Durante tutta l’operazione lei sarà rimasta in silenzio trattenendo il respiro. Non un lamento, non un grido.
– Va meglio? – chiederai.
– Sí, va meglio, – ti risponderà svuotandosi dal male.
Tu sentirai il sangue intorno alla bocca che ti si andrà seccando. Userai di nuovo l’accendino per fare luce.
– Sembri un vampiro assetato di sangue, – ti dirà cercando di ridere. Nonostante tutto continuerà a sorridere.
Probabilmente è necessario qualche punto e anche una bella antitetanica non ci sta niente male, penserai tra te.
Cercherai di levarti il sangue passandoti la manica della giacca sul viso.
– Aspetta. Vieni qua. Fatti pulire, – ti farà lei con la voce non ancora del tutto distesa.
Tu ti avvicinerai incerto. Gli occhi le brilleranno illuminati dalla fiamma.
Parla come se avesse vent’anni. Quanti anni ha? Mi tratta come se le fossi coetaneo, ti dirai stranamente agitato.
Lei si bagnerà i polpastrelli sulla lingua. Piccola, rossa e carnosa. Poi incomincerà a passarti le dita intorno alla bocca, sopra le labbra.
– Bisognerà fasciarlo quel piede, – riuscirai a dire dandoti un contegno.
Non sarai sicuro di esserci riuscito.
Il sangue seguita a fluire dalla ferita.
Non si ferma.
– Fammi vedere. Illumina, – farà lei.
Si prenderà il piede in mano e si piegherà mentre tu continuerai a fare luce con l’accendino. Lei si guarderà il taglio profondo che le attraversa il piede e poi senza dire niente prenderà un lembo del vestito e farà forza. La stoffa nonostante la sua apparente inconsistenza non si strapperà.
– Aiutami. Per favore.
Perché mi capitano queste cose? Che cosa c’entro io? Perché? penserai. Spegnerai l’accendino.
Tenebre.
Al buio afferrerai la stoffa tra le mani e comincerai a tirare. Niente. Tirerai con piú forza. Finalmente il panno cederà e nel silenzio intervallato dai respiri della ragazzina sentirai uno strrrrraapp. Ti rimarranno nei pugni brandelli di vestito.
È nuda, penserai.
Farai luce tenendo gli occhi abbassati a terra. Poi tirerai su lo sguardo piano, timido, cercando di non sembrare sconvolto e te la vedrai davanti coperta solo dalle mutande da bambina. Abbasserai lo sguardo imbarazzato. Spegnerai di nuovo la fiamma. Strapperai deciso l’abito trasformandolo in strisce cercando di non pensare a niente. Attento solo a farle dritte.
– Tieni l’accendino. Ora te lo fascio, – dirai e ti accorgerai di avere una strana voce, piú rauca e indecisa.
Lei farà luce e tu, a quel punto, maledicendoti ma desiderandolo, non potrai fare a meno di guardarla, lí nuda e distesa davanti a te tra l’immondizia. Il tuo sguardo correrà, e tu non potrai farci niente, sui seni tondi e stranamente prominenti, sui capezzoli scuri e sul ventre piatto. Sentirai un calore nascerti da dietro, desiderio e imbarazzo mischiati insieme, in fondo alla schiena, e risalirti a vampate lungo la colonna fino a invaderti la nuca e trasformarsi in brividi di freddo alla radice dei capelli.
Perché l’hai voluta guardare?
Non vorrai accettare il fatto che tra sentimenti contrastanti che ti si accavalleranno sul cuore il desiderio si ingrosserà riempiendoti d’imbarazzo. Ti sembrerà pazzesco che a te possano passare quelle idee per la testa. Ti scaturiranno nel cervello strane immagini che ti metteranno a disagio. Ti sentirai caldo in volto.
Chiuderai gli occhi.
Chissà come ti starà guardando?
Riaprirai gli occhi sul suo volto. Lei ti starà sorridendo.
Che fai? Non guardi? Non partecipi al banchetto? ti starà dicendo con il sorriso complice quella stronza. Non ti interessa? Sei sicuro?
– Alza la gamba! – dirai.
Afferrerai le fasce. Cercherai di essere piú determinato, di interrompere quella brutta spirale che ha preso il tuo cervello.
– Alzala di piú! – dirai deciso, arrabbiato. Con chi? Con te o con lei?
Basta!
Avvolgerai le bende. Le avvolgerai nel migliore dei modi. Alzerai un attimo lo sguardo, solo per prenderne un’altra e rimarrai colpito dal colore scuro di quel corpo, da quel ventre coperto di pelle liscia, dai peli sottili che le escono dalle mutande.
Finirai il tuo lavoro. Gli stracci che le stringono il piede si sono già tinti di rosso.
Non vuole smettere di sanguinare. Che devo fare? penserai.
– Puoi camminare? – le chiederai già sapendo che sarà impossibile, che sarebbe costretta a saltellare su una gamba sola.
Dovrai caricartela in braccio.
– No, non credo! – ti dirà.
Lei vuole questo. Vuole che io le metta le mani addosso, ti dirai.
Si alzerà in silenzio, per niente pudica e ti guarderà come aspettandosi qualcosa da te.
È bellissima. Ha un corpo da gazzella. Non ho mai visto niente del genere, penserai.
– Ti porto in braccio, – dirai senza guardarla. Non vorrai tirare su lo sguardo. Ogni volta che le parlerai sarai costretto a guardarla e tu non vuoi guardarla quindi cercherai di parlare poco.
Ti avvicinerai impacciato e cingerai la sua schiena con il braccio destro, lei ti abbraccerà attaccandosi stretta al tuo collo. Le poggerai la mano sinistra su una coscia e la solleverai.
Non è difficile. È leggera e inconsistente.
Vedrai a pochi centimetri dalla tua bocca il nasino all’insú, i suoi occhi neri piantati dentro i tuoi. Ti incamminerai.
La luna sarà finalmente comparsa tonda ed enorme investendo di pallore il borgo distrutto. Lei respirerà e anche tu respirerai, solo piú accelerato, piú profondo. Ti incomincerà a pesare sempre di piú tra le braccia, man mano che andrai avanti in quel labirinto, e le mani prenderanno a sudarti. Ti scivolerà e con la mano destra sentirai l’attaccatura del seno, la sua consistenza.
Sei troppo preso da queste sensazioni per capire dove stai andando.
La stretta intorno al tuo collo si è fatta progressivamente meno decisa ma tu non te ne renderai conto subito. Non ti renderai conto che il suo corpicino è divenuto piú sciolto, piú libero, tra le tue braccia, che si sta trasformando in un mucchio di ossa e carne. Sarai troppo preso a sentire piaceri impercettibili attraverso i polpastrelli e a camminare, per capire che si sta spegnendo.
Si spegne e tu cammini.
Poi non ti accorgerai di una buca che ti farà sobbalzare. La stretta intorno al tuo collo si scioglierà e le braccia senza vita cadranno in basso sul petto senza vita, e la testa ciondolerà senza vita.
Che farai allora?
Ti fermerai. Cercherai un posto dove adagiarla. La allungherai su un mucchio di calcinacci e vedrai quel corpo sciolto risplendere di luce lunare davanti a te. Ti piegherai su di lei, la scuoterai, ma scuoterai solo carne, solo avanzi di vita.
– Che hai?! Che hai?! – urlerai impazzito, mentre il gelo ti salirà su per le gambe stringendoti in una morsa ghiacciata i testicoli.
Poggerai la testa tra i suoi seni. Il cuore sarà lontano, impercettibile, starà faticosamente battendo gli ultimi colpi.
Disperato continuerai a scuoterla, pensando di poterla riattivare, riportarla in vita.
Ma non è possibile e lo sai pure tu.
Lo sai e basta.
Metterai, impazzito, l’orecchio contro le sue labbra candide, contro la sua bocca spalancata e ti impossesserai del suo ultimo respiro.
(1997)