Era mio padre a portarmi a dormire, quando ero bambina. Prima di spegnere la luce mi chiedeva di ringraziare per qualcosa di bello che era successo durante il giorno. «Almeno tre cose», diceva, e le contava sulla punta delle mie dita. «Il pollice ringrazia per?» e io raccontavo una cosa bella di quella giornata. «E l’indice?» «E il medio?» Quando la giornata era proprio bellissima, o quando io non avevo voglia di dormire e volevo restare a chiacchierare ancora un po’ con lui, tiravo fuori anche l’anulare e il mignolo dal pugno chiuso: anche loro avevano qualcosa per cui dire grazie. «Così fai sogni più belli», diceva mio padre, dopo avermi baciato la punta delle dita che avevano trovato qualcosa di buono da raccontare.
Una sera, dopo che era uscito dalla mia stanza, avevo sentito dei colpi venire da sotto. Un rumore sordo, ripetuto, che mi aveva stanato dal fondo limaccioso di un sogno per portarmi lentamente in superficie. Mi ero alzata brancolando nella stanza buia e avevo guardato di sotto. Il rumore veniva dall’orto. Era estate e l’aria era tiepida, si sentiva l’odore dei campi, della terra rivoltata che nella notte rilascia calore, mentre minuscoli insetti continuano il loro movimento incessante dentro tunnel microscopici.
Riuscivo a vedere qualcosa brillare nell’erba grigia, ma era troppo buio per distinguere più che una sagoma piegata su sé stessa.
«Papà», ho detto.
I colpi continuavano.
«Papà», ho gridato.
La sagoma si è fermata e, per un attimo, la luce puntata contro di me mi ha abbagliata facendomi serrare gli occhi con forza. Poi mio padre ha rivolto la torcia verso il proprio volto, per farsi riconoscere.
«Sono io», ha detto. «Sta’ tranquilla.»
«Ma che stai facendo lì al buio?»
«Non sono al buio, vedi? Ho la torcia. Il vento di oggi pomeriggio ha rotto i bastoni dei pomodori. Tocca ripiantarli, se no addio.»
«Ma è tardi. È già notte. Non lo puoi fare domani?»
«Ci metto poco. Torna a letto, pulcino. Avrò finito tra poco.»
«Ma non riesco a dormire», mi sono lagnata io. «E se faccio sogni brutti?»
«Non farai sogni brutti. Pensa che ogni colpo che senti è qualcosa di buono che ti cade nel piatto.»
«Ma non ti succederà niente di male, lì fuori?
«No, certo che no. Perché dovrebbe? E non succederà niente di male nemmeno a te, stai tranquilla. Ci sono io di guardia.»
Non ho fatto sogni brutti, quella notte. Ho chiuso gli occhi immaginando pomodori come grossi cuori succosi; l’enorme cuore di mio padre sempre in allerta, di giorno e di notte, perché niente venga a mancare e niente di male possa succedermi.