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La pesante porta di ferro si chiuse alle spalle di Peppi con gran clamore. Il fracasso lo fece trasalire – un riflesso che gli era rimasto nelle ossa dai tempi della guerra, e di cui non si sarebbe mai liberato. Il cuore gli batteva così in fretta che gli sembrò di avere nel petto un uccellino che tentasse disperatamente di guadagnare la libertà. Respirando a fatica si lasciò cadere sul pagliericcio infestato di parassiti che gli faceva da letto e si guardò intorno in preda allo sconforto.

La cella era un buco sporco, freddo e pieno di spifferi. Dal secchio che fungeva da latrina saliva una puzza tremenda e la piccola finestra con le sbarre, sistemata vicino al soffitto, lasciava entrare così poca luce che non si riusciva a dire con certezza se fosse giorno oppure notte.

Un luogo desolato, in cui si ritrovava solo con le sue paure e preoccupazioni.

L’avevano messo in isolamento per proteggerlo dalla rabbia crescente degli altri detenuti. Richard Fürst era amatissimo, un angelo dei poveri, che aveva generosamente aiutato molti dei detenuti o perlomeno le loro famiglie.

Benché affermasse con forza di non aver nulla a che fare con quell’orrendo delitto, gli altri facevano orecchie da mercante. Agli occhi dei compagni di prigionia era lui l’assassino – e per questo doveva pagare.

Volevano vendicarsi. Avevano voglia di rappresaglia. Volevano vederlo crepare – possibilmente piano piano e in modo molto doloroso.

Dopo lunga riflessione era giunto alla conclusione che avrebbe fatto meglio a mettere fine alle proprie miserie, magari sbattendo forte la testa contro un muro oppure strappandosi a morsi le vene dei polsi, ma poco prima che potesse mettere in atto il suo piano era saltato fuori quell’Emmerich.

Sospirò. Emmerich aveva portato con sé la speranza. Riusciva a percepirla, si era annidata da qualche parte tra la pancia e il cuore, tiepida, chiara, un minuscolo seme che per sua natura vuole crescere.

Si appoggiò al muro e pensò al mondo là fuori. Nonostante le sue limitazioni aveva vissuto una bella vita, con un buon lavoro e tanti amici. Da poco aveva persino conosciuto una donna, Adelheid, una vedova di guerra. Certo, non era una bellezza, ma era una tipa allegra e rispettabile. Mai nella vita avrebbe pensato di poter essere amato, nemmeno lui era un bello spettacolo, ma lei gli aveva dimostrato il contrario.

Peppi si tirò su e si stiracchiò. Quell’Emmerich sembrava un tipo tosto, uno di quelli che non si perdono d’animo. Se c’era qualcuno in grado di rendere possibile l’impossibile e tirarlo fuori di lì, quel qualcuno era lui.

Un timido sorriso gli si disegnò sulle labbra. Allora, alla fin fine, anche per lui le cose potevano mettersi bene? C’era anche per lui la prospettiva di ottenere giustizia? Doveva avere fiducia in Emmerich e resistere. A tutti i costi.

«Ehi, storpio di merda!» sibilò una voce. Quasi contemporaneamente la finestrella nella porta della cella, il cosiddetto “buco di Giuda”, venne aperta e due occhi verdi presero a fissarlo. «Tanto per essere chiari… prima o poi ti prendiamo, e te la facciamo pagare per quello che hai fatto al signor Fürst».

«Non sono stato io!» gridò Peppi. «Vi prego, dovete credermi. Io volevo bene al signor…».

Un forte grugnito coprì il resto della frase. «Se eri innocente mica stavi qui».

«E invece sì» affermò Peppi. «Lo giuro sulla mia vita».

«Tanto quella non vale niente. Comincia a dire le preghiere». A quelle parole la piccola feritoia venne nuovamente chiusa e Peppi restò paralizzato dallo shock.

«Si sbrighi, signor Emmerich» sussurrò. «Faccia in fretta».