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Bach. Johanna Abele amava Bach.
Le Variazioni Goldberg, i Concerti brandeburghesi, Il clavicembalo ben temperato o L’arte della fuga… l’apparente semplicità della musica, la sua precisione e la sua grazia – tutto ciò contribuiva a ispirarla e le faceva cantare l’anima.

Ma non quel giorno. Quel giorno aveva scelto, in modo quasi inconsapevole, la Passione secondo Matteo. Forse perché il Venerdì Santo era ormai prossimo? Perché era turbata dal fatto di dover passare un’altra serata da sola a casa?

«Wir setzen uns mit Tränen nieder…» echeggiavano le prime note del drammatico coro finale.

Johanna Abele si lasciò andare contro lo schienale della poltrona abbandonandosi all’avvolgente melodia in tre quarti.

Bach. La vecchiaccia ascoltava Bach, per giunta a un volume tale da consentirgli di salire la scala scricchiolante e camminare sull’altrettanto scricchiolante pavimento in legno del primo piano senza che nessuno si accorgesse della sua presenza.

«…Und rufen dir im Grabe zu, ruhe sanfte, sanfte ruh».

C’era mancato poco che non scoppiasse a ridere. La Passione secondo Matteo. Che ironia.

Pian piano aprì la porta ed entrò nella stanza. Nonostante fosse ricchissima, la vecchia viveva in modo molto semplice. I mobili erano pieni di graffi e segni dovuti all’uso, il tappeto era ormai frusto e si lesinava anche sul riscaldamento.

Johanna Abele sedeva a occhi chiusi in una poltrona consunta e muoveva la testa a tempo di musica. Era così esile, con braccia così fragili…

«Ruht, ihr ausgesognen Glieder! Ruhet, sanfte, ruhet wohl! Euer Grab und Leichenstein…».

La fortuna era proprio dalla sua parte, quella missione si stava rivelando un gioco da ragazzi. Aveva il respiro calmo e il corpo, che fino a poco prima aveva un po’ tremato, adesso era del tutto rilassato. Con cautela si portò alle spalle della vegliarda che ancora non si era accorta di lui.

Mentre le metteva le mani intorno al collo le sussurrò all’orecchio le parole cantate dal coro «Soll dem ängstlichen Gewissen ein bequemes Ruhekissen und der Seelen Ruhstatt sein». Che la lapide e la tomba siano un morbido cuscino per la coscienza tormentata, e luogo di riposo per l’anima.

Johanna Abele sobbalzò spaventata, emise una sorta di gracidio e si afferrò alle dita dell’uomo. Tirò e tirò, provò a strapparsele via dal collo e si scosse con forza insospettata. Lui strinse più forte, sentì la laringe attraverso la pelle dei guanti.

«E adesso muori, dannata traditrice del popolo» sibilò. «Te lo sei meritato».

Anziché rassegnarsi e finalmente cedere, la vecchia mise tutta la forza che le restava in un ultimo, disperato tentativo di liberarsi. Si impennò, urtò il tavolino su cui era appoggiato il grammofono e anche il vaso di fiori sul davanzale.

Quell’inaspettata resistenza e il rumore della porcellana che si rompeva in mille pezzi spaventarono l’uomo, che per una frazione di secondo allentò la presa.

Johanna Abele approfittò dell’occasione. Girò la testa di lato emettendo un fioco gorgoglio, poi aprì la bocca e morse la prima cosa che le capitò a tiro: il polso dell’uomo.

«Maledetta carogna» imprecò lui liberandosi dalla stretta. La afferrò per la spalla, la rimise giù a sedere e di nuovo le chiuse le mani intorno al collo.

Stavolta non commise l’errore di sottovalutarla.

Quando tutto fu finito sgattaiolò in corridoio e si spaventò alla vista di uno sconosciuto che lo fissava impallidito. Si portò una mano al cuore e respirò sollevato quando si rese conto di osservare il proprio riflesso allo specchio. Era davvero lui, quello? Fece un passo verso la superficie graffiata dello specchio e si guardò negli occhi. Era cambiato? Gli si poteva leggere in faccia che era diventato uno spietato assassino?

No, aveva lo stesso aspetto di sempre. Con un sorriso sulle labbra si affrettò a uscire, canticchiando tra sé e sé «Ruhe sanfte, sanfte ruh…».