Da quando la maledizione era stata spezzata Rita Haidrich si sentiva leggera e serena come non mai. Finalmente poteva godersi le riprese e il viavai della stampa.
Quel brontolone del signor Emmerich con la sua ferita di guerra aveva fatto davvero un lavoro eccellente – e doveva ammettere che non se lo sarebbe mai aspettato.
Che giornata magnifica! Truccata e abbigliata nel suo costume di scena ammirava stupita il miracolo che Oswald e Jeschek erano riusciti a compiere durante la notte. Ai margini di Sievring, in un vitigno abbandonato, era sorto un grosso palazzo in stile orientale. Due sfingi che sorvegliavano il portale d’ingresso, tra fontane cangianti decorate a mosaico incorniciate da palme.
Ancora più impressionante, però, era il numero di persone presenti. Dovevano essere centinaia. Come formiche sciamavano in tutto lo scenario, salendo e scendendo dalla collina. Falegnami, fabbri, decoratori, tecnici di scena, addetti alle riprese e tante, tantissime comparse. Costumi fantasiosi, finti gioielli, stendardi colorati e bandiere al vento in ogni dove. Più Rita Haidrich osservava quell’imponente spiegamento di mezzi e risorse, più scopriva dettagli incredibili – cavalli, carrozze, alberi di aranci, sì, persino un cammello che sostava annoiato in mezzo a tutto quel trambusto. O forse era un dromedario?
Non c’era da stupirsi che Oswald continuasse a lamentarsi senza sosta di non avere più un soldo in tasca. Quello scenario doveva essere costato un patrimonio.
«Signora Haidrich, aspetti». Mitzi, la sua guardarobiera, si avvicinò di corsa e la tirò per un angolo del peplo. «Ha già deciso quale abito indosserà domani sera?».
La Haidrich sospirò. «Mio Dio, il ballo! Non farmici pensare. Devo fare ancora un sacco di cose. Preparare il discorso, approvare le decorazioni e ovviamente scegliere un vestito. Con le tragedie degli ultimi giorni non ci sono ancora riuscita». Ripescò uno specchietto dalla borsetta di tela e si controllò la pettinatura. «Se dipendesse da me annullerei tutto, ma…».
«Signor Jeschek! Dove sono le barbe?». La voce tonante di Oswald sovrastò i rumori di scena. Azzimato e vestito di tutto punto gridava dal suo podio in un megafono di latta a forma di imbuto. «Mi servono le barbe! Subito! Immediatamente. Dov’è Jeschek, quel dannato fannullone? Che lo pago a fare?».
«Povero signor Jeschek» disse Mitzi. «Lavora come un mulo da soma. Come può un uomo solo occuparsi di tutta la scenografia?».
Nello stesso istante, il corpulento boemo arrivò correndo. «Eccomi eccomi eccomi» gridò. «Che aaaltro successo, adeeesso?».
«Dove sono le barbe per i soldati persiani?» ringhiò Oswald attraverso il suo imbuto, benché l’altro gli fosse a un passo.
Jeschek sollevò il braccio come a proteggersi. «L’ho deeetto, io. Niente soldi per treceeeeento barbe» sibilò. «Non c’è più nemmeno un centeeesimo».
Oswald diventò paonazzo e prese aria.
«Non si arrabbi!» gridò Jeschek. «Che ci stanno a faaaare i disoccupati? Ho mandato viiia le comparse persiaaane e fatto venire treeeecento ebrei da Leopoldstadt. Tuuuuti barbuti. Un po’ di truuucco e sembreranno auteeeentici persiaaani, che più veeeri non si può».
«E il compenso?».
«Ho dovuto trattaaare un po’, ma alla fiiine ci siamo accordaaati».
Oswald sembrò soddisfatto. «Ho messo in questa scena tutti i soldi che mi restavano. Deve riuscire alla perfezione. Controlla che tutti gli elmi abbiano le placche laterali, ci manca solo che sbuchi qualcuno di quei boccoli da ebreo. Sia-mo in-te-si???». Si portò le mani ai fianchi, annuì soddisfatto e osservò la folla, come un direttore che contempli la sua orchestra.
«Mi sa che domani metterò il vestito di velluto verde smeraldo. È adatto al tema del ballo» disse Rita Haidrich.
«Ottima scelta» confermò Mitzi. «Sarà magnifica per la sua serata speciale».
«La mia serata speciale…» ripeté l’attrice mentre un sorriso estasiato le si dipingeva sul volto.