E questo che vorrebbe dire?». Dal reparto sifilide si levò una voce irritata che si sentì fino in corridoio. «Secondo te?» rispose un’altra.
«Che ci sarà un’altra guerra? Andiamo! Mica sono completamente idioti, gli esseri umani. La gente avrà pur imparato qualcosa da tutta questa merda. Nessuno vuole ricominciare a combattere».
Seguì un borbottio generale.
«Non li leggi i giornali? Nella Ruhr e a Berlino si combatte ancora. In Polonia è in corso un’offensiva bolscevica, in Russia non ne parliamo proprio, la Slovacchia vuole l’autonomia e dalla Tracia all’Asia minore all’Arabia è tutta una rivolta».
«Pure in Sudamerica c’è casino, quelli del Perù non vogliono più concedere l’accesso al mare ai bolivisti».
«Non si dice bolivisti, si dice boliviani. Chi sarebbe completamente idiota?».
«Insomma, basta!» gridò un tizio deciso a riportare la calma. «Abbiamo un compito importante da portare a termine. Ve ne siete già scordati? Avanti, continuiamo!». L’uomo batté le mani e ci fu finalmente silenzio.
Poco dopo le porte della stanza 8 si spalancarono e due barellieri portarono un nuovo paziente.
«Che succede qui?» chiese uno dei due dopo aver sistemato insieme al collega su uno dei letti liberi il malato con tutta la delicatezza possibile, come se si trattasse di un oggetto molto fragile.
Attorno al letto di Ludwig sedevano in cinque. Uno teneva in mano un dizionario, mentre un altro trascriveva in lettere incerte la traduzione che Ludwig dettava. Gli altri tre, più pubblico che aiuto, annuivano a ogni frase con aria seria e a intervalli regolari esplodevano in grida di ribrezzo o sorpresa.
«Bene, adesso tocca alla pagina in cui sono elencati i membri dell’associazione» annunciò Ludwig. «Ad hoc propositum assequendum necesse este, libros auctorum secundum legere». Il suo viso sbiancò di colpo.
«Che succede?». Stavolta a chiedere era stato l’uomo col dizionario, non il barelliere.
«Oh Dio» sussurrò Ludwig. «Abbiamo commesso un errore tremendo».