Častolowitz se la filò attraverso l’uscita di emergenza, poi percorse con tutta calma un vicoletto buio e si liberò del suo travestimento. In quelle vesti scomode e ridicole aveva avuto caldo, ma doveva ammettere che si erano rivelate estremamente pratiche. Sotto il mantello, infatti, non solo aveva potuto indossare il suo abito da passeggio, ma si era anche potuto portar dietro un paio di accessori.
Si incollò al viso una barba posticcia e sopracciglia cespugliose, dopodiché si sistemò un monocolo. Nessuno avrebbe visto il generale Ignatius Častolowitz allontanarsi da quel luogo.
Nella maniera più disinvolta possibile passò davanti al Palazzo della Secessione, con la sua cupola dorata che brillava alla luce dei lampioni. VER SACRUM, c’era scritto in lettere d’oro alla sinistra del portone, “primavera sacra”. E grazie a lui anche in Austria sarebbe esplosa presto una primavera sacra. La nazione era distrutta, ma non sconfitta. Sarebbe risorta dalle sue ceneri come una fenice e una nuova epoca sarebbe cominciata.
Si affrettò soddisfatto in direzione del centro e gongolò nel ricordare quanto appena fatto. La Haidrich non si era accorta di niente. Col suo sorriso ebete sorseggiava champagne nella penombra dell’Inferno. Era bastato passarle accanto, puntarle contro la pistola e fare fuoco. Rapido ed efficace. Nemmeno il medico presente in sala aveva potuto far nulla. Gli tornarono in mente le facce sconvolte degli altri ospiti, gli sguardi increduli, le bocche spalancate, paralizzati a metà tra consapevolezza e incredulità. Ah, se si fosse potuto godere quell’attimo un pochino di più…
Pregustando i necrologi che avrebbe letto l’indomani sui giornali superò anche il sontuoso teatro dell’Opera, il famoso Hotel Sacher e l’imponente Albertina.
«Ah, Vienna, quanto sei bella» mormorò sotto la barba posticcia. «Magnifica e solenne. Presto vivrai un nuovo splendore».
Il sorriso trionfante perdurò fino a Habsburgergasse e si fece ancora più intenso quando mise piede nel locale che Bahrfeldt aveva proposto come punto d’incontro.
Proprio un’ottima scelta. Il posto era strapieno, le luci erano basse e nell’aria aleggiava una spessa coltre di fumo che impediva di vedere a più di cinque metri di distanza. Una folla di avventori si accalcavano intorno ai tavolini di marmo distribuiti in tutta la sala. C’era un magnifico, disordinatissimo caos.
Častolowitz si diresse alla toilette, dove si liberò di barba, sopracciglia e monocolo spedendo il tutto nelle fogne. Poi lavò via dal viso gli ultimi residui di colla e si diede una pettinata. Infine, col petto gonfio d’orgoglio, tornò nella sala.
Ci volle qualche attimo prima che riuscisse a individuare i suoi due complici. Si erano scelti un tavolo in posizione strategica, nell’angolo più buio del locale, e con grande arguzia si erano seduti in modo da dare le spalle agli sguardi curiosi degli altri avventori. Nessuno avrebbe mai potuto affermare con certezza il numero delle persone sedute al tavolo.
Picchiettò sulla spalla di Völzer, che si voltò di scatto.
«Generale Častolowitz» esclamò. «Alleluja! Allora? È andato tutto bene?».
Častolowitz spalancò le braccia e inclinò il capo da un lato. «Secondo lei?». Si sedette sulla panchetta imbottita. «Un completo trionfo».
Sui volti di Völzer e Bahrfeldt si dipinse un immediato sollievo, poi entrambi si sporsero in avanti guardando Častolowitz pieni di aspettativa.
«Avanti, racconti» lo esorto Völzer. «Come è andata?».
«Le ho sparato da distanza ravvicinata, guardandola dritta negli occhi».
La faccia di Völzer brillò di eccitazione, mentre Bahrfeldt non sembrò poi così entusiasta. «Avevamo deciso di correre meno rischi possibili. Era proprio necessario ammazzarla davanti a tutta quella gente?».
Častolowitz fece cenno di no e prese un sorso dalla bottiglia di champagne nel secchiello da ghiaccio sul tavolo. «C’era poco spazio e si vedeva a malapena, tutti gli ospiti, incluso me, indossavano travestimenti. E poi so bene quel che faccio. Sono un uomo d’armi, io. La morte è il mio mestiere». Sollevò la bottiglia. «Al risanamento della nostra nazione».
Come se quella fosse stata una parola d’ordine, una ragazza magrissima e vestita di stracci si avvicinò al tavolo. «Una piccola offerta» implorò incollandosi a Völzer.
Costui la scacciò come se fosse un insetto molesto. «È proprio ora che le cose cambino. Non si può più stare in pace nemmeno qui».
Quando la ragazzina si riavvicinò per chiedere nuovamente l’elemosina Bahrfeldt le diede una moneta e le fece cenno di andar via.
«Dunque la Haidrich è proprio morta?» domandò. «O solo ferita?».
«Morta come Fürst e la Abele. Ho visto la disperazione di Oswald. Si è messo a urlare e tutti hanno preso a piagnucolare come isterici. Domani sarà su tutti i giornali, nero su bianco. Ma adesso bando alle ciance, brindiamo!».
«Aspetti». Bahrfeldt ne frenò di nuovo l’entusiasmo. «Dobbiamo ancora decidere come procedere con i due poliziotti».
«E cosa c’è da discutere?» disse Völzer sorseggiando dal suo bicchiere. «L’ha detto lei stesso poco fa: non dobbiamo correre rischi. Quei due sanno troppo».
«Esatto. Il rischio è troppo alto» concordò Častolowitz. «Non ci si può fidare di quell’Emmerich».
«Ho chiesto un po’ in giro» disse Völzer riempiendo di nuovo i bicchieri. «Quei due non sono per niente amati nella loro sezione. Se dovessero scomparire nessuno solleverà alcun polverone. Soprattutto se lo faremo passare per un incidente».
«Già» annuì Častolowitz. «Il mondo è un posto pericoloso. Veda un po’ quel che è successo alla povera Haidrich…».
Völzer scoppiò a ridere, attirando l’attenzione di due donne truccatissime che si avvicinarono al loro tavolo.
«Ma che bei signori» disse la prima, che aveva capelli ossigenati.
«Sono qui da molto?» chiese l’altra.
«Da più di un’ora». Častolowitz indicò un posto vuoto accanto a sé. «Ma prima non abbiamo visto signore belle come voi. Che ne dite di farci compagnia e bere qualcosa insieme?».
Le due si accomodarono ridacchiando.
«Impossibile rifiutare un invito tanto gentile» commentò la bionda.
Častolowitz ordinò un’altra bottiglia, e due bicchieri. «Suoni qualcosa di bello» gridò poi al pianista. Tutti gli altri avventori si girarono a guardarlo.
Nel corso della mezz’ora successiva Bahrfeldt si esibì in una serenata e Völzer insultò un cameriere. Poi, non appena furono sicuri di aver lasciato un ricordo indelebile, se ne andarono via.
C’era ancora un’ultima faccenda da sbrigare.